ITALIA
Aula bunker di Rebibbia
Capaci bis, il pentito Di Matteo: "Nessuna entità esterna nella fase esecutiva"
Il collaboratore di giustizia Santino Di Matteo ha negato l'esistenza di soggetti estranei a Cosa nostra nelle fasi preparatorie ed esecutive della strage di Capaci. Il pentito ha anche raccontato che alcuni capimafia si mostrarono preoccupati per le possibili reazioni dello Stato al progetto di Riina
Al processo, svolto davanti alla corte d'assise di Caltanissetta, sono imputati i boss Salvino Madonia, Renzino Tinnirello, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino.
Santino Di Matteo ha pagato cara la scelta di raccontare i segreti di Cosa nostra: l'ex boss Giovanni Brusca ordinò il sequestro del figlio, il piccolo Giuseppe che venne poi strangolato e sciolto nell'acido dopo due anni di prigionia.
Il collaboratore ha raccontato di avere saputo solo in un secondo momento che l'esplosivo, fattogli avere da Brusca, sarebbe stato usato per uccidere Falcone. Di Matteo ha anche ricordato di avere portato il tritolo a Capaci, sul luogo dell'attentato, per provare i tempi dell'esplosione rispetto al passaggio delle auto sull'autostrada.
A far conoscere Bellini - secondo i pm, protagonista di una trattativa parallela a quella portata avanti da pezzi dello Stato con i clan - sarebbe stato Nino Gioè, boss stragista poi morto suicida. Di Matteo ha confermato che Bellini si era offerto di adoperarsi per ottenere attenuazioni del 41 bis per alcuni boss. In cambio, la mafia avrebbe dovuto far ritrovare alcune opere d'arte rubate. Il collaboratore ha anche rivelato che non tutta Cosa nostra sosteneva il progetto stragista di Riina e che alcuni capimafia si mostrarono preoccupati per le possibili reazioni dello Stato.