SALUTE
Prof. Fabrizio Pregliasto, immunologo dell’Università di Milano
AIDS, herpes, sifilide, gonorrea. Quando il sesso diventa malattia
Sono molte le infezioni che si possono contrarre con un rapporto sessuale non protetto: e non solo agli organi genitali. Ecco le più diffuse
Milano
Professore, batteri, virus, funghi: sono tanti gli agenti patogeni che possono trasmettersi con un rapporto sessuale non protetto?
Le malattie a trasmissione sessuale rappresentano un insieme di patologie che hanno varie cause. Si tratta di sindromi cliniche che possono avere quale agente patogeno virus, batteri, funghi, protozoi. Nel loro insieme rappresentano una delle più importanti fonti di infezione al mondo, specialmente nelle aree povere del pianeta. Ma ciò non deve trarre in inganno: anche nei Paesi industrializzati le malattie sessualmente trasmissibili, chiamate anche malattie veneree, si trasmettono con una certa frequenza. Va comunque ricordato che lo stigma sociale legato a queste patologie porta molti malati a rimandare indefinitamente il ricorso allo specialista, pertanto si ritiene che tali malattie siano attualmente sottostimate rispetto alla loro reale incidenza tra la popolazione generale.
Come si riconosce una malattia a trasmissione sessuale?
Purtroppo non sempre sono ben riconoscibili e chiaramente sintomatiche. A volte generano disturbi di piccole entità che vengono interpretati dal paziente come disagi passeggeri. È vero che in questi casi non c’è una progressione di malattia, ma anche in quella condizione il paziente può risultare un vettore di infezione inconsapevole in caso di molteplici rapporti non protetti e promiscui. L’unico modo possibile per evitare tutte queste infezioni consiste nell’adottare, durante qualsivoglia pratica sessuale, una barriera meccanica, costituita dal preservativo. Non vi sono, allo stato attuale, altri metodi efficaci di prevenzione. Anzi: l’utilizzo di metodi contraccettivi ormonali, favorendo la pratica di rapporti non protetti, può costituire - in caso di condotta sessuale promiscua - un ulteriore fattore di rischio, benché ovviamente indiretto. Va ricordato che alcune di queste malattie hanno tempi di incubazione piuttosto lunghi, dunque il paziente, che può essere già infettivo in fase di incubazione, non sospetta di essere affetto da una di queste malattie e può quindi trasmetterle a sua insaputa durante le fasi precedenti alla sintomatologia.
Infine, vorrei fare una valutazione di carattere sociologico: negli ultimi decenni, proprio in seguito al diffondersi del virus HIV, sarebbe dovuto aumentare la consapevolezza circa le malattie a trasmissione sessuale. Ebbene, per alcune fasce di popolazione non è così. E sono le stesse che, epidemiologicamente parlando, trascurano i sintomi e fanno scarsamente ricorso alle strutture ospedaliere che potrebbero fornire diagnosi e cure. Inoltre non sempre le cure vengono portare avanti con il rigore necessario: la l’adesione alla terapia nei pazienti affetti da malattie a trasmissione sessuale, risulta più problematica rispetto a quanto non accada con altre categorie di pazienti. Ciò ha portato alla formazione di ceppi resistenti ai farmaci, che quindi sono più difficili da debellare, anche in caso di infezione riconosciuta.
Quanto è forte la ripresa di malattie come la sifilide, la gonorrea, l’herpes genitale: malattie che avevamo scordato, con antibiotici e antivirali?
Per quel che riguarda la Sifilide, si tratta della più diffusa e famigerata malattia venerea in circolazione. E’ una malattia batterica che passa attraverso differenti stadi: a volte l’infezione può risultare completamente asintomatica nelle prime fasi e manifestarsi quando la malattia ha già causato la compromissione di alcuni organi bersaglio. L’agente patogeno è il batterio Treponema pallidum, e l’incidenza di questa malattia a trasmissione sessuale è seconda solo a quella dell’HIV . Ogni anno ci sono circa 12 milioni di nuovi casi di sifilide, specialmente nelle aree povere del mondo, ma non solo.
