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POLITICA

Al via le dichiarazioni di voto a Montecitorio

Legge elettorale, oggi il voto finale

Poi voto finale sull'Italicum per il passaggio in seconda lettura al Senato. Resta intatto l'impianto di riforma targato Renzi-Berlusconi: dalle soglie alle candidature multiple. C​resce il dissenso nel Pd: Bindi non voterà la legge mentre Bersani ha annunciato interventi al senato. Oggi Consiglio dei ministri e presentazione del Jobs Act

Montecitorio
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Alla fine ha retto. Il patto di ferro, i punti fondamentali dell'accordo Renzi-Berlusconi sulla legge elettorale (dalle soglie alle candidature multiple, ndr) sono rimasti intatti nonostante lo scossone del voto che voleva introdurre la doppia preferenza di genere. Alle 9,30, dopo un iter pressochè travagliato, la Camera si è riunita per le dichiarazioni di voto sull'Italicum. Seguirà poi il voto finale.

La svolta storica
Questa mattina, con tanto di diretta tv, Pd e Forza Italia possono quindi intestarsi agli occhi degli italiani quella che dai protagonisti del patto sull'Italicum viene definita una "svolta storica". E poi Renzi potrà presentarsi davanti alle telecamere, dopo il Consiglio dei ministri, sbandierando non solo i primi provvedimenti economico-sociali (presentazione del Jobs Act, ndr), ma anche una riforma elettorale fresca fresca di via libera da un ramo del Parlamento. L'idea non dispiace nemmeno a Silvio Berlusconi: del resto, fanno osservare alcuni fedelissimi del Cavaliere, è grazie a lui se è stato possibile avere una nuova legge elettorale. Ora l'attenzione si sposta a Palazzo Madama: sarà proprio al Senato, infatti, che l'Italicum si gioca la carta più importante: qui si capirà, infatti, se quella di ieri è stata per la nuova legge elettorale solo una vittoria di Pirro. Il passaggio al Senato si preannuncia burrascoso almeno quanto lo è stato alla Camera, se non di più, visti i voti più stretti e i tanti nodi da sciogliere ancora, a partire dalle preferenze e quote rosa per arrivare alla soglia minima di sbarramento. 

Italicum, i punti
L'ultimo emendamento sulle preferenze è stato bocciato, ieri sera, per soli 20 voti. La Camera ha però approvato il ‘cuore della legge elettorale’, facendo passare l’emendamento sull'algoritmo che serve alla trasformazione dei voti in seggi, e che contiene anche le soglie di sbarramento e del premio di maggioranza. Approvato anche un emendamento Pd-Fi che dà la possibilità a un candidato di presentarsi in 8 collegi. Bocciate invece le proposte che non rientravano nell’intesa tra Matteo Renzi e Silvio Berlusconi. Tra queste l’emendamento che mirava a reintrodurre le preferenze e un emendamento di 40 deputati del Pd che rendeva obbligatorie le primarie per scegliere i candidati, prevedendo la parità di genere nell'organizzazione delle primarie. Respinta anche la doppia preferenza di genere. 

L'Art. 1
L'Aula della Camera, a scrutinio segreto, ieri in serata, ha approvato l'articolo 1 della riforma elettorale con 323 voti favorevoli, 180 voti contrari e 4 astensioni. Stralciato l'articolo 2, ovvero le norme relative al Senato. Lo stralcio è stato approvato a maggioranza, con il voto contrario di M5S e Sel. L'Italicum, quindi, avrà efficacia per la sola elezione della Camera dei deputati. L'art. 1 del provvedimento regolamenta il sistema elettorale della Camera dei deputati, prevedendo un sistema proporzionale con un premio di governabilita (pari al 15%) che assicura la maggioranza assoluta al partito o alla coalizione vincente che raggiunge la soglia del 37% dei voti. Qualora nessuno raggiunga la soglia del 37%, è previsto un doppio turno di ballottaggio per l'assegnazione del premio. L'ingresso in Parlamento è precluso ai partiti che si presentano al di fuori delle coalizioni che non raggiungono l'8% dei voti. La soglia di sbarramento scende al 4,5% dei voti per i partiti che si presentano in una coalizione, mentre sale al 12% per le coalizioni.

