ITALIA
Il rapporto "L'integrazione degli immigrati e dei loro figli in Italia"
Ocse: in Italia in 10 anni triplicata la percentuale di migranti
Dal 2001 al 2011, infatti, la percentuale di immigrati sul totale ha raggiunto quota 9%, per un totale di circa 4,5 milioni di persone. Vale a dire l'11% della popolazione in età lavorativa
Roma
L'Italia, insieme alla Spagna, è il Paese Ocse in cui la popolazione immigrata regolare è cresciuta di più negli ultimi anni. Dal 2001 al 2011, infatti, la percentuale di immigrati sul totale della popolazione è quasi triplicata, fino a raggiungere il 9%, per un totale di circa 4,5 milioni di persone che, a propria volta, rappresentano quasi l'11% della popolazione in età lavorativa (15-64 anni). Persone che giungono nel nostro Paese spinte, principalmente, dalla ricerca di occupazione e, successivamente, da ricongiungimenti familiari e ragioni umanitarie.
È quanto emerge dal rapporto "L'integrazione degli immigrati e dei loro figli in Italia", predisposta dall'Ocse su richiesta del Cnel. La ricerca rientra nella serie di studi "Jobs for Immigrants", condotti dalla Divisione per le migrazioni internazionali per le migrazioni internazionali dell'Ocse, a partire dal 2007 su 11 paesi dell'area. Dalla comparazione con gli altri paesi la situazione dell'Italia emerge nelle sue peculiarità non solo per il volume della popolazione immigrata, ma anche per il sistema dei permessi e le procedure per la regolarizzazione e le politiche di integrazione e la loro implementazione sul territorio nazionale.
Immigrazione di origine europea, la più consistente
Inizialmente, la maggior parte dei migranti proveniva dall'area Ue, dal Nord Africa e dalle Filippine. Con l'allargamento dell'Ue, gli immigrati di origine europea, soprattutto albanesi, rumeni ed ex-jugoslavi, costituiscono oggi più della metà della popolazione immigrata del nostro Paese. Le procedure per l'acquisizione della cittadinanza, inoltre, risultano molto rigide rispetto ad altri Paesi Ocse.
Le infrastrutture per l'integrazione
La rassegna sottolinea inoltre come, a causa del carattere recente di gran parte dell'immigrazione in Italia, alcuni aspetti delle infrastrutture per l'integrazione sono meno sviluppati che nella maggior parte dei Paesi con una lunga esperienza di immigrazione alle spalle. Il quadro antidiscriminazione, ad esempio, o le misure per la formazione linguistica risentono della dimensione fortemente regionale dell'immigrazione, nonchè della mancanza di coordinamento a livello nazionale e del moltiplicarsi di attori a livelli regionali e locali.
Le raccomandazioni e le buone pratiche
Il documento suggerisce alcune buone pratiche e proposte di miglioramento: la promozione di attività e strumenti per la formazione, una forte azione di contrasto al lavoro sommerso e irregolare, il miglioramento delle infrastrutture per l'integrazione, l'intensificazione dei controlli su quelle già operanti, un maggiore coordinamento tra le diverse iniziative locali e l'agevolazione dell'incontro domanda/offerta.
È quanto emerge dal rapporto "L'integrazione degli immigrati e dei loro figli in Italia", predisposta dall'Ocse su richiesta del Cnel. La ricerca rientra nella serie di studi "Jobs for Immigrants", condotti dalla Divisione per le migrazioni internazionali per le migrazioni internazionali dell'Ocse, a partire dal 2007 su 11 paesi dell'area. Dalla comparazione con gli altri paesi la situazione dell'Italia emerge nelle sue peculiarità non solo per il volume della popolazione immigrata, ma anche per il sistema dei permessi e le procedure per la regolarizzazione e le politiche di integrazione e la loro implementazione sul territorio nazionale.
Immigrazione di origine europea, la più consistente
Inizialmente, la maggior parte dei migranti proveniva dall'area Ue, dal Nord Africa e dalle Filippine. Con l'allargamento dell'Ue, gli immigrati di origine europea, soprattutto albanesi, rumeni ed ex-jugoslavi, costituiscono oggi più della metà della popolazione immigrata del nostro Paese. Le procedure per l'acquisizione della cittadinanza, inoltre, risultano molto rigide rispetto ad altri Paesi Ocse.
Le infrastrutture per l'integrazione
La rassegna sottolinea inoltre come, a causa del carattere recente di gran parte dell'immigrazione in Italia, alcuni aspetti delle infrastrutture per l'integrazione sono meno sviluppati che nella maggior parte dei Paesi con una lunga esperienza di immigrazione alle spalle. Il quadro antidiscriminazione, ad esempio, o le misure per la formazione linguistica risentono della dimensione fortemente regionale dell'immigrazione, nonchè della mancanza di coordinamento a livello nazionale e del moltiplicarsi di attori a livelli regionali e locali.
Le raccomandazioni e le buone pratiche
Il documento suggerisce alcune buone pratiche e proposte di miglioramento: la promozione di attività e strumenti per la formazione, una forte azione di contrasto al lavoro sommerso e irregolare, il miglioramento delle infrastrutture per l'integrazione, l'intensificazione dei controlli su quelle già operanti, un maggiore coordinamento tra le diverse iniziative locali e l'agevolazione dell'incontro domanda/offerta.