ITALIA
Il punto
Mafia Capitale, il terremoto giudiziario che ha sconvolto Roma
Il prossimo 5 novembre parte il processo: 46 in totale gli imputati raggiunti nei mesi scorsi dal giudizio immediato ottenuto dai pm guidati da Giuseppe Pignatone. Tra loro i presunti capi del clan: Massimo Carminati e Salvatore Buzzi. A processo anche esponenti della politica locale come l'ex capogruppo di FI al consiglio regionale, Luca Gramazio e l'ex presidente del Consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti del Pd
È lo stesso Carminati, “er cecato” - personaggio chiave della Roma degli anni ‘70 e ‘80 quando militava nell’estrema destra romana con un ruolo attivo nei nuclei armati rivoluzionati per i suoi rapporti con la banda della Magliana – a fornire la migliore descrizione dell’associazione, del suo funzionamento e del suo ruolo di cerniera tra il mondo della illegalità e quello dell’almeno apparente legalità.
“Il mondo di mezzo” non è dunque una trovata dei magistrati ma la lucida analisi che Carminati fa al tavolo di un bar in piazza Vigna Stelluti, nel quartiere Parioli, il 13 dicembre 2013 parlando con il suo braccio destro Riccardo Brugia. Nell’ordinanza firmata dal procuratore capo Giuseppe Pignatone c’è anche l’articolo 416 bis, cioè l’aggravante per associazione mafiosa.
MAFIA CAPITALE, ATTO PRIMO
La prima tranche di arresti scatta il 2 dicembre 2014: 29 persone in carcere, 8 ai domiciliari, circa 100 gli indagati tra cui l’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno. Beni sequestrati per 200 milioni di euro. I reati: associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione, usura, riciclaggio, turbativa d’asta, false fatturazioni. I settori su cui avrebbero lucrato: il verde pubblico, gli immigrati, l’emergenza abitativa e i campi nomadi.
Al vertice dell’organizzazione ci sarebbe, appunto, Massimo Carminati, ex terrorista nero, ex banda della Magliana. A lui si ispira De Cataldo per il personaggio del Nero in Romanzo criminale.
Al suo fianco Salvatore Buzzi, a capo della più grande cooperativa romana, la 29 Giugno, un fatturato annuo da 60 milioni di euro.
Buzzi rappresenterebbe il volto presentabile dell’organizzazione, l’ex detenuto redento che con le sue cooperative offre un futuro di reinserimento. E’ lui che intercettato al telefono dice “Pago tutti” e in un’altra telefonata spiega: “Con gli immigrati si fanno molti più soldi che con la droga”.
A libro paga di Buzzi ci sarebbe Luca Odevaine, “5 mila euro al mese” dice Buzzi al telefono con un collaboratore. Nell’ordinanza i magistrati descrivono l’ex vice capo di gabinetto di Walter Veltroni poi esponente del Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza dei migranti del ministero dell’Interno come “un signore che attraversa, in senso verticale e orizzontale, tutte le amministrazioni pubbliche più significative”.
I tre, stando alle carte dell'inchiesta, si relazionerebbero con larghi strati della burocrazia e dell’amministrazione locale, comunale e regionale – di ogni schieramento politico conservando e rinnovando la propria rete di relazioni da una consiliatura all’altra - per concentrare appalti, truccati, nelle mani delle imprese e delle coop in cui traggono vantaggi, in cambio di quelle che loro chiamano nelle intercettazioni “stecche”, le tangenti.
Tra gli arrestati ci sono anche l'ex amministratore delegato di Ama Franco Panzironi, il dirigente di Ama Giovanni Fiscon, l'ex ad di Ente Eur Riccardo Mancini – da sempre braccio estro di Alemanno e l'ex dirigente del servizio giardini del Comune di Roma Claudio Turella.
Panzironi e Mancini sarebbero stati due "pubblici ufficiali a libro paga" che avrebbero fornito "all'organizzazione uno stabile contributo per l'aggiudicazione degli appalti". I due manager si sarebbero adoperati anche per "lo sblocco dei pagamenti in favore delle imprese riconducibili all'associazione e come garanti dei rapporti dell'associazione con l'amministrazione comunale".
A Regina Coeli è finita tutta la "cupola nera", quella rete di collaboratori e faccendieri che avrebbe fatto riferimento al "Re" Carminati come il braccio destra Riccardo Brugia, il manager Fabrizio Franco Testa e Nadia Cerrito, la donna a cui l'organizzazione aveva affidato la gestione del "libro nero", una sorta di contabilità del sistema di tangenti con cui il clan mungeva la macchina amministrativa della Capitale.
In manette anche Giovanni De Carlo, il delfino di Carminati, amante dei locali notturni e della bella vita. “Giovannone” si è costituito a Fiumicino qualche giorno dopo il bliz. Un uomo definito da Ernesto Diotallevi (boss il cui nome è stato associato alla Banda della Magliana), come “trasversale” e “capace di contare materialmente nel panorama criminale romano".
