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SALUTE

Intervista al prof. Enzo Grossi, advisor scientifico Padiglione Italia

Expo Milano 2015: la scommessa di un mondo migliore

Mangiamo con la testa, la scelta del cibo è condizionata da bisogni che hanno sempre meno a che fare con la sopravvivenza. La grande industria lo sa, e ci vende anche il di più che portiamo in tavola e addosso. La carta di Milano per promuovere un accesso equo alle risorse ed alla sostenibilità. 

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Milano Professore a Milano, dal primo Maggio, con l'Expo si parlerà anche della qualità del cibo che portiamo in tavola. Quello dei nostri nonni era di meno, più brutto a vedersi e si conservava peggio del nostro, ma quello che portiamo a tavola è realmente migliore?
Quando si pensa al cibo di una volta l’aspetto romantico prevale su quello razionale e siamo portati a credere che il meglio ce lo siamo lasciato alle spalle. In realtà non è proprio così. Questa domanda ha a che fare essenzialmente sul concetto largo di “sicurezza alimentare”, un tema che sarà certamente tra i più importanti e centrali di quelli dibattuti in EXPO. E’ importante chiarire che la sicurezza alimentare è fondamentalmente quello che ogni consumatore spera di trovare nei cibi che acquista, nei mercati rionali, nel negozietto sotto casa o nel mega ipermercato: la assenza di qualsiasi rischio per la propria salute legato a una cattiva qualità, una cattiva conservazione o ad una scarsa igiene o ad una subdola contraffazione. L’uomo della strada sarà contento di sapere che il modello italiano della sicurezza alimentare è un vero fiore all’occhiello che tutto il mondo ci invidia.
Vale la pena sottolineare che il sistema sanitario italiano nel campo della sicurezza alimentare è uno dei più strutturati a livello mondiale, riconosciuto in Europa come punta di eccellenza, grazie ad esempio agli oltre 5.000 veterinari incaricati di vigilare per garantire la sicurezza alimentare delle nostre produzioni. Per quanto riguarda la filiera dei prodotti a base di carne bovina e suina i controlli veterinari ufficiali iniziano dagli allevamenti per proseguire lungo tutta la filiera.
La sicurezza alimentare e la qualità dei prodotti agricoli che arrivano fino alle nostre tavole dichiara è frutto anche della consapevolezza che gli agrofarmaci utilizzati nelle coltivazioni rispettino sempre i requisiti stabiliti dalla legge. I prodotti ortofrutticoli italiani sono a tutti gli effetti i meno contaminati in Europa da pesticidi e residui chimici da fitofarmaci. Anche l’industria alimentare è ovviamente molto attenta alle problematiche legate alla contraffazione in quanto sarebbe la prima vittima di tutto il sistema. Per questo motivo l’industria dei salumi ad esempio mette in campo molti strumenti per contrastarla come la tracciabilità, l’etichettatura, uno stringente autocontrollo. Quindi in conclusione la risposta alla sua domanda è sì.

Dall'Expo uscirà un importante documento, la Carta di Milano, che verrà proposta alla approvazione delle Nazioni Unite. Di cosa si tratta
In occasione di Expo Milano 2015, le migliori risorse intellettuali, culturali, accademiche e imprenditoriali della filiera alimentare, sotto la guida del Ministero delle Politiche Agricole, si sono unite per elaborare un particolare documento chiamato “La Carta di Milano”.
Il documento è proposto alla condivisione e firma da parte delle donne e degli uomini di tutte le nazioni del mondo per affermare il diritto al cibo come diritto umano fondamentale e per contribuire a vincere le grandi sfide a esso connesse: malnutrizione, spreco e sviluppo sostenibile chiamando in causa i governi e le istituzioni.
La Carta di Milano impegna i firmatari ad una serie di azioni come migliorare gli stili di vita in ambito alimentare, migliorare la sicurezza alimentare e ambientale fino al richiamo di politiche educative che sappiano valorizzare i prodotti tipici, biologici e locali.
Nello specifico la redazione della Carta di Milano riflette due anni di lavoro di ricerca condotto da Laboratorio Expo, che ha coinvolto oltre trecento esperti di livello internazionale sui vari progetti culturali afferenti i temi dell’Esposizione. Ha già avuto due recenti momenti pubblici: "Le Idee di Expo per la Carta di Milano" (Milano, 7 febbraio 2015) e "Italia 2015" (Firenze, 28 marzo 2015) in cui i maggiori esperti provenienti dal mondo delle imprese, della società civile e della ricerca si sono confrontati in 42 gruppi di lavoro tematici.
La Carta di Milano verrà dichiarata pubblicamente per la prima volta il prossimo 28 Aprile presso l’Aula Magna dell’Università Statale di Milano e sarà sottoscrivibile a partire dal 1 maggio.
La Carta di Milano è in buona sostanza un manifesto concreto e attuabile che coinvolge tutti, donne e uomini, cittadini del mondo, nel combattere la denutrizione, la malnutrizione e lo spreco, promuovere un equo accesso alle risorse naturali e garantire una gestione sostenibile dei processi produttivi. e un futuro migliore. Firmare la Carta di Milano è un atto di partecipazione attiva alla costruzione di questo futuro.