La sifilide, in quanto malattia batterica, è curabile attraverso antibiotici appartenenti alla famiglie delle penicilline. La lunghezza e il dosaggio del trattamento (ed anche le modalità di assunzione), dipendono strettamente dalla stadiazione della malattia. La terapia antibiotica può condurre quindi ad una sieronegatività completa e a guarigione, ma non può ripristinare eventuali funzioni d’organo che sono state compromesse. Inoltre va ricordato che l’infezione da sifilide, come accade per numerose altre malattia batteriche, non genera immunità, pertanto il paziente, sebbene curato, potrebbe contrarre nuovamente l’infezione.
C’è poi la Gonorrea, nota anche con il nome di blenorragia o scolo, è una malattia venerea di origine batterica, provocata dal batterio Neisseria Ghonorreae. La via di trasmissione della gonorrea è sessuale ed anche i sintomi sono prevalentemente a carico dell’apparato riproduttore. Tuttavia, dato che questo batterio può infettare in generale tutte le mucose, può essere reperibile anche nelle mucose anali, faringee ed anche in quelle congiuntivali. In genere le manifestazioni della gonorrea possono comparire fino a trenta giorni dopo l’infezione. Nei casi più precoci, addirittura dopo due soli giorni. In genere la sintomatologia è prevalente nel paziente maschio, ma i rischi correlati all’infezione non curata sono a carico di entrambi i sessi.
Anche per questa malattia è possibile impostare una terapia antibiotica. Tuttavia va ricordato che la coltura rimane indispensabile perché nel tempo il batterio ha sviluppato una marcata antibiotico resistenza, che lo rende poco vulnerabile ad alcuni antibiotici.
L’Herpes Simplex Virus è probabilmente il virus più diffuso nella popolazione mondiale. Come gli altri Herpesvirus, anche questo ha la tendenza - dopo una prima manifestazione - ad annidarsi silente per tempi anche abbastanza lunghi, dando poi nuove manifestazioni in momenti particolari, legati per lo più ad una scarsa competenza immunitaria (anche di lieve entità) del paziente. La trasmissione del virus HSV-2 è per via sessuale e può anche avvenire per via indiretta, attraverso l’utilizzo di sex toys contaminati. Tutte le mucose possono risultare infette, quindi il problema può coinvolgere la zona anale e perianale, e quella faringea - quale risultato della pratica del sesso orale. Non va nemmeno trascurata l’infezione verticale da madre a figlio, che avviene al momento del parto, se l’evento accade durante una fase acuta di malattia. In questo caso le conseguenze per il bambino possono essere molto gravi. In genere le donne hanno un rischio triplo di infezione, rispetto agli uomini.
La terapia dell’herpes genitale non è semplice in quanto i tempi di replicazione del virus sono estremamente rapidi. Per ottenere il miglior risultato terapeutico è necessario intercettare la malattia nelle primissime fasi - quando compaiono le prime papule - ed impostare così un trattamento antivirale orale o locale, che deve essere portato avanti ben oltre la scomparsa dei sintomi. Tale trattamento, comunque, non dona una immunità permanente. L’astensione dall’attività sessuale (specialmente quella non protetta) è assolutamente consigliata nel caso in cui uno dei due partner non sia affetto da HSV-2.
C’è poi il grande capitolo di cui non si parla più dell’AIDS: nella percezione dei più giovani sembra diventata una malattia tutto sommato cronica, come il diabete, ci sono i farmaci per “curarla” anche se non guarisce?
L’AIDS è una malattia originata dall’infezione di un virus, l’HIV (Human Immune Deficence Virus). Il nome AIDS deriva da un acronimo: Acquired Immune Deficiency Syndrome. E’ stata identificata per la prima volta nel 1981 presso il Center of Disease Control di Atlanta, negli Stati Uniti. In principio sembrava essere una patologia che andava a colpire determinate minoranze perché i casi si manifestavano all’interno di determinate categorie di persone che - tra l’altro - poco o nulla sembravano avere in comune: haitiani, omosessuali, emofilici ed eroinomani. Ciò, per un breve periodo, fece sì che la sindrome venisse chiamata “malattia della 4H” (da Haiti, Homosexuality, Hemolphily, Heroin). Solo nel 1982 questo equivoco culturale oltre che sanitario fu finalmente superato e si comprese che ci si trovava di fronte ad una malattia nuova, sconosciuta, temibile e soprattutto che non limitava il suo bacino di propagazione alle minoranze prima citate.
