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POLITICA

Il Presidente del Senato scrive a La Repubblica

Grasso: devo soldi al partito? Parole infamanti, è una ritorsione

Il leader di Liberi e Uguali affida ad una missiva - pubblicata sul quotidiano diretto da Mario Calabresi - la replica alle 'accuse' che gli sono state mosse da Bonifazi del Pd. E  in un passaggio attacca: "lasci fuori i dipendenti del Pd. Sono in cassa integrazione. A loro va tutta la mia solidarietà" 

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Il 'divorzio', a fine legislatura, tra il Presidente del Senato Pietro Grasso e il Partito Democratico si chiude nel peggiore dei modi. Alcuni esponenti Dem - dopo l'assemblea nazionale di Liberi e Uguali, dove Grasso ha attaccato duramente il partito guidato da Matteo Renzi -  lo hanno accusato non solo di avere un debito con il partito, ma anche di non rispettare il tetto da 240mila euro, sotto il quale si trovano tutte le cariche istituzionali a partire dal Quirinale, e di aver fatto una figuraccia parlando del taglio delle tasse universitarie perchè così "sarebbe un favore alle famiglie più ricche". La replica di Grasso non si è fatta attendere e penna alla mano ha ribattuto punto su punto alle accuse attraverso una lettera inviata a "La Repubblica".

"Egregio Tesoriere del Partito Democratico, Onorevole Bonifazi, non ho risposto tempestivamente alla sua prima lettera - nella quale mi chiedeva di versare 83.250 euro al Pd in ragione della mia elezione al Senato nel 2013 - perchè ho considerato la modalità attraverso la quale ha scelto di farmi giungere tale comunicazione, ossia i giornali, un colorito quanto basso espediente da campagna elettorale". 

"Immagino inoltre che non sia stata casuale la scelta del 3 dicembre 2017 per darne notizia, giorno nel quale ho pubblicamente aderito a Liberi e Uguali. Il suo modo di agire appare dunque un atto di ritorsione a carattere propagandistico piuttosto che una sincera volontà di fare chiarezza - aggiunge Grasso -. La reiterata pubblicità che lei e i suoi colleghi di partito hanno dato a mezzo stampa di questa vicenda - suggerendo in maniera neanche troppo velata la mia malafede e la mia presunta morosità - mi costringe ad alcune precisazioni: A. Non ho mai ricevuto da voi alcuna comunicazione in merito alla quota economica mensile che avrei dovuto versare al Pd in ragione della mia elezione, nè le modalità di pagamento. Eppure dal marzo del 2013 al giorno delle mie dimissioni dal gruppo del Pd in Senato sono trascorse 56 mensilità. Abbastanza occasioni per farlo, non crede?". 

"B. Dal marzo 2013 avete approvato quattro bilanci del Pd, tutti a sua firma. Neanche in quelle occasioni ha ritenuto opportuno comunicarmi alcunchè - dice ancora Grasso -. C. Non sembra opportuno che il presidente del Senato sostenga con soldi pubblici l'attività di un partito, così come per prassi centenaria non è chiamato a dare col voto alcun contributo politico. Ecco perchè ero convinto che non aver ricevuto richieste di contributi dipendesse da una visione condivisa di questo modello. Sarò felice se vorrà spiegarmi la ragione per cui ha cambiato opinione. D. Visto che il suo disappunto per la mia presunta morosità si è trasformato in sprezzanti dichiarazioni pubbliche, vorrei capire cosa ne pensa dei circa 250 mila euro che il Gruppo del Pd in Senato ha percepito dal marzo del 2013 al 26 ottobre del 2017 in ragione della mia iscrizione al Gruppo medesimo".

"Non ritengo pertanto sussista alcuna delle ragioni da lei addotte nella sua infamante lettera. Aggiungo una cosa. Lasci fuori da questa orrenda strumentalizzazione i dipendenti del Pd. Sono in cassa integrazione in virtù di una gestione economica e finanziaria disastrosa e di un indebitamento milionario causato, in primis, dalla fallimentare campagna referendaria: a loro, così come ai giornalisti dell'Unità, di Europa e alle loro famiglie, va tutta la mia solidarietà - conclude il presidente del Senato -. Questo usato da Lei e da alcuni suoi colleghi di partito è un modo di condurre il confronto politico che rifiuto: mi auguro che non sia questo il tono della vostra campagna elettorale. Di certo non sarà il mio, se non costretto".

Michele Anzaldi - altro esponente Pd - dalla sua pagina Facebook attacca Grasso non solo "sui soldi che deve al Pd". "Lo stesso discorso vale per la sua scelta di non rispettare il tetto da 240mila euro, sotto il quale si trovano tutte le cariche istituzionali a partire dal Quirinale - scrive - Grasso dice che la pensione da magistrato se l'è guadagnata. E chi lo mette in discussione? Anche il presidente Mattarella percepisce la sua pensione, ma ha scelto di evitare che il cumulo con lo stipendio da presidente della Repubblica sfori il tetto da 240mila che nella pubblica amministrazione tutti sono chiamati a rispettare. Perché Grasso non ha fatto lo stesso? E' infamante chiedergliene conto?". "Sulle tasse universitarie - prosegue il deputato dem - siamo di fronte ad una nuova gaffe del leader di Leu. L'abolizione delle tasse a tutti, infatti, sarebbe un favore alle famiglie più ricche, i cui studi sarebbero pagati dalla collettività e quindi anche dalle famiglie più povere. Per anni i colleghi di partito di Grasso hanno contestato l'abolizione della tassa sulla prima casa con la motivazione che sarebbe stata tolta anche ai ricchi, sebbene castelli e ville signorili siano stati esclusi, e ora vorrebbero far pagare l'università dei figli di Berlusconi o del fuoricorso Di Maio a tutti gli italiani? Sembrano un po' confusi".


Sul tema del taglio delle tasse universitarie interviene anche il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda: "Sostenere i costi delle università con la fiscalità generale "è l'opposto di quello che immagino Liberi e uguali vuole fare, è una cosa 'trumpiana' non di sinistra" perchè così anche i cittadini meno ricchi (che oggi sono di fatto esentati) pagherebbero le tasse anche per quelli più ricchi".
 
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