Ad Expo si parlerà anche dell'equilibrio, che adesso non esiste, tra una parte di umanità che combatte contro il sovrappeso e l'obesità per la gran quantità di cibo a disposizione, e centinaia di milioni di persone che hanno poco cibo e spesso scadente o sono costrette a mangiare solo riso, o patate.
La contraddizione tra obesità e sovrappeso che interessano ormai circa 2 miliardi di individui, prevalentemente nei paesi sviluppati, e denutrizione che interessa circa 800 milioni di persone prevalentemente nei paesi in via di sviluppo è uno dei capisaldi del “Protocollo di Milano per la nutrizione e l’alimentazione” promulgato dalla Fondazione Barilla e incorporato nella Carta di Milano.
Ma quello che è meno noto , è che l’obesità, che ha superato nei numeri il fenomeno drammatico della denutrizione, non significa necessariamente abbondanza di mezzi e dunque di cibo. Anzi, benché contro-intuitivo, vi è uno stretto legame tra povertà e obesità. E tra le tante contraddizioni legate ai problemi alimentari nel mondo vanno messi in conto anche i risvolti drammaticamente controproducenti degli aiuti umanitari ai paesi che soffrono la fame e la povertà, in special modo africani.
L’essere umano ha da sempre desiderato alimenti ricchi di grassi e zuccheri. I nostri primi antenati, di fronte a scarsità di cibo, scoprirono che questi tipi di alimenti erano fondamentali per la sopravvivenza. Avendo più alto valore calorico, questi tipi di cibo erano e sono ancora un modo veloce ed efficiente per sostenere le fonti di energia, fornendo anche un senso di sazietà appagante. Mentre questo tipo di alimentazione era conveniente per la sopravvivenza di “cacciatori-raccoglitori ", in un epoca nella quale non è più necessaria un intensa attività fisica per sopravvivere, la povertà associata a diete ipercaloriche fa sì che gran parte dell'energia supplementare sia convertita in grasso e da quindi ragione della alta prevalenza di obesità in questa popolazione.
L'associazione tra povertà e obesità è in buona sostanza spiegata, almeno in parte, dal basso costo degli energia alimenti ad alta densità rafforzato dalla appetibilità di zuccheri e grassi.

Il cibo è ovviamente un grande business, ma come evitare che una risorsa tanto essenziale alla vita venga governata solo da meccanismi industriali e finanziari? I future sul grano di uni Stato americano condizionano la coltivazione in un'altra parte del mondo, magari provocando carestie perché il terreno è destinato ai biocombustibili. Oppure, da noi, interi raccolti che restano nei campi a marcire, perché non è conveniente trasformarli a causa del costo della manodopera e la distribuzione.
Il fatto che il cibo sia governato primariamente da meccanismi di tipo economico-finanziario come molti altri beni primari è un fatto scontato. Molto difficile intervenire sulla complessa catena economica che moltiplica per 10 o per 100 il prezzo di un prodotto alimentare dal campo alla tavola, specie quando questo proviene da paesi in via di sviluppo. Quello che è meno noto è che i problemi estremi, vale a dire le carestie, non sono il risultato di meccanismi speculativi ma piuttosto politici. In altre parole la scarsità di produzione alimentare non è purtroppo la vera causa delle carestie. Quando nel 1981 il futuro premio Nobel per l’economia Amartya Sen formulò questo giudizio nel suo “Poverty and Famines: An Essay on Entitlement and Deprivation”, molti si sentirono folgorati da una visione nuova e rivoluzionaria.

