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ITALIA

L'attacco a Napolitano

Di Matteo: "Il Csm condizionato dal suo Presidente"

Il magistrato siciliano parla di "un Csm che rischia di essere schiacciato e condizionato dalle pretese correntizie e da indicazioni sempre più stringenti del suo Presidente". Poi la stoccata a Renzi sulle riforme: "Ne discute con un condannato"

Il pm antimafia Antonino Di Matteo (Ansa)
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Palermo Attacco diretto al capo dello Stato. Non usa mezzi termini il pm antimafia Antonino Di Matteo intervenuto alla commemorazione per il 22esimo anniversario della strage di via D'Amelio a Palermo, costata la vita al giudice Borsellino e alla sua scorta. "Non si può assistere in silenzio - ha detto il magistrato siciliano - al tentativo di trasformare il pm in un burocrate sottoposto alla volontà del proprio capo, di quei dirigenti sempre più spesso nominati da un Csm che rischia di essere schiacciato e condizionato dalle pretese correntizie e da indicazioni sempre più stringenti del suo Presidente". Di Matteo non fa nomi, ma il riferimento a Napolitano è chiaro. E', infatti, il capo dello Stato a presidere il Consiglio superiore della Magistratura. 

Nino Di Matteo parla, poi, di riforme volte a indebolire i magistrati e il loro lavoro: "Non si può ricordare Paolo Borsellino - osserva  - e assistere in silenzio ai tanti tentativi in atto (dalla riforma già attuata dell'Ordinamento Giudiziario a quelle in cantiere sulla responsabilità civile dei giudici, alla gerarchizzazione delle Procure anche attraverso sempre più numerose e discutibili prese di posizione del C.S.M.) finalizzati a ridurre l'indipendenza della magistratura a vuota enunciazione formale con lo scopo di comprimere e annullare l'autonomia del singolo pubblico ministero". 

Il pubblico ministero ha quindi attaccato il presidente del Consiglio Renzi colpevole, a suo dire, di discutere di riforme con Berlusconi, "un condannato". "Oggi - ha detto il magistrato - un esponente politico, dopo essere stato definitivamente condannato per gravi reati, discute, con il Presidente del Consiglio in carica, di riformare la legge elettorale e quella Costituzione alla quale Paolo Borsellino aveva giurato quella fedeltà che ha osservato fino all'ultimo suo respiro". "In una sentenza definitiva della Corte di Cassazione - ha spiegato - è accertato che un partito politico, divenuto forza di Governo nel 1994, ha poco prima annoverato tra i suoi ideatori e fondatori un soggetto da molto tempo colluso con gli esponenti di vertice di Cosa Nostra e che da molti anni fungeva da intermediario consapevole dei loro rapporti con l'imprenditore milanese che di quel partito politico divenne, fin da subito, esponente apicale". 
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