Ad oggi la diffusione dell’AIDS, secondo i dati OMS del 2012, coinvolge circa 25 milioni di individui. E dall’anno delle prime diagnosi è stato calcolato che il numero delle vittime è stimabile attorno ai 30 milioni. In Italia si presume ci siano 23 mila individui con infezione conclamata e circa 120 mila persone che hanno contratto l’infezione ma non hanno sviluppato i sintomi. Una percentuale variabile tra il 20 e il 30% di queste ultime non sarebbe - secondo le stime - consapevole di essere stato infettato. La prevalenza, secondo gli ultimi dati del 2014, è decisamente maschile: il 72,2% dei nuovi casi sono maschi. La trasmissione sessuale è nettamente prevalente rispetto a tutte le altre forme di trasmissione (83,9% dei casi).
Dopo molti anni passati a cercare di contrastare le infezioni opportunistiche per rallentare quantomeno l’esito letale della malattia, oggi i pazienti affetti da virus HIV possono contare su un’ampia gamma di farmaci a cui attingere per cercare di ridurre il più possibile la replicazione virale e - nel contempo - preservare il numero di CD4 circolanti. Il fatto che la gamma si farmaci sia ampia è un grande vantaggio, perché il virus HIV è geneticamente poco stabile e pertanto può adattarsi con relativa semplicità ai farmaci in uso. Ecco perché le terapie oggi più efficaci consistono in cocktail di farmaci, che agendo in sinergia riescono a controllare il propagarsi dell’infezione fino a renderla non più rilevabile strumentalmente.
I casi in cui ciò avviene consentono - ad oggi - di offrire al paziente una qualità di vita compatibile con il lavoro e la vita di relazione. Allo stesso tempo tale protocollo terapeutico ha aumentato enormemente l’aspettativa di vita media del paziente affetto da HIV. I farmaci che vengono maggiormente usati oggi per controllare la diffusione del virus nell’organismo umano appartengono a due famiglie. La prima è quella degli inibitori della transcrittasi inversa, che sono stati i primi, storicamente, ad essere messi a punto. La transcrittasi inversa è un enzima che è in grado di trasferire l’RNA virale e di farlo “sposare” al DNA della cellula ospite, in modo che le cellule discendenti conservino l’RNA virale.
La seconda classe di farmaci comunemente usati per questo tipo di terapia sono gli inibitori della proteasi. Grazie all’avvento di questi farmaci è stato possibile aumentare l’aspettativa di vita dei pazienti, migliorando nel contempo anche la qualità della loro esistenza. La proteasi è un altro enzima che serve a portare a maturazione il virus HIV. Inibendo la funzione di questo enzima, il virus rimane confinato in uno stadio di immaturità che ostacola il contagio verso altre cellule. I farmaci IF rappresentano una terza opzione terapeutica e sono definiti inibitori di fusione. Servono ad ostacolare l’ingresso del virus nei linfociti CD4. In pratica sono farmaci che bloccano la porta delle cellule CD4, in modo che all’interno non avvenga la replicazione virale. Oggi siamo prossimi all’arrivo di altri farmaci. Alcuni di questi sono già in uso in sperimentazioni avanzate.
Uno dei grandi problemi della terapia è derivato dal fatto che, per molto tempo, i pazienti erano costretti ad assumere un numero abnorme di farmaci, nelle diverse ore della giornata, cosa che non sempre poteva essere compatibile con una normale vita di relazione. Gli antivirali per loro essenza devono infatti essere assunti sempre alla stessa ora e necessitano anche di un regime alimentare dedicato, per evitare di assumere alimenti in grado di interferire in qualsiasi modo con la loro azione. Negli ultimi anni sono state messe a punto formulazioni in grado di far coesistere in un’unica pillola diversi principi attivi, migliorando senz’altro la qualità del vita dei pazienti.