Prendendo come esempio la carestia del Bengala del 1943-44, Sen affermava che ad aver causato la morte di un numero compreso fra 1,5 e 4 milioni di persone non era stata la scarsità di cibo dovuta alla siccità e ai conseguenti mancati raccolti, ma le modeste attribuzioni
( entitlement )di una parte della popolazione, che l’aveva esposta ai morsi della carestia benché il paese a cui appartenevano, l’India Britannica, possedesse risorse alimentari sufficienti a sfamarli. Da allora il concetto secondo cui nelle epoche successive alla Rivoluzione industriale la carestia non può mai essere esclusivamente attribuita a fattori naturali, ma sempre è legata all’economia politica e alle scelte dei governi, dopo un periodo di controversie è stato progressivamente unanimemente condiviso. Da quando l’agricoltura è stata meccanizzata e le tecniche di coltivazione si sono perfezionate, esistono sempre regioni eccedentarie dentro a un paese che possono sovvenire ai bisogni delle regioni che soffrono una penuria, oppure esistono eccedenze di produzione all’estero che possono essere acquistate e redistribuite dallo Stato centrale alle popolazioni bisognose: se ciò non avviene, siamo in presenza di cause politiche della carestia.

Per noi popoli del benessere, che non abbiamo mai conosciuto la vera fame, cosa vuol dire riempire il frigo di ogni bene che poi buttiamo perché ci stanca o perché va a male, e cosa vuol dire privilegiare quello che è confezionato, ad esempio l'acqua minerale, rispetto a quella di rubinetto. Cosa descrive, di noi.
Come afferma il prof. Vincenzo Russo, Professore Associato di Psicologia e Consumi presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, e referente scientifico di Padiglione Italia, il consumo alimentare è il più prototipico atto dotato di senso che una persona possa mettere in atto. L’alimentazione, infatti, ha una fortissima connotazione simbolica, affettiva, relazione e identitaria e psicologica. Basti pensare che uno dei primi atti di relazione tra bambino e mamma è legato alla nutrizione e che da questo dipende la sopravvivenza del neonato. Superata la primissima fase di dipendenza materna e paterna nella scelta dei cibi inizia un processo di selezione che va al di là del valore nutrizionale dell’alimento ma che è influenzato da una serie molto complessa di fattori, essenzialmente di tipo culturale, con alto valore simbolico. Nella fase adolescenziale l’accettazione o il rifiuto del cibo hanno una valenza relazionale e di emancipazione familiare con forte connotazione simbolica. Nella fase adulta usiamo il cibo per raccontare chi siamo a noi stessi in primis, ma soprattutto agli altri. Ci prendiamo cura di loro. Corteggiamo la persona desiderata. Giudichiamo le persone che ci circondano sulla base degli alimenti scelti.
Da questo punto di vista la pulsione di avere il frigorifero pieno può essere spiegata sia da fenomeni epigenetici risposta allo stato di insicurezza alimentare, che ha dominato per secoli anche nel nostro paese sino al secondo dopoguerra , sia da meccanismi più propriamente psicologici.
Ormai la ricerca scientifica e quella neuroscientifica dimostrano che più che con la bocca l’essere umano mangia con la testa. Ecco perché la comunicazione o la progettazione del food design in tutte le sue possibili declinazioni hanno un ruolo determinante per condizionare il consumo alimentare e per condizionarne la percezione di qualità, sicurezza e valore. La preferenza accordata a una marca di un prodotto enogastronomico piuttosto che all’altra assume il valore di simbolo, di stemma, con cui il consumatore esprime il suo personale stile di vita, l’adesione a determinati valori, la condivisione di certe tendenze culturali. Il frigorifero diventa quindi una sorta di tutor che ci accudisce silenziosamente e ci rassicura ogni volta che lo apriamo. L’aver scelto un determinato prodotto alimentare è anche segno di appartenenza ad un gruppo. E’ segno di un certo stile di vita o di un’appartenenza religiosa. Indice di una specifica scelta identitaria.
In questo panorama la Conferenza del 6 luglio su “The contribution on the Psychology for the Strategies of Feeding the Planet, Energy for Life”, prevista presso il Padiglione Italia avrà un valore culturale e scientifico di grande rilievo poiché verranno presentati i principali contributi che la Psicologia può offrire alla molteplicità dei temi dell’alimentazione e quindi dell’Expo 2015. Sarà un’occasione per avere una illuminata sintesi dei migliori lavori scientifici presentati più in dettaglio durante il XIV European Congress of Psychology in relazione a EXPO 2015, in grado di spiegare ancora di più il valore psicologico e sociale del cibo e della sua capacità di guidare e condizionare il consumo alimentare. Per la prima volta infatti il Congresso prevede una approfondita sessione trasversale coerente con la più importante Fiera del Mondo ovvero l’EXPO. Per fare ciò si sono cerati i cosiddetti Hot Topics Expo 2015, ovvero tematiche in grado di attrarre ricercatori, studiosi e professionisti in relazione a diversi temi EXPO.

