POLITICA
Magistratura
Giustizia, Cartabia: "Riforme non risolutive senza cambio costumi"
La Guardiasigilli considera "preoccupante la lacerazione del rapporto di fiducia con i cittadini" e "Rosario Livatino è il modello da seguire per recuperare credibilità"
"Possiamo - ha aggiunto - modificare l'organizzazione e i sistemi elettorali dell'organo di autogoverno; possiamo cambiare le regole per le nomine e rafforzare tutte le possibili incompatibilità e i divieti; possiamo rivedere i meccanismi dei giudizi disciplinari: possiamo discutere su ogni riforma possibile - e lo stiamo facendo. E lo faremo -. Ma tutto questo, dobbiamo esserne consapevoli, potrà al più aiutare a contrastare le patologie, ma nessuna cornice normativa, per quanto innovativa e radicale, potrà di per sé generare quello stile e quella statura che i cittadini si attendono dal giudice".
Nel particolare momento che la magistratura sta vivendo, la figura del giudice, ucciso a 38 anni, è stata indicata come modello da seguire dalla Guardasigilli perché Rosario Livatino è stato "un 'modello senza tempo' di magistrato" verso il quale "alzare lo sguardo. Oggi più che mai" ha detto "un uomo che ha lasciato un testamento morale, che riletto oggi diventa una traccia da cui ripartire, per tornare ad essere innanzitutto 'credibili', agli occhi di quel popolo, nel cui nome viene amministrata la giustizia".
"Disciplina e onore", "indipendenza e imparzialità" richiede la Costituzione" ha sottolineato Cartabia, che ha ricordato l'insegnamento e le parole di Livatino: "L'indipendenza del giudice non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrificio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni; ma l'indipendenza del giudice - scriveva Rosario Livatino - risiede anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari: tuttora consentiti ma rischiosi. E nella rinuncia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza". Nella stagione attuale, ha proseguito Cartabia, c'è una "profonda crisi della magistratura" e una "preoccupante lacerazione del rapporto di fiducia con i cittadini".
Cartabia ha sottolineato come Livatino sia stato un 'magistrato degno' della toga che indossava: "Il giuramento non fu per lui un mero rito, né un vuoto adempimento formale. Lo visse come impegno solenne, davanti a se stesso, a Dio, e a tutta la Repubblica Italiana che lo chiamava a svolgere le funzioni pubbliche a lui affidate con 'disciplina e onore', come richiede l'art. 54 della Costituzione. Una disposizione troppo spesso ignorata, dimenticata, trascurata: 'I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento'. Disciplina e onore: nella professione e nella vita. La preoccupazione dominante in lui, giorno per giorno, ora per ora, fu quello di 'essere degno' della delicatissima funzione del giudicare che aveva accettato di svolgere. Degno di giudicare: 'giudicare non per condannare ma per redimere', come ha ricordato Papa Francesco, in occasione della sua recente beatificazione. Degno di giudicare: nella incessante ricerca di coniugare fermezza e umiltà. Profonda, autentica umiltà. Degno di giudicare, con indipendenza e imparzialità, perché 'l'indipendenza del giudice - diceva Livatino - è nella credibilità che il giudice riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni e in ogni momento della sua attività", ha concluso Cartabia.