POLITICA
La grande partita sul Quirinale. Intervista a Marco Damilano
Il 2015 si apre con la grande partita dell'elezione del Presidente della Repubblica. Infatti, come annunciato nel suo discorso di fine anno, in questo mese, probabilmente verso la metà, Giorgio Napolitano darà le sue dimissioni. Come si svilupperà questo delicatissimo passaggio politico? Ne parliamo con Marco Damilano, cronista politico del settimanale “L’Espresso”.
Per alcuni sono stati gli anni della "Supplenza" nei confronti di una politica debole. Per altri, i suoi critici, Giorgio Napolitano ha incarnato una figura di Presidente della Repubblica che è andata oltre il dettato Costituzionale. Esagerazioni?
«Qualcuno parla rispetto ai poteri del Capo dello Stato di fisarmonica. Nel senso che si possono allargare o restringere a seconda delle necessità. Di certo Napolitano è stato un presidente molto sensibile alle dinamiche politiche, ha rappresentato l'unico punto di riferimento anche sul piano internazionale di una politica che tendeva a disgregarsi. Quando fu eletto la prima volta a maggioranza assoluta, nel 2006, il suo grande elettore fu Prodi e c'era il governo dell'Unione, si è trovato a dover sciogliere quasi subito le Camere nel 2008, ha gestito il centro-destra di Berlusconi nella fase di massimo potere e poi nel crollo, quindi ha visto l'ascesa del Movimento 5 Stelle e quindi di Matteo Renzi da cui lo dividono cinquant'anni di età e un abisso per origini culturali e approccio ai problemi, ma lo unisce una comune idea sul primato della politica. Il paradosso di Napolitano è stato il suo essere un presidente espressione del sistema politico tradizionale che si ritrova costretto a operare strappi continui rispetto alle regole materiali di quel sistema».
Veniamo al discorso di fine anno. Un addio per niente sereno, date le condizioni pesanti dell'Italia, con toni marcati di grande preoccupazione (dalla crisi economica alla corruzione). Ha lanciato però segnali molto chiari, verso la fine, a proposito del suo successore: ha parlato di "senso della Costituzione". Un segnale forte ai "grandi elettori" del prossimo Presidente. E' così?
«Sì, ma come abbiamo visto il senso della Costituzione cambia a seconda delle circostanze. In quella frase c'è chi vede l'indicazione di un giudice costituzionale: Sabino Cassese o Sergio Mattarella o Giuliano Amato. Oppure una figura come il magistrato Raffaele Cantone. A me sembra soprattutto che Napolitano voglia giocare un ruolo sulla sua successione. A differenza di Ratzinger che dopo le dimissioni non è potuto entrare nel Conclave che ha eletto papa Francesco, Napolitano come senatore a vita potrà partecipare, se lo desidera, all'elezione del suo successore».
Ogni elezione presidenziale ha una sua storia e un suo "regista". Questa volta tocca a Matteo Renzi. Come si muoverà? Lucia Annunziata, nel suo editoriale su L'HuffingtonPost, parlava di due alternative per Renzi: o fare eleggere un "avatar" (una sorta di seconda figura in modo da non ostacolare la sua visibilità) oppure un suo "pari", ovvero un Presidente di grande spessore capace di bilanciare, come è giusto nella logica democratica, il potere dell'esecutivo. E' giusta, secondo lei, questa alternativa?
«L'alternativa è questa. Renzi intende normalizzare il sistema politico italiano riportando il cuore delle decisioni a Palazzo Chigi, dove c'è il capo dell'esecutivo, cioè lui. In sintonia, si dice, con quanto succede in Inghilterra o in Germania, dove la centralità del potere politico spetta al premier o al Cancelliere, non alla regina o al presidente federale. Il Quirinale interventista sarebbe in questo schema un'anomalia da chiudere. Io credo però che Renzi sappia anche che in Italia i poteri costituzionali del presidente sono diversi da quelli del presidente tedesco. E che un nome spendibile sul piano internazionale sia un aiuto anche per lui, soprattutto in caso di scontro con le istituzioni europee».
Berlusconi e il Movimento 5Stelle quanto influenzeranno la partita per il Colle?
«Berlusconi si è già messo in una condizione di subalternità: voterà il nome del Pd di Renzi chiunque egli sia. Ma questa disponibilità è destinata a far innervosire parecchia gente, nel Pd ma anche in Forza Italia. M5S è di fronte alla tentazione di entrare nel gioco, come ha già fatto con successo in occasione dell'elezione di una giudice della Corte costituzionale. Oppure restare nel gioco più tradizionale, restare fuori dalle trattative e gridare all'inciucio. Arma spuntata, però, come si è visto».
Ultima domanda: Di nomi se ne fanno tanti. Chi, secondo lei, ha più chance? Romano Prodi può farcela stavolta?
«Se Renzi se la gioca in senso alto, prova a chiudere con Forza Italia e con una parte di M5S un accordo sul nome di Prodi. È il candidato con il curriculum più prestigioso, da tempo non è più un uomo di partito, da uomo di Maastricht si è trasformato in uno dei critici più severi dell'austerità alla Merkel e ha una rete di relazioni internazionali impressionanti. A Berlusconi può garantire che la pace si fa con il nemico, tra gli iscritti al blog di Grillo è già stato inserito nella top ten dei candidati nel 2013 e se i deputati e senatori di M5S avessero avuto il coraggio di votarlo la storia sarebbe cambiata. Se invece l'elezione si trasforma in una ruota della fortuna da cui può emergere un nome più debole, la lista degli aspiranti diventa lunghissima. E pescare la carta vincente sarà come giocare al mercante in fiera».