Original qstring:  | /dl/rainews/articoli/Processo-Mediaset-per-la-Cassazione-i-due-anni-di-interdizione-a-Berlusconi-sono-una-pena-adeguata-dfec8c83-2866-470f-8c14-4ac97b686e7d.html | rainews/live/ | true
POLITICA

Le motivazioni della sentenza

Processo Mediaset: per la Cassazione i due anni di interdizione a Berlusconi sono una pena adeguata

La Suprema Corte, nelle motivazioni alla sentenza del 18 marzo scorso, spiega perché i due anni comminati all'ex premier sono una pena adeguata. E sottolinea che l'imputato avrebbe potuto saldare il debito col fisco

(foto archivio)
Condividi
I due anni di interdizione dai pubblici uffici comminati a Silvio Berlusconi in aggiunta alla condanna a 4 anni di reclusione per la vicenda diritti Mediaset sono stati valutati correttamente. Lo dice la Suprema Corte nelle motivazioni della sentenza del 18 marzo scorso. Motivazioni in cui la Cassazione spiega che nel computare le pene accessorie come quella dell’interdizione dai pubblici uffici contano anche i reati prescritti e la personalità dell’imputato. Inoltre, si legge nelle motivazioni, non esiste come invece invocato dai difensori dell’ex premier, un cumulo tra interdizione ed incandidabilità, fattispecie questa che farebbe decadere anche il ricorso presentato dall’ex cavaliere a Strasburgo. In ogni caso poi, sottolineano i giudici di piazza Cavour, Berlusconi poteva ed era in grado di sanare il debito con il fisco, ma non lo ha fatto.  

Anche i reati "ormai estinti per prescrizione" vanno considerati nel valutare il periodo di interdizione dai pubblici uffici. Lo sottolinea la Cassazione, spiegando perché ha confermato i 2 anni di interdizione disposti dalla Corte d'Appello di Milano, in sede di rinvio, per Silvio Berlusconi, in relazione alla condanna a 4 anni di reclusione per frode fiscale nel processo Mediaset. "Il concetto di estinzione del reato per prescrizione - si legge nella sentenza della terza sezione penale - lascia intatta la valutazione della condotta, tanto è vero che rimangono invariate le eventuali statuizioni civili anche se il reato contestato venga dichiarato estinto per tale ragione".  La Corte di merito, osservano i giudici di piazza Cavour, "ha preso in esame, oltre che la gravità del fatto riferita alle condotte non estinte per prescrizione, anche la personalità dell'imputato da valutarsi globalmente, tenendo conto dei precedenti penali e giudiziari nell'ambito dei quali rientravano le condotte per fatti ormai estinti per prescrizione". Secondo i supremi giudici, dunque, va esclusa qualsiasi contradditorietà nel percorso motivazionale" dei giudici milanesi.  

Inoltre, non si può parlare di "cumulo delle sanzioni", come sostenuto dalla difesa di Berlusconi, in relazione ai due anni di interdizione dai pubblici uffici, e l'incandidabilità prevista dalla legge Severino. Non si tratta di un "cumulo", si legge nella sentenza, "ma di due misure che ben possono essere applicate contestualmente, avendo come riferimento fonti normative diverse". Infatti, per effetto della decisione del Senato e in applicazione delle disposizioni" della legge Severino, osserva la Corte, "Silvio Berlusconi ha perduto per la durata di sei anni, con decorrenza dal 27 novembre 2013, il proprio diritto di elettorato attivo e passivo. La perdita del medesimo diritto derivante dalla disposizione codicistica in tema di interdizione dai pubblici uffici - osservano i supremi giudici - ha durata biennale decorrente dalla data in cui diviene definitiva la sanzione accessoria. E tuttavia, per tale arco temporale, la limitazione dei diritti di elettorato dell'imputato è unica, pur essendo diverse le fonti normative di riferimento: il che esclude - conclude la Cassazione - il prospettato cumulo delle sanzioni". Ciò rende, secondo la Corte  "del tutto superfluo" il rinvio pregiudiziale alla Corte di Strasburgo che era stato richiesto dalla difesa, sulla base di una recente sentenza, riguardante il caso Ifil-Exor, e il principio del 'ne bis in idem' secondo il quale nessuno può essere giudicato due volte per gli stessi fatti.

L’imputato Silvio Berlusconi "avrebbe potuto comunque pagare, attingendo al proprio patrimonio personale, il debito fiscale gravante sulla Mediaset Spa, in coerenza con le disposizioni contenute nell'articolo 1180 del codice civile che, come è noto, prevede la possibilità per il terzo di adempiere l'obbligazione". I supremi giudici, in particolare, spiegano perché hanno rigettato le eccezioni di incostituzionalità sollevate dalla difesa; i legali di Berlusconi, infatti, avevano sottolineato in udienza dubbi di legittimità sulla mancata applicazione dell'attenuante prevista dal decreto legislativo sui reati fiscali. Secondo i difensori, era "irragionevole" vista l'"impossiblità per il ricorrente, in quanto ormai non più facente parte dei quadri societari, di pagare il debito, in quanto terzo estraneo all'accertamento fiscale". I giudici della Cassazione hanno ritenuto la questione "irrilevante", nonché manifestamente infondata", sottolineando, che Berlusconi "avrebbe potuto comunque pagare" il debito.
Condividi