Poi Roberto e Giovanni Lacopo, Matteo Calvio definito lo “spacca pollici di Carminati”, Fabio Gaudenzi, Raffaele Bracci, Cristiano Guarnera, Giuseppe Ietto, l’imprenditore Agostino Gaglianone, Carlo Pucci, Sandro Coltellacci, Claudio Caldarelli, Carlo Maria Guarany, Emanuela Bugitti, Alessandra Garrone, Paolo Di Ninno, Pierina Chiaravalle, Giuseppe Mogliani, Claudio Turella, Emilio Gammuto.
Tra gli indagati ci sono anche tre esponenti di punta dell'amministrazione capitolina: l'assessore alla casa Daniele Ozzimo e il presidente dell'assemblea capitolina Mirco Coratti, entrambi del Pd. Si dimettono pur dichiarandosi "estranei", ma poi finiranno in manette nella seconda tranche di arresti che scatta il 4 giugno. Indagato anche il responsabile della Direzione Trasparenza del Campidoglio, Italo Walter Politano, che sarà rimosso dal suo incarico, così come Gennaro Mokbel, già coinvolto nella maxitruffa Tis e Fastweb.
Il tribunale del Riesame ha respinto alcuni dei ricorsi di scarcerazione, tra questi quelli avanzati da Buzzi e Panzironi. E' tornato invece in libertà già dal dicembre 2014 l’ex amministratore delegato di Eur spa Riccardo Mancini. "Non sembra possa essere affermato che egli faccia parte dell'associazione criminale" scrivono i giudici del Riesame nelle motivazioni della sentenza. A giugno la procura ha chiesto e ottenuto il giudizio immediato, quindi senza udienza preliminare, per Carminati e altre 33 persone: principalmente i soggetti ritenuti collusi con il sodalizio criminoso come gli imprenditori o i manager Fabrizio Franco Testa, Cristiano Guarnera, Agostino Gaglianone, gli ex dirigenti di Ama come Franco Panzironi e Giovanni Fiscon, e i pubblici ufficiali come Luca Odevaine. Sulle loro sorti deciderà la X sezione penale a decidere. Il prossimo 5 novembre si apre il processo a Rebibbia.
MAFIA CAPITALE, ATTO SECONDO
Il secondo terremoto politico-giudiziario scatta il 4 giugno 2015 e riguarda in totale 44 persone. Gli arresti vengono effettuati tra Roma, Rieti, Frosinone, L'Aquila, Catania ed Enna. Le manette, bipartisan, scuotono ancora una volta Comune e Regione. Sullo sfondo di questo sviluppo dell'inchiesta "Mondo di Mezzo" il business agli immigrati.
Nell'ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip Flavia Costantini su richiesta della procura distrettuale antimafia di Roma, vengono ipotizzati i reati di associazione di tipo mafioso, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni, trasferimento fraudolento di valori ed altro.
Tra gli arrestati il consigliere regionale di Forza Italia Luca Gramazio. È accusato di partecipazione all'associazione mafiosa capeggiata da Carminati, che avrebbe favorito sfruttando la sua carica politica: prima di capogruppo Pdl al Consiglio di Roma Capitale ed in seguito quale capogruppo Pdl (poi FI) presso il Consiglio Regionale.
In manette anche l'ex presidente del Consiglio Comunale di Roma Mirko Coratti, del Pd e l'ex assessore alla Casa del Campidoglio Daniele Ozzimo. Ordinanze di custodia anche per i consiglieri comunali Giordano Tredicine (FI) e Massimo Caprari (Centro Democratico), per l'ex direttore del Dipartimento Politiche sociali di Roma Capitale Angelo Scozzafava, e per Andrea Tassone, ex presidente del Municipio di Ostia, territorio considerato ad alta infiltrazione mafiosa poi commissariato su richiesta del prefetto Gabrielli.
Ai domiciliari i manager della cooperativa "La Cascina" Domenico Cammissa, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita, mentre Francesco Ferrara è finito a Regina Coeli. La sede della cooperativa, vicina al mondo cattolico, (gestisce tra l'altro il Cara di Mineo, in Sicilia) è stata perquisita dai carabinieri. Arresti domiciliari anche per l'imprenditore D. P. .
Tra le 21 perquisizioni anche una nell'abitazione dell'ex capo di gabinetto di Nicola Zingaretti, Maurizio Venafro, indagato per tentativo di turbativa d'asta relativamente all'appalto, poi sospeso, sul Cup della Regione Lazio. Venafro nel marzo scorso, dopo avere saputo di essere indagato, si è dimesso. Gli accertamenti - è scritto nell'ordinanza di 450 pagine - oltre a confermare la "centralità, nelle complessive dinamiche dell'organizzazione mafiosa diretta da Massimo Carminati" evidenziano come Salvatore Buzzi sia "riferimento di una rete di cooperative sociali che si sono assicurate, nel tempo, mediante pratiche corruttive e rapporti collusivi, numerosi appalti e finanziamenti della Regione Lazio, del Comune di Roma e delle aziende municipalizzate".