Le malattie a trasmissione sessuale rappresentano un insieme di patologie che hanno varie cause. Si tratta di sindromi cliniche che possono avere quale agente patogeno virus, batteri, funghi, protozoi. Nel loro insieme rappresentano una delle più importanti fonti di infezione al mondo, specialmente nelle aree povere del pianeta. Ma ciò non deve trarre in inganno: anche nei Paesi industrializzati le malattie sessualmente trasmissibili, chiamate anche malattie veneree, si trasmettono con una certa frequenza. Va comunque ricordato che lo stigma sociale legato a queste patologie porta molti malati a rimandare indefinitamente il ricorso allo specialista, pertanto si ritiene che tali malattie siano attualmente sottostimate rispetto alla loro reale incidenza tra la popolazione generale.
Come si riconosce una malattia a trasmissione sessuale?
Purtroppo non sempre sono ben riconoscibili e chiaramente sintomatiche. A volte generano disturbi di piccole entità che vengono interpretati dal paziente come disagi passeggeri. È vero che in questi casi non c’è una progressione di malattia, ma anche in quella condizione il paziente può risultare un vettore di infezione inconsapevole in caso di molteplici rapporti non protetti e promiscui. L’unico modo possibile per evitare tutte queste infezioni consiste nell’adottare, durante qualsivoglia pratica sessuale, una barriera meccanica, costituita dal preservativo. Non vi sono, allo stato attuale, altri metodi efficaci di prevenzione. Anzi: l’utilizzo di metodi contraccettivi ormonali, favorendo la pratica di rapporti non protetti, può costituire - in caso di condotta sessuale promiscua - un ulteriore fattore di rischio, benché ovviamente indiretto. Va ricordato che alcune di queste malattie hanno tempi di incubazione piuttosto lunghi, dunque il paziente, che può essere già infettivo in fase di incubazione, non sospetta di essere affetto da una di queste malattie e può quindi trasmetterle a sua insaputa durante le fasi precedenti alla sintomatologia.
Infine, vorrei fare una valutazione di carattere sociologico: negli ultimi decenni, proprio in seguito al diffondersi del virus HIV, sarebbe dovuto aumentare la consapevolezza circa le malattie a trasmissione sessuale. Ebbene, per alcune fasce di popolazione non è così. E sono le stesse che, epidemiologicamente parlando, trascurano i sintomi e fanno scarsamente ricorso alle strutture ospedaliere che potrebbero fornire diagnosi e cure. Inoltre non sempre le cure vengono portare avanti con il rigore necessario: la l’adesione alla terapia nei pazienti affetti da malattie a trasmissione sessuale, risulta più problematica rispetto a quanto non accada con altre categorie di pazienti. Ciò ha portato alla formazione di ceppi resistenti ai farmaci, che quindi sono più difficili da debellare, anche in caso di infezione riconosciuta.
Quanto è forte la ripresa di malattie come la sifilide, la gonorrea, l’herpes genitale: malattie che avevamo scordato, con antibiotici e antivirali?
Per quel che riguarda la Sifilide, si tratta della più diffusa e famigerata malattia venerea in circolazione. E’ una malattia batterica che passa attraverso differenti stadi: a volte l’infezione può risultare completamente asintomatica nelle prime fasi e manifestarsi quando la malattia ha già causato la compromissione di alcuni organi bersaglio. L’agente patogeno è il batterio Treponema pallidum, e l’incidenza di questa malattia a trasmissione sessuale è seconda solo a quella dell’HIV . Ogni anno ci sono circa 12 milioni di nuovi casi di sifilide, specialmente nelle aree povere del mondo, ma non solo.
