POLITICA
Referendum, Istituto Cattaneo: elettori di Pd e PdL fluidi, M5s granitici
dell'Istituto Cattaneo svolta in 11 città sulle stime dei flussi elettorali attraverso il cosiddetto "modello di Goodman" ed effettuate su elettori e non su voti validi, al fine di poter includere nel computo anche gli interscambi con l'area del "non-voto". Il tutto calcolato a partire dalle elezioni politiche del 2013, punto temporale che costituisce una sorta di benchmark perché è da lì che si è affermato il formato essenzialmente tripolare della competizione. Si sottolinea in particolare che l'elettorato del Pd ha partecipato quasi interamente al voto (pochissimi - a parte il caso di Reggio Calabria - sono gli elettori del Pd che si sono astenuti). Il "No" ha invece avuto un'incidenza talvolta marcata. Nelle città del Nord e del Centro inserite nell'analisi il peso della diaspora verso il No varia da un minimo di un quinto (20,3% a Firenze) a un massimo di un terzo (33% a Torino). Al Sud questo peso è in alcuni casi anche maggiore: a Napoli e a Palermo più del 40% degli elettori Pd ha respinto la riforma. Già al referendum sulle trivelle di aprile, il Pd - ufficialmente schierato per l'astensione ma con voci dissenzienti a favore del sì - aveva perso la sua compattezza. Il voto sul referendum costituzionale - pur maggiormente "politicizzato" rispetto a quello delle trivelle - conferma la presenza all'interno di questa forza di una componente minoritaria ma significativa di elettori dissenzienti rispetto alla linea ufficiale della segreteria.
Per quanto riguarda il "Centro", ossia gli elettori che nel 2013 avevano votato per la coalizione Monti (Scelta civica, Udc, Fli). Mario Monti si è espresso in campagna elettorale a favore del No. Altri dirigenti di questa coalizione (come Pierferdinando Casini) si sono invece espressi per il Sì. L'elettorato di questi tre partiti alle elezioni europee del 2014 si era interamente riversato sul Pd. Si può dire che la scelta referendaria di questi elettori sia in continuità con quella compiuta alle europee: quasi unanimemente, infatti, i centristi scelgono il Sì (parziali eccezioni sono alcune città del Sud come Palermo, Cagliari e Reggio Calabria). Passando alla principale forza del centrodestra (ossia gli elettori che nel 2013 votarono per il Pdl) si può osservare in primo luogo che il partito di Berlusconi perde una quota abbastanza significativa verso l'astensione: questa non è una novità (già nei precedenti referendum costituzionali le perdita verso l'astensione delle forze politiche guidate da Berlusconi erano state rilevanti). In secondo luogo, si può osservare che la riforma è riuscita a fare breccia nell'elettorato berlusconiano. È una breccia in genere piccola (a Parma, Napoli e Palermo i Pdl pro-riforma sono meno del 20%) ma comunque significativa. E che, in alcune città, arriva anche a proporzioni consistenti: a Brescia i berlusconiani favorevoli alla riforma sono il 36,8% e a Bologna superano il 41%, a Firenze arriva al 44%.
Arrivando infine al Movimento 5 stelle, se il referendum sulle trivelle di aprile aveva mostrato segni di un consolidamento di questo elettorato, il referendum costituzionale rivela una compattezza granitica. Le perdite verso l'astensione sono (a parte poche città, come Cagliari, Torino, Bologna e Parma) trascurabili. Ancor di più lo sono i flussi verso il Sì. Quasi unanimemente gli elettori che nel 2013 avevano scelto il partito di Grillo oggi hanno scelto di opporsi alla riforma costituzionale (in sei città su dieci le percentuali sono superiori al 90%). È molto interessante notare che una delle città in cui i pentastellati (pur rimanendo maggioritariamente contrari alla riforma) si discostano maggiormente da questo pattern è Parma (la città del "caso Pizzarotti"): qui il 67,7% di loro ha votato No, mentre il 17,4% si è astenuto e il 14,9% ha votato Sì, con il risultato generale che vede la città premiare il sì con il 50,3%.
Gli elettorati dei partiti "storici" si frammentano mentre quello del (non) partito nuovo rivela una compattezza granitica. Così un'analisi
Per quanto riguarda il "Centro", ossia gli elettori che nel 2013 avevano votato per la coalizione Monti (Scelta civica, Udc, Fli). Mario Monti si è espresso in campagna elettorale a favore del No. Altri dirigenti di questa coalizione (come Pierferdinando Casini) si sono invece espressi per il Sì. L'elettorato di questi tre partiti alle elezioni europee del 2014 si era interamente riversato sul Pd. Si può dire che la scelta referendaria di questi elettori sia in continuità con quella compiuta alle europee: quasi unanimemente, infatti, i centristi scelgono il Sì (parziali eccezioni sono alcune città del Sud come Palermo, Cagliari e Reggio Calabria). Passando alla principale forza del centrodestra (ossia gli elettori che nel 2013 votarono per il Pdl) si può osservare in primo luogo che il partito di Berlusconi perde una quota abbastanza significativa verso l'astensione: questa non è una novità (già nei precedenti referendum costituzionali le perdita verso l'astensione delle forze politiche guidate da Berlusconi erano state rilevanti). In secondo luogo, si può osservare che la riforma è riuscita a fare breccia nell'elettorato berlusconiano. È una breccia in genere piccola (a Parma, Napoli e Palermo i Pdl pro-riforma sono meno del 20%) ma comunque significativa. E che, in alcune città, arriva anche a proporzioni consistenti: a Brescia i berlusconiani favorevoli alla riforma sono il 36,8% e a Bologna superano il 41%, a Firenze arriva al 44%.
Arrivando infine al Movimento 5 stelle, se il referendum sulle trivelle di aprile aveva mostrato segni di un consolidamento di questo elettorato, il referendum costituzionale rivela una compattezza granitica. Le perdite verso l'astensione sono (a parte poche città, come Cagliari, Torino, Bologna e Parma) trascurabili. Ancor di più lo sono i flussi verso il Sì. Quasi unanimemente gli elettori che nel 2013 avevano scelto il partito di Grillo oggi hanno scelto di opporsi alla riforma costituzionale (in sei città su dieci le percentuali sono superiori al 90%). È molto interessante notare che una delle città in cui i pentastellati (pur rimanendo maggioritariamente contrari alla riforma) si discostano maggiormente da questo pattern è Parma (la città del "caso Pizzarotti"): qui il 67,7% di loro ha votato No, mentre il 17,4% si è astenuto e il 14,9% ha votato Sì, con il risultato generale che vede la città premiare il sì con il 50,3%.