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POLITICA

Il 31 dicembre 1991

Il discorso più breve della storia, i soli tre minuti di Cossiga nel 1991

Il suo commiato nel 1991 durò solo tre minuti e trenta. "Di tradizione pur sempre si tratta - disse - e non di legge imperativa: e ad essa per seri motivi, è legittimo, anzi può essere, come nel caso presente, puranco doveroso, derogare"

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di Mario De Pizzo "Parlare non dicendo non sarebbe conforme alla mia dignità di uomo libero". Era il 31 dicembre 1991 quando dal Colle il presidente Francesco Cossiga "entrò via etere" nelle case degli italiani per dichiarare in soli 3 minuti e 32 secondi la propria volontà di "non tenere" un discorso di fine anno.
"E' tradizione del nostro Paese che il presidente della Repubblica, alla fine del vecchio e alla vigilia del nuovo anno, rivolga un messaggio alla nazione. Ma di tradizione pur sempre si tratta e non di legge imperativa: e ad essa per seri motivi, è legittimo, anzi può essere, come nel caso presente, puranco doveroso, derogare". Questo, l'incipit del suo intervento.

Gladio, la presunta follia, l'impeachment
E perché derogò Cossiga? Pochi giorni pirma aveva invitato il Parlamento a varare delle forti e profonde riforme dell'assetto istituzionale dello Stato. Già dopo il crollo del Muro di Berlino aveva intentato una polemica con il proprio partito la Dc, sui motivi stessi della propria ragion politica, dopo la fine del bipolarismo. Esortava tutto il sistema dei partiti al rinnovamento. Il tenore delle sue esternazioni era così forte che il Pci - Pds ne chiese l'incriminazione per alto tradimento alla Costituzione. Anche il quotidiano La Repubblica sosteneva l'ipotesi di impeachment. Solo un anno prima era scoppiato il caso "Gladio", la struttura di difesa parallela - di cui Cossiga era ritenuto il responsabile - che sarebbe dovuta intervenire nel caso il Pci avesse preso in mano il Paese. 

In quel periodo si diffondevano voci di una presunta "follia" del presidente in carica. Qualche anno più tardi - nel libro "L'uomo che non c'è" - alla domanda di Claudio Sabelli Fioretti  "Lei è matto?", Cossiga avrebbe risposto così: ""Io sono evoluto. Io soffro e ho sofferto di depressione. Vuole che le faccia un elenco dei grandi depressi della storia? Churchill, Roosevelt, Newton, Kafka, Dostojewsky…"

"Il dovere sommo e quasi disperato della prudenza"
Il 31 dicembre 1991, però, Cossiga decise di non rispondere, ma di richiamarsi al "dovere sommo e quasi disperato della prudenza" - disse. 

Proseguì, affermando di "privilegiare sempre la propria retta coscienza, di dover essere un buon servitore della legge e anche della tradizione, ma soprattutto di Dio e della verità". E allora, proprio per questo decise: "Mi sembra meglio tacere".

Dedicò comunque la chiosa al Paese e agli italiani: "Gente comune del mio Paese, vogliate comprendermi e anche perdonarmi. Con animo fraterno, vi rivolgo i voti augurali di benessere e di serenità.  Per la nostra repubblica auspico un anno di forte impegno nella libertà e di coraggio", concluse.

Il suo mandato sarebbe scaduto il tre luglio 1992, ma lui poi si sarebbe dimesso in anticipo il 28 aprile.
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