La sifilide, in quanto malattia batterica, è curabile attraverso antibiotici appartenenti alla famiglie delle penicilline. La lunghezza e il dosaggio del trattamento (ed anche le modalità di assunzione), dipendono strettamente dalla stadiazione della malattia. La terapia antibiotica può condurre quindi ad una sieronegatività completa e a guarigione, ma non può ripristinare eventuali funzioni d’organo che sono state compromesse. Inoltre va ricordato che l’infezione da sifilide, come accade per numerose altre malattia batteriche, non genera immunità, pertanto il paziente, sebbene curato, potrebbe contrarre nuovamente l’infezione.
C’è poi la Gonorrea, nota anche con il nome di blenorragia o scolo, è una malattia venerea di origine batterica, provocata dal batterio Neisseria Ghonorreae. La via di trasmissione della gonorrea è sessuale ed anche i sintomi sono prevalentemente a carico dell’apparato riproduttore. Tuttavia, dato che questo batterio può infettare in generale tutte le mucose, può essere reperibile anche nelle mucose anali, faringee ed anche in quelle congiuntivali. In genere le manifestazioni della gonorrea possono comparire fino a trenta giorni dopo l’infezione. Nei casi più precoci, addirittura dopo due soli giorni. In genere la sintomatologia è prevalente nel paziente maschio, ma i rischi correlati all’infezione non curata sono a carico di entrambi i sessi.
Anche per questa malattia è possibile impostare una terapia antibiotica. Tuttavia va ricordato che la coltura rimane indispensabile perché nel tempo il batterio ha sviluppato una marcata antibiotico resistenza, che lo rende poco vulnerabile ad alcuni antibiotici.
L’Herpes Simplex Virus è probabilmente il virus più diffuso nella popolazione mondiale. Come gli altri Herpesvirus, anche questo ha la tendenza - dopo una prima manifestazione - ad annidarsi silente per tempi anche abbastanza lunghi, dando poi nuove manifestazioni in momenti particolari, legati per lo più ad una scarsa competenza immunitaria (anche di lieve entità) del paziente. La trasmissione del virus HSV-2 è per via sessuale e può anche avvenire per via indiretta, attraverso l’utilizzo di sex toys contaminati. Tutte le mucose possono risultare infette, quindi il problema può coinvolgere la zona anale e perianale, e quella faringea - quale risultato della pratica del sesso orale. Non va nemmeno trascurata l’infezione verticale da madre a figlio, che avviene al momento del parto, se l’evento accade durante una fase acuta di malattia. In questo caso le conseguenze per il bambino possono essere molto gravi. In genere le donne hanno un rischio triplo di infezione, rispetto agli uomini.
La terapia dell’herpes genitale non è semplice in quanto i tempi di replicazione del virus sono estremamente rapidi. Per ottenere il miglior risultato terapeutico è necessario intercettare la malattia nelle primissime fasi - quando compaiono le prime papule - ed impostare così un trattamento antivirale orale o locale, che deve essere portato avanti ben oltre la scomparsa dei sintomi. Tale trattamento, comunque, non dona una immunità permanente. L’astensione dall’attività sessuale (specialmente quella non protetta) è assolutamente consigliata nel caso in cui uno dei due partner non sia affetto da HSV-2.
C’è poi il grande capitolo di cui non si parla più dell’AIDS: nella percezione dei più giovani sembra diventata una malattia tutto sommato cronica, come il diabete, ci sono i farmaci per “curarla” anche se non guarisce?
L’AIDS è una malattia originata dall’infezione di un virus, l’HIV (Human Immune Deficence Virus). Il nome AIDS deriva da un acronimo: Acquired Immune Deficiency Syndrome. E’ stata identificata per la prima volta nel 1981 presso il Center of Disease Control di Atlanta, negli Stati Uniti. In principio sembrava essere una patologia che andava a colpire determinate minoranze perché i casi si manifestavano all’interno di determinate categorie di persone che - tra l’altro - poco o nulla sembravano avere in comune: haitiani, omosessuali, emofilici ed eroinomani. Ciò, per un breve periodo, fece sì che la sindrome venisse chiamata “malattia della 4H” (da Haiti, Homosexuality, Hemolphily, Heroin). Solo nel 1982 questo equivoco culturale oltre che sanitario fu finalmente superato e si comprese che ci si trovava di fronte ad una malattia nuova, sconosciuta, temibile e soprattutto che non limitava il suo bacino di propagazione alle minoranze prima citate.