Bocciata introduzione conflitto d'interessi, tensione in aula
Respinto l'emendamento presentato da Pino Pisicchio e Pippo Civati che avrebbe introdotto il conflitto d'interessi come motivo di ineleggibilità per l'elezione alla Camera dei deputati. La proposta di modifica è stata respinta con 151 voti favorevoli, 316 contrari e 11 astenuti. Alta tensione in aula alla Camera durante il voto degli emendamenti sul conflitto di interessi. A surriscaldare gli animi gli insulti rivolti dai deputati di M5s verso i colleghi degli altri gruppi. Ha iniziato Giuseppe D'Ambrosio che ha dato del "buffoni" ai parlamentari del Pd. Nonostante le sollecitazioni della presidente Laura Boldrini a evitare insulti e a usare un linguaggio consono, i toni sono rimasti alti, con Andrea Colletti che ha chiesto ai deputati del Pd: "perché vi indignate? il collega D'Ambrosio ha detto la pura verità". Successivamente Riccardo Fraccaro ha usato l'espressione "sfaccendati". "Non credo che qui ci siano degli sfaccendati - ha subito ribattuto la presidente Laura Boldrini - ci sono persone che sono state elette e svolgono il proprio lavoro. E' inaccettabile che vengano insultate".

Le preferenze
L'emendamento sulle preferenze, che avrebbe fatto saltare l'accordo sull'Italicum, è stato bocciato invece per soli 35 voti, con 299 sì, 264 no e un astenuto. Una maggioranza esigua, dunque, ha tenuto in piedi il patto Pd-FI: appena sei voti in più di quanti sulla carta vanterebbe il solo gruppo del Partito democratico. In tutto Pd e FI potevano raggiungere 360 voti: tra assenze e 'franchi tiratori', se ne contano 61 in meno.

La doppia preferenza di genere
Stessa sorte - i no sono stati 297, i si' 277 - anche per l'emendamento Gitti (Popolari per l'Italia) sulla doppia preferenza di genere. Il voto ha nuovamente provocato una ulteriore spaccatura nel gruppo del Pd, e questa volta tra le donne. Molte deputate del partito di Renzi sono intervenute per dire che si atterranno alle indicazioni del gruppo che è contrario alla norma Gitti. Alcune esponenti Pd hanno però di disobbedito e votato lo stesso l'emendamento visto che ieri sono state respinti gli emendamenti Agostini sulle quote rosa. Eclatante lo 'strappo' di Rosy' Bindi che ha annunciato apertamente, senza nascondersi dietro al voto segreto, di votare a favore dell'emendamento sulla doppia preferenza per uomo e donna. Il parere della commissione e del governo erano contrari. Hanno votato a favore Lega, M5s, e Sel. Contro Pd, Fi, Ncd, Scelta civica. I popolari per l'Italia avevano parlato di "ultima chance" per donne.

Le primarie obbligatorie
L'emendamento, a prima firma dellettiano Marco Meloni, è stato bocciato a scrutinio palese con 329 voti contrari e 211 favorevoli, quelli dei deputati di M5s, Sel, Lega, Fdi, Pi e alcuni del Pd. Oltre a Meloni, hanno dichiarato il voto favorevole alcuni parlamentari della minoranza, come Stefano Fassina e Enza Bruno Bossio. Su questa votazione sono emersi i malumori del Partito democratico: 38 deputati hanno votato sì all'emendamento, 14 astenuti e 24 che non hanno partecipato al voto. A favore delle primarie per legge hanno votato, tra gli altri, Rosy Bindi, Francesco Boccia, Cesare Damiano, Stefano Fassina, Alessia Mosca, Sandra Zampa. Si sono astenuti, invece, Pippo Civati, Gianni Cuperlo, Massimo Bray, Walter Verini. "Votare contro le primarie per legge - attacca Boccia - è stato come rinnegare l'atto costitutivo del Pd". Resta adesso l’impegno del presidente del Consiglio e segretario del Pd, Matteo Renzi, a farle.

Le multicandidature
Approvato poi a scrutinio segreto un emendamento Pd-Fi che dà la possibilità a un candidato di presentarsi in 8 collegi (multicandidatura), meccanismo che allunga di fatto la lista bloccata. I sì sono stati 335, i no 212. A criticare l'emendamento, che recepisce l'accordo tra Pd-Ncd-Fi è stato Danilo Toninelli di M5s, il quale ha sottolineato che essendo 120 i collegi previsti dalla Legge, 15 candidati di un partito potrebbero essere i capilista in tutti i collegi. Questo meccanismo, ha evidenziato Gennaro Migliore di Sel, "allunga di fatto le liste bloccate": infatti esso permette a un candidato di presentarsi in 8 diversi collegi, salvo poi optare solo alla fine in quale dichiararsi eletto, rendendo così ancora più inconoscibili gli eletti da parte degli elettori. 

 
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