POLITICA
L'intervista
Alla vigilia delle consultazioni: quale governo ci aspetta?
Lo scenario politico prossimo venturo secondo l'editorialista della Stampa, Fabio Martini, che dice: "Alla fine deciderà uno scarto emotivo"
La prossima settimana incominceranno le consultazioni del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Non sarà facile per il Presidente sciogliere i nodi del risultato politico delle elezioni. Quali le incognite e quali scenari? Ne parliamo, in questa intervista, con Fabio Martini giornalista parlamentare della Stampa.
Fabio Martini, l'inizio della XVIII Legislatura, com'era prevedibile dai risultati elettorali, ci consegna, al momento, una situazione di stallo. abbiamo assistito al dialogo tra 5stelle e Salvini (considerato il player principale del Centrodestra), e la sensazione è che la convergenza su alcuni temi sia "fittizia". Insomma abbiamo assistito al "ballo delle maschere"?
Nella infinita quantità di messaggi spesso contradditori che arrivano all’opinione pubblica da parte di tutti i protagonisti del dopo-voto, ce n’è uno – meno esplicito - ma significativo: i due vincitori delle elezioni al momento sembrano fortemente motivati a farlo un governo insieme. Vogliono trasformare il voto in un governo. Di solito quando si esprime una volontà molto forte, questa prevale su una volontà più debole. Di solito, anche se non sempre.
Dalla prossima settimana, però, si dovrebbe fare sul serio. I nodi politici sono chiari: Salvini, l'azionista di maggioranza del centrodestra, non vuole spezzare l'unità della sua coalizione (coalizione dove Berlusconi ha ancora un ruolo), Di Maio rivendica la sua premiership a tutti i costi. L'impressione che si ha è che sia più debole rispetto a Salvini. Per te?
Di Maio è il leader del partito (nettamente) di maggioranza relativa, di gruppi parlamentari irregimentati con un regolamento dai tratti autoritari e soprattutto ha una ipotesi principale (io governo con Salvini) e tre subordinate: un tripartito comprendente anche Forza Italia; un governissimo con tutti dentro; un governo col Pd. Alla fine questa varietà di opzioni farà la differenza: qualsiasi combinazione di governo non lo potrà escludere.
Veniamo ai 5Stelle. Hanno occupato come una falange ogni incarico alla Camera, e manifestano una fame di potere impressionante. una bulimia "infantile", non è segno di maturità politica. Insomma citano, a sproposito, De Gasperi senza capirne la prassi. A me sembrano dei vetero trotzkisti. Potranno eliminare il "vitalizIo" e il resto?
Effettivamente nell’”en plein” che ha caratterizzato l’approccio dei Cinque Stelle agli uffici di presidenza delle Camere c’è qualcosa di anomalo, un di più che è importante capire. C’è una certa “fame” di poltroncine, è vero, magari per soddisfare la piccola ambizione di qualche esponente della nomenclatura; c’è la speranza genuina che occupando quelle postazioni si possano ottenere in modo più rapido legittimi obiettivi, come l’abolizione dei vitalizi, anche di quelli già ottenuti. Ma c’è pure una pulsione più impalpabile: l’idea che prendersi tutto sia un “diritto” dei vincitori, un risarcimento per torti, presunti o reali, subiti nella precedente legislatura. Qualcosa che somiglia ad una non matura cultura istituzionale.
Un altro segno inquietante è il PD. L'immobilismo è davvero impressionante. Un maestro di saggezza politica come Pierluigi Castagnetti ha scritto in questi giorni sull'alta dignità di essere opposizione. E i renziani lo stracitano a sproposito: "L'opposizione ci fa bene". Ma dimenticano le ultime righe dello scritto di Castagnetti, quando dice: "Si fa politica anche dall'opposizione. Se si ha dignità. E si hanno idee. Se non si ha nè l'una nè le altre, allora si deve semplicemente cambiare mestiere". Quello che si è visto è stato un partito immobile, paralizzato dalla presenza di Renzi.
Matteo Renzi ha già dimostrato di essere un leader molto autocentrato, che fatica a pensare la politica come qualcosa che abbia protagonisti diversi da lui e per questo continuerà a dire la sua, ad interferire. Ma si è dimesso in modo irrevocabile. Come fece Bersani nel 2013. In un grande partito, quando si lascia, si lascia. Quelle di Renzi non sono dimissioni finte, come continuano a scrivere autorevoli commentatori. Sono dimissioni vere, quelle che non hanno dato né Roberto Speranza (nel suo Mdp) e neppure Nicola Fratoianni, le cui dimissioni sono durate tre ore. Gli avversari di Renzi sembrano “vedovi” inconsolabili, ma devono “rassegnarsi” a ripensarsi senza di lui. Certo, Renzi resta presente, è ingombrante ma ora i notabili del Pd devono dimostrare di non essere, come qualcuno sospetta, degli abatini. Il futuro del Pd è nelle loro mani, anzi nelle loro teste: devono inventarsi una nuova ragione sociale per il Pd, per una sinistra di governo. Come appunto ha scritto uno degli ultimi maestri della precedente generazione, Castagnetti, c’è una grandezza anche nel fare opposizione. Ma occorre farla con dignità e idee. Per preparare una nuova stagione di governo.
Insomma un partito sofferente, che rischia l'ennesima devastante spaccatura. Altro che forza di opposizione.
Certo, una spaccatura non si può del tutto escludere. Se la maggioranza del Pd dovesse “convertirsi” ad un governo con i Cinque stelle, questo aprirebbe un nuovo spazio politico a Renzi, libero di congiungersi con i liberal di Forza Italia. Ma stiamo parlando di scenari improbabili. La postazione che salvaguarda l’unità del Pd è una sola: l’opposizione.
Veniamo a Silvio Berlusconi. Pensi che si rassegni al ruolo di comprimario?
Nel 1993 Berlusconi entrò in politica per salvaguardare le proprie aziende davanti ad una probabile vittoria del fronte progressista. Lo fece, innovando il linguaggio e anche il modo di far politica, virtù che si sono via via appannate, mentre, 25 anni dopo, è rimasto intatto l’obiettivo iniziale. Se questo obiettivo fosse messo in forse dalla nascita di un governo anti-sistema, farà di tutto per entrare nella partita, anche mettendosi di lato, non pretendendo più di essere “legittimato” dai nuovi “padroni” a Cinque stelle, ma contentandosi di una presenza laterale in un governo
Ultima domanda: alcuni osservatori prospettano un governo del "Terzo Uomo" (tra Salvini e Di Maio): è credibile questo?
Di Maio ha bisogno di guidare il governo per dare un senso alla propria impresa “salvifica” e dare un trofeo ai propri elettori. A Salvini, che viene da una scuola politica più pragmatica, interessa governare e lasciare subito un segno, anche non da palazzo Chigi. Al terzo uomo si arriverà, se si arriverà, per sfinimento. O per effetto di traumi esterni, che è meglio non ipotizzare. Senza fattori esogeni, un premier politico resta l’ipotesi meno improbabile, dunque un governo Di Maio, con forte presenza leghista e simbolica presenza forzista. Ma con una avvertenza che è soprattutto una sensazione: a decidere, in un senso o nell’altro questa complicata vicenda sarà uno scarto emotivo.