Ad oggi la diffusione dell’AIDS, secondo i dati OMS del 2012, coinvolge circa 25 milioni di individui. E dall’anno delle prime diagnosi è stato calcolato che il numero delle vittime è stimabile attorno ai 30 milioni. In Italia si presume ci siano 23 mila individui con infezione conclamata e circa 120 mila persone che hanno contratto l’infezione ma non hanno sviluppato i sintomi. Una percentuale variabile tra il 20 e il 30% di queste ultime non sarebbe - secondo le stime - consapevole di essere stato infettato. La prevalenza, secondo gli ultimi dati del 2014, è decisamente maschile: il 72,2% dei nuovi casi sono maschi. La trasmissione sessuale è nettamente prevalente rispetto a tutte le altre forme di trasmissione (83,9% dei casi).
Dopo molti anni passati a cercare di contrastare le infezioni opportunistiche per rallentare quantomeno l’esito letale della malattia, oggi i pazienti affetti da virus HIV possono contare su un’ampia gamma di farmaci a cui attingere per cercare di ridurre il più possibile la replicazione virale e - nel contempo - preservare il numero di CD4 circolanti. Il fatto che la gamma si farmaci sia ampia è un grande vantaggio, perché il virus HIV è geneticamente poco stabile e pertanto può adattarsi con relativa semplicità ai farmaci in uso. Ecco perché le terapie oggi più efficaci consistono in cocktail di farmaci, che agendo in sinergia riescono a controllare il propagarsi dell’infezione fino a renderla non più rilevabile strumentalmente.
I casi in cui ciò avviene consentono - ad oggi - di offrire al paziente una qualità di vita compatibile con il lavoro e la vita di relazione. Allo stesso tempo tale protocollo terapeutico ha aumentato enormemente l’aspettativa di vita media del paziente affetto da HIV. I farmaci che vengono maggiormente usati oggi per controllare la diffusione del virus nell’organismo umano appartengono a due famiglie. La prima è quella degli inibitori della transcrittasi inversa, che sono stati i primi, storicamente, ad essere messi a punto. La transcrittasi inversa è un enzima che è in grado di trasferire l’RNA virale e di farlo “sposare” al DNA della cellula ospite, in modo che le cellule discendenti conservino l’RNA virale.
La seconda classe di farmaci comunemente usati per questo tipo di terapia sono gli inibitori della proteasi. Grazie all’avvento di questi farmaci è stato possibile aumentare l’aspettativa di vita dei pazienti, migliorando nel contempo anche la qualità della loro esistenza. La proteasi è un altro enzima che serve a portare a maturazione il virus HIV. Inibendo la funzione di questo enzima, il virus rimane confinato in uno stadio di immaturità che ostacola il contagio verso altre cellule. I farmaci IF rappresentano una terza opzione terapeutica e sono definiti inibitori di fusione. Servono ad ostacolare l’ingresso del virus nei linfociti CD4. In pratica sono farmaci che bloccano la porta delle cellule CD4, in modo che all’interno non avvenga la replicazione virale. Oggi siamo prossimi all’arrivo di altri farmaci. Alcuni di questi sono già in uso in sperimentazioni avanzate.
Uno dei grandi problemi della terapia è derivato dal fatto che, per molto tempo, i pazienti erano costretti ad assumere un numero abnorme di farmaci, nelle diverse ore della giornata, cosa che non sempre poteva essere compatibile con una normale vita di relazione. Gli antivirali per loro essenza devono infatti essere assunti sempre alla stessa ora e necessitano anche di un regime alimentare dedicato, per evitare di assumere alimenti in grado di interferire in qualsiasi modo con la loro azione. Negli ultimi anni sono state messe a punto formulazioni in grado di far coesistere in un’unica pillola diversi principi attivi, migliorando senz’altro la qualità del vita dei pazienti.