SALUTE
Bioterrorismo: attenzione, ma niente psicosi
Il premier francese Manuel Valls ha lanciato l’allarme per possibili attacchi biochimici nel territorio del suo Paese e non solo: in cosa consista il bioterrorismo, quali i precedenti e le capacità per produrre questi agenti , e la risposta dell’Italia nel colloquio con Nicola Petrosillo, direttore di infettivologia clinica all’Istituto Nazionale Malattie Infettive Spallanzani di Roma
Professore, quali agenti batteriologici e quali sostanze si possono usare per un attacco biochimico?
Secondo una classificazione internazionale, gli agenti potenzialmente utilizzabili per azioni di bioterrorismo (categoria A) sono: i bacilli del carbonchio, peste, tularemia, la tossina botulinica e i virus del vaiolo e delle febbri emorragiche. L’importanza di questi microrganismi e tossine come potenziali agenti utilizzabili per attacchi biologici deriva da alcune loro caratteristiche.
* Facile diffusione e trasmissibilità da persona a persona
* Alti tassi di letalità e grosso impatto potenziale sulla salute pubblica
* Possibilità di creare panico ed allarme sociale
* Richiesta di specifici programmi di allerta azioni per far fronte al pericolo.
E’ facile procurarsi, sviluppare, diffondere questi agenti? Quali capacità tecniche occorre avere?
Per molti questi agenti non è facile l’acquisizione né la preparazione. Alcuni di loro, come il virus del vaiolo, sono presenti e conservati in pochissimi laboratori dove i sistemi di sicurezza sono massimali ed è praticamente impossibile il loro trafugamento.
Per altri, come i virus della febbre emorragica, la preparazione e la loro crescita richiede laboratori altamente specializzati e con sistemi di biosicurezza elevatissima per evitare che chi li manipola possa a sua volta infettarsi. Altri agenti, come i bacilli della peste, della tularemia e del carbonchio, richiedono laboratori e microbiologi molto esperti, e comunque rappresentano agenti che causano malattie che possono essere curate con gli antibiotici. Inoltre, se avvenisse una loro diffusione intenzionale, l’impatto sulla sanità pubblica sarebbe comunque molto limitato.
Nel 2001, dopo l’attacco alle Torri Gemelle, si era molto paventato il rilascio intenzionale di agenti di bioterrorismo, ma in realtà non si verificò alcun episodio, eccetto l’invio di buste con spore di carbonchio a due senatori statunitensi che causarono la morte di 5 persone e l'infezione di 17 individui. Tale episodio è però verosimilmente riconducibile a un problema interno agli Stati Uniti e non ad agenti di paesi stranieri.
Come siamo attrezzati, in Italia, per far fronte ad una eventuale emergenza di bioterrorismo?
Sin dall’11 settembre 2001, quando si cominciò a parlare di possibili attacchi bioterroristici, il nostro paese mise in piedi un piano nazionale di allerta per eventuali situazioni ed allarmi riconducibili a rilascio intenzionali di agenti biologici.
Venne utilizzata la rete esistente dei pronti soccorsi e dei reparti di malattie infettive per far fronte, attraverso programmi informativi e formativi, protocolli operativi e gruppi operativi, ad eventuali episodi sospetti.
Nel nostro paese, i reparti di malattie infettive, in particolare, sono da sempre attrezzati e allertati per far fronte ad emergenze infettivologiche (epidemia di infezione da HIV, SARS, influenza aviaria, febbri emorragiche, etc..) e si avvalgono di centri di eccellenza nazionali, come l’Istituto “Lazzaro Spallanzani” di Roma per casi complessi e situazioni di particolare rischio. Nel periodo successivo all’11 settembre 2001 si verificarono numerosi allarmi, ma nessuno di essi era riconducibile ad azioni di bioterrorismo.
Infine, il Ministero della Salute e le Regioni, oltre a coordinare le reti ospedaliere, provvidero a fornire le corrette informazioni alla cittadinanza anche con linee telefoniche dedicate e sistemi di comunicazione di massa, per far fronte al grande allarme sociale generato dalle notizie internazionali.