ITALIA
Ecco il logo che certifica i bar senza macchinette
Il bar senza slot, contro il gioco d'azzardo una battaglia di civiltà
Anche in Toscana arriva “No Slot”, il simbolo per identificare locali e bar senza slot machine e video lottery. È un altro tentativo di dare una risposta radicale al dramma sociale del gioco d’azzardo liberalizzato che colpisce soprattutto i ceti popolari. Un business spesso nelle mani della criminalità organizzata
Tutto è cominciato quando un giorno, un gruppo di amici di Pavia - città con una slot machine ogni 110 abitanti - decidono che avrebbero bevuto il caffè solo nei bar senza macchinette mangiasoldi e formano, così, il Collettivo Senza Slot. “Non andare in tilt”, “Non lasciarti catturare”, “Non giocarti la fortuna”, “Vinci solo quando smetti”, sono alcuni degli slogan proposti dal ‘movimento’ che - da qualche anno - intraprende azioni a contrasto, prevenzione e riduzione del rischio della dipendenza dal gioco patologico. Il logo identificativo di bar, associazioni e circoli ricreativi che scelgono di non installare macchinette ‘pericolose’ per soggetti a rischio, che ci si augura di vedere in sempre più esercizi commerciali. Intanto la giunta regionale toscana realizzerà, anche sul proprio sito web, uno specifico portale per gestire le richieste di adesione all'iniziativa.
Una trappola, tra burocrazia e criminalità organizzata
Nel 2012 gli italiani hanno speso 90 miliardi di euro per i giochi d'azzardo (dal ‘gratta e vinci’ al ‘poker on line’), ben 10 in più dell'anno precedente, oltre la metà dei quali sono finiti nelle macchinette. Un’inchiesta di Terre di Mezzo rileva che “se aprire le porte del proprio esercizio alle slot è facile, molto più difficile è sbarazzarsene. Il piccolo barista infatti deve affrontare una gigantesca macchina da soldi pilotata dai Monopoli di Stato, che affidano la gestione dei giochi a 10 grandi società concessionarie di cui solo due, Lottomatica e Snai, sono italiane. Le altre hanno sede in Lussemburgo (Gamenet, Cogetech, Hbg Connex e Sisal), Spagna (Cirsa e Codere), Svizzera (G.Matica) e Regno Unito (Bplus). Le concessionarie, poi, tramite 5mila imprese che danno lavoro a 120mila persone, installano le slot machine negli spazi commerciali sul territorio. Chi rinuncia deve mettere in conto pressioni psicologiche, penali da pagare e la perdita di allettanti benefit. A Milano, la cosca dei Valle-Lampada aveva creato ben quattro imprese attive nel settore e collocato 347 slot machine e videolottery in 92 locali della città e della provincia, che fruttavano agli ‘ndranghetisti dai 25mila ai 50mila euro al giorno. Una parte di questi soldi sarebbe dovuta finire nella casse dello Stato, ma gli inquirenti sospettano che molte macchinette fossero state manomesse per fornire dati falsi ai Monopoli e alla società concessionaria, la lussemburghese Gamenet. Quest'ultima, scrive il pubblico ministero Ilda Boccassini, ‘non controlla nulla e pensa solo a portare a casa i soldi’, tanto da accettare che i Lampada le saldino in contanti un debito di 750mila euro, in 12 comode rate.” E, secondo il rapporto ‘Azzardopoli’, curato da Libera, “in Italia sono ben 49 i clan coinvolti in questo business: organizzano bische clandestine (circa 10 miliardi di euro all'anno il giro d'affari) oppure si inseriscono nel gioco legalizzato. Nell'area di Santa Maria Capua Vetere (Ce), i boss del clan Amato Belfiore convincevano i baristi ad accettare le loro macchinette mandando uomini armati. In certi casi, ci vuole fegato per dire ‘no slot’.
La malattia e le vite rovinate
Il GAP (gioco d’azzardo patologico) è una malattia riconosciuta, e i giocatori patologici e i loro familiari devono ricorrere alle visite di psicologi ed educatori, nonché ai farmaci per tenere a bada ansia e stress (senza contare chi addirittura ha perso il posto di lavoro o è stato sfrattato perché non riusciva più a pagare l'affitto). La Sardegna registra numeri impressionanti in termini di pazienti affetti da ludopatia: questa è un’altra, drammatica faccia della crisi che porta cittadini a impoverirsi, a diventare dipendenti, a ricorrere all’usura distruggendo sé stessi e la loro famiglia. I costi sanitari diretti - in generale - ammontano a poco più di 85 milioni di euro, mentre quelli indiretti, calcolati considerando che i giocatori hanno il 28 per cento di capacità lavorativa in meno, variano da un minimo di 4,2 a 4,6 miliardi di euro.” Dario Paladini, su TdM n°041, gennaio 2013 scrive che “è stata fatta poi una stima del valore della ‘perdita di qualità della vita’, dovuta alle violenze in famiglia o agli stati di depressione che possono colpire parenti o giocatori: da 1,1 a 1,8 miliardi. E le cose sono destinate a peggiorare con i giochi di nuova generazione, quelli on line, sempre più diffusi: a dicembre, il Politecnico di Milano ha contato 52 tra app e siti di gioco per smartphone e tablet disponibili sul mercato italiano, con un aumento del 79 % in dieci mesi.” “Sono i meno tassati e quindi in prospettiva lo Stato avrà meno introiti, mentre crescerà il numero delle persone con problemi di dipendenza”, afferma il presidente del Conagga (Coordinamento Nazionale Gruppi per Giocatori d’Azzardo) Matteo Iori, che conclude: “Abbiamo dimostrato che, alla fine, investire nel gioco non vale la pena” e - a proposito di quelle che dovrebbero essere le misure contenute in materia di spot e pubblicità nel dlgs dell’art.14 della Delega fiscale sul riordino del settore del Gaming, che a breve arriverà in Cdm - Iori trova ridicolo il divieto spot in fascia protetta h 16-19 ed esclusione eventi sportivi: “Altri paesi hanno norme più severe.”