Quale sarà l'eredità di Expo 2015?
Durante il periodo EXPO sono previste innumerevoli iniziative di diffusione della conoscenza in ambito agro-alimentare, ambientale, economico, politico, giuridico e medico intorno allo slogan “nutrire il pianeta, energia per la vita”. Solo in Padiglione Italia sono previste più di 200 eventi scientifico- culturali strutturati; un numero molto simile è previsto in padiglione Commissione Europea , contiguo a padiglione Italia. Si tratta di eventi multidisciplinari di alto livello con speakers internazionali , per la gran parte ricercatori. Gli atti di questi convegni rappresentano di per sé una testimonianza importante di quelle che è stata nella preparazione e sarà nella attuazione una vera e propria sfida intellettuale volta a trovare un consenso su temi controversi, a volte scottanti, come la degradazione delle terre agricole, la perdita di risorse idriche, gli OGM, l’uso massivo di antibiotici nell’allevamento animale, le criticità ancora aperte in tema di nutrizione nei pesi sviluppati, tanto per citarne solo alcuni. Su quest’ultimo punto in particolare è degno di nota un progetto promosso da Padiglione Italia che si configura nel “Manifesto delle criticità in nutrizione clinica e preventiva” del nostro paese .
Si tratta di un documento importante che descrive le 10 criticità più importanti nel campo della nutrizione clinica e preventiva nel nostro paese e propone una serie di proposte di intervento sostenibili.

Il gruppo di lavoro coordinato dal prof. Lucio Lucchin e composto da scienziati appartenenti a 17 Società scientifiche nazionali che si occupano di nutrizione, 13 Università Italiane, 3 Fondazioni e 2 Associazioni cittadini dichiarano in questo documento che sarà divulgato nei prossimi mesi che le criticità identificate costituiscono realmente una seria problematica socio- sanitaria per la comunità, non solo nazionale e che la Nutrizione Clinica e Preventiva deve recuperare un ruolo strategico nella pianificazione sanitaria pubblica.

Infine al mondo che verrà a scuola di cibo per 6 mesi in EXPO l’Italia si appresta a lasciare in eredità la sopra-citata dichiarazione-manifesto chiamata “Carta di Milano” che intende impegnare in prima persona, cittadini, membri delle associazioni della società civile e imprese per vincere questa sfida globale, chiedendo anche alle istituzioni locali, nazionali e internazionali di assumersi precise iniziative. Se questa carta come ci auguriamo incontrerà il favore del largo pubblico presente in Expo, che si stima intorno ai 20 milioni di persone, e soprattutto della gran parte degli abitanti del pianeta, essa andrà a costituire senza dubbio la vera eredità di EXPO Milano per gli anni a venire. 
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