Come lo spiega proprio Buzzi in un'intercettazione: "La mucca deve mangiare" per essere "munta". Nelle carte torna ancora una volta il nome di Luca Odevaine, già detenuto a Torino e considerato al centro di un "articolato meccanismo corruttivo" proprio per il suo ruolo nel Tavolo di Coordinamento Nazionale sull'accoglienza per i richiedenti asilo: "Se me dai...me dai cento persone facciamo un euro a persona" avrebbe spiegato ai manager della cooperativa La Cascina, interessati alla gestione dei Centri per gli immigrati.
Nelle carte si ritrova ancora il nome di Gianni Alemanno. Per le elezioni al Parlamento europeo del maggio 2014, l'ex sindaco, secondo l'accusa, avrebbe chiesto appoggio a Salvatore Buzzi. Quest'ultimo si sarebbe mosso per ottenere il sostegno alla candidatura anche con gli uomini della cosca 'ndranghetista dei Mancuso di Limbadi.
L’11 agosto scorso i pm hanno chiesto il giudizio immediato per le persone raggiunte il 4 giugno scorso da provvedimento di custodia. Richiesta accolta dal gip di Roma il 19 agosto. Il procedimento è stato unificato alla prima operazione su Terra di Mezzo e il dibattimento inizierà il prossimo 5 novembre: in tutto sono 59 gli indagati.
IL MAXIPROCESSO
Si annuncia un vero e proprio maxiprocesso quello al 'Mondo di mezzo', la presunta organizzazione di stampo mafioso che avrebbe inquinato appalti, oliando politici con mazzette e favori. Accogliendo la richiesta presentata l'11 agosto scorso dalla Procura di Roma, il gip ha dato il via libera al processo con rito immediato per altre 34 persone, tutte coinvolte nella seconda tranche dell'inchiesta. Anche per loro, così come già avvenuto per gli arrestati nel dicembre scorso, il processo è stato fissato al prossimo 5 novembre davanti ai giudici della X sezione penale.
Per ragioni di sicurezza il processo si svolgerà nell'aula bunker di Rebibbia. In totale sono 46 gli imputati raggiunti nei mesi scorsi dal giudizio immediato ottenuto dai pm guidati da Giuseppe Pignatone. Tra loro i presunti capi del clan: l'ex terrorista nero, Massimo Carminati e il ras delle cooperative romane, Salvatore Buzzi. I due non potranno essere fisicamente in aula e parteciperanno in videoconferenza. A processo anche esponenti della politica locale come l'ex capogruppo di Forza Italia al consiglio regionale, Luca Gramazio e l'ex presidente del Consiglio comunale di Roma, Mirko Coratti del Pd.
Per gli imputati le accuse vanno, a vario titolo, dall'associazione per delinquere di stampo mafioso, alla corruzione, turbativa d'asta, estorsione, riciclaggio e usura. Rinviati a giudizio anche i consiglieri comunali Massimo Caprari e Giordano Tredicine, l'ex presidente del Municipio X (Ostia) Andrea Tassone, Guido Magrini, nella qualità di direttore del Dipartimento delle Politiche Sociali della Regione Lazio, l'ex assessore comunale Daniele Ozzimo. Compariranno davanti ai giudici anche l'imprenditore D. P. e i dirigenti della cooperativa La Cascina: Francesco Ferrara, Salvatore Menolascina, Carmelo Parabita e Domenico Cammisa.
LE ORIGINE DELL'INDAGINE
L'indagine della Procura di Roma ha radici lontane che risalgono al settembre del 2011 quando Roberto Grilli, skipper romano di 51 anni, viene fermato al largo di Alghero con 503 chili di cocaina a bordo della sua barca a vela "Kololo II": a tradirlo un' avaria. Grilli comincia a raccontare il "sistema Carminati" e a scoperchiare la pentola del malaffare, dei mille traffici illeciti del clan. Grilli collabora e diventa la "gola profonda" che chiarisce ruolo, struttura, affari dell'organizzazione e dei vari componenti. Riconosce e identifica tutti gli uomini di Carminati e disegna l'organigramma.
Successive indagini (chiamate Catena e Catena II) tracciano il sistema illecito di Mafia Capitale e la sua capacità di penetrazione nella pubblica amministrazione. Dal business dei rifiuti a quello per l'accoglienza agli extracomunitari. E ancora: usura, gioco d'azzardo e appalti, tutto gestito da un comitato d'affari permanente che aveva interlocutori bipartisan pronti a scendere a patti con il clan.
Sterminato il potere di penetrazione della cupola, a volte anche millantato: dagli enti locali al Viminale, dalla Prefettura al Vaticano tramite alcune congregazioni religiose. Gli uomini di Carminati si muovono a tutto campo. Gestiscono e controllano sia la malavita locale, in particolare quella di Roma Nord, in mano - secondo l'inchiesta - all’ultrà della Lazio, Fabrizio Piscitelli detto "Diabolik", ma riescono ad accaparrarsi commesse e appalti importanti e milionari grazie ad agganci in "alto", avvicinando e corrompendo imprenditori e dirigenti di amministrazioni. Nella loro rete anche politici.