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ITALIA

Un fascicolo sequestrato al segretario di Scajola riapre le indagini sull'omicidio Biagi

La procura di Bologna apre una indagine conoscitiva: non ci sono indagati o ipotesi di reato. Il professore di diritto del lavoro era senza scorta al momento dell'omicidio

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Dodici anni fa, sei colpi di pistola lo hanno ucciso sulla porta di casa, dopo che aveva parcheggiato la sua bicicletta sotto i portici di Bologna. Gli assassini erano le rinate Brigate Rosse; la vittima un professore di diritto del lavoro che da anni collaborava con il ministero. Ora la procura di Bologna ha deciso di riaprire il fascicolo di indagine sulla sua mancata protezione: sulla catena di decisioni e omissioni che lasciò Marco Biagi da solo, senza scorta, alla mercè dei terroristi.

Riaperta l'indagine
Ci sono nuove carte, sequestrate all’ex segretario di Claudio Scajola – allora ministro dell’interno – nell’ambito di una inchiesta completamente diversa. Gli atti sono stati trasmessi a Bologna, e il procuratore Antonello Gustapane ha riaperto una indagine, per il momento solo conoscitiva, cioè senza indagati né ipotesi di reato. Sullo stesso caso, nel 2003, Gustapane chiese l’archiviazione dall’accusa di cooperazione colposa in omicidio per quattro accusati: l'allora direttore dell'Ucigos, Carlo De Stefano, il suo vice Stefano Berrettoni, il questore Romano Argenio e il prefetto Sergio Iovino.  

Dalle polemiche alla legge Biagi
Marco Biagi da anni lavorava a una riforma legislativa del mercato del lavoro. Le sue idee sono alla base della Legge 30 del 2003, la Legge Biagi: idee scomode che gli erano valse l’ostilità dei Brigatisti. Da mesi subiva minacce e intimidazioni. Le aveva segnalate ma era rimasto inascoltato. In alcune lettere personali aveva confessato di sentirsi abbandonato dalle istituzioni per cui lavorava.  Dalla fine del 2001 gli era stata revocata la scorta: una decisione fortemente criticata in seguito. Nel giugno del 2002, Claudio Scajola lo aveva definito “un rompicoglioni che voleva il rinnovo del contratto di consulenza”, una frase per cui l’ex ministro dell’interno si dimise e in seguito si scusò, ricordando con dolore e affetto il giuslavorista ucciso. 
 
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