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Il rapporto Eurispes 2021
Effetto Covid, colpite psiche e fiducia, 1 italiano su 5 prende farmaci
L'Italia continua a invecchiare nonostante il 'bonus bebè' e oltre la metà degli italiani è pessimista sul futuro, fa richiesta di psicologi e di acquisti a domicilio. Unica nota positiva il lavoro da casa anche alternato con l'ufficio
I dati misurano le opinioni e rilevano i cambiamenti nelle abitudini di consumo nell'anno del Covid. dicono che quasi una persona su 5 ha assunto nell'ultimo anno farmaci: ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell'umore, antipsicotici. A farne uso di più le persone mature e le donne. L'Eurispes ha indagato anche sul consumo di psicofarmaci da parte dei cittadini e sul ricorso al sostegno psicologico, che pure risulta rilevante: un intervistato su 4 ha chiesto aiuto allo psicologo.
L'economia
Rispetto al futuro prevale un sentimento di pessimismo, pesa la crisi dovuta alla pandemia sulla percezione della situazione economica nel paese: otto su dieci (il 79,5%) avvertono un peggioramento (netto 54,4% o in parte 25,1%) dell'economia nazionale negli ultimi dodici mesi.
Il 53,4% degli intervistati si dice convinto che nei prossimi dodici mesi la situazione sia destinata a peggiorare, poco più di uno su dieci pensa che ci sarà un miglioramento. In molti hanno visto mutare in peggio la propria condizione: il 41,1% un peggioramento. Se da un lato sono diminuite le famiglie che devono utilizzare i risparmi per arrivare a fine mese, al 37,1% (lo scorso anno con il 47,7%), aumentano, seppur di poco, le percentuali di quanti faticano a pagare le spese mediche (24,1%; +1,8) e le utenze domestiche (27%; +1,1).
"Il Pil non può crescere in un paese che invecchia e nello stesso tempo diminuisce in popolazione. L'economia per crescere ha bisogno di innovazione e della capacità di sapersi rapidamente adattare ai mutamenti imposti, di volta in volta, dal sistema globali", scrive nell'introduzione del rapporto il presidente Gian Maria Fara, per il quale ora "abbiamo l'occasione per svecchiare e ammodernare l'Italia". Allo stesso tempo, osserva, è un errore "considerare solo la lettura economica del problema della denatalità. Non basta il 'bonus bebè' per risolvere un fenomeno che ha radici profonde e strutturali". "Soffriamo di un grave deficit demografico ma - aggiunge - pretendiamo che a risolverlo debbano essere giovani senza un lavoro, una casa e che dovrebbero garantire la nascita di nuove famiglie e nuova prole".
I giovani e la fiducia nel futuro
Eppure l'82,1% dei giovani vuole intraprendere una vita indipendente nel futuro e ritiene che l'età ottimale per realizzarla sia di 23,7 anni (valore medio). Il 17,9% vuole continuare a vivere con i propri genitori. Mostrano voglia di crescere quelli dai 18 anni in su, secondo quanto registra l'Eurispes, ma nel confronto internazionale l'Italia è ancora un pò indietro rispetto al 95% in Francia, al 90,8% in Polonia, e al 90,4% in Russia. I risultati appartengono a una ricerca internazionale, svolta in parallelo con università e centri di ricerca stranieri.
Dunque italiani sempre "mammoni"? a guardare i numeri sembra di sì: i giovani maschi esprimono una preferenza a vivere per un tempo più lungo con i propri genitori rispetto alle ragazze (il 22,9% contro il 12,7%). "il timore di spiccare il volo", sottolinea Eurispes, è anche legato a motivi economici: la scelta dei giovani di voler rimanere in famiglia è pari al 24,6% tra le famiglie a basso reddito, al 18,3% nelle famiglie a reddito medio, al 13,8% nelle famiglie con reddito elevato.
Tuttavia i giovani italiani sono anche un pò più ottimisti dei loro coetanei stranieri. Due terzi sono fiduciosi nel futuro, mentre poco più di un quarto (28,8%) presenta un punto di vista opposto. Paradossalmente, l'epidemia di Covid ha contribuito alla crescita della fiducia nel futuro (al 66,1%, rispetto al 55% del 2019). La maggioranza dei giovani francesi esprime una grande incertezza sul futuro (52,1%), i polacchi manifestano una situazione quasi di equilibrio tra coloro che si dichiarano poco o per nulla fiduciosi (42,4%) e fiduciosi (53,5%) i russi si dividono in una maggioranza di fiduciosi (60,2%) e una minoranza di poco o per nulla fiduciosi (31,9%).
I consumi
Secondo Eurispes, "sebbene la crisi abbia messo in difficoltà le famiglie nell'affrontare le spese fisse più consistenti (mutui, affitti e bollette), la chiusura di tutte le attività accessorie a causa dei decreti anti-covid e la conseguente riduzione dei consumi (palestre, pranzi o cene fuori, attività extra-scolastiche, ecc.), hanno avuto l'effetto di contenere le spese mensili".
Nonostante ciò gli italiani hanno rinunciato più spesso all'acquisto di una nuova auto (37,3%), ma anche alle spese sulla casa (sostituzione di arredi/elettrodomestici 34,5%). Cresce il ricorso al delivery e agli acquisti online. Il 21,9% ha ordinato per la prima volta la spesa a domicilio dopo marzo 2020, 16,8% ha ordinato per la prima volta un pasto in delivery. Il 13,4% ha acquistato un abbonamento a piattaforme streaming (il 36,3% già lo aveva).
Smart working
Dato positivo è invece quello del lavoro a distanza nell'ultimo anno: considerata un'esperienza positiva per la maggioranza dei lavoratori, che lo alternerebbe con quello in presenza: il 66,2% si dice soddisfatto rispetto all'organizzazione del lavoro, il 62% riguardo alla gestione dei tempi e degli orari. In più della metà dei casi ci si è riusciti a coordinare bene con i colleghi (57,5%), con i superiori (56,4) e a sostenere il carico di lavoro (56,2%).
Eurispes registra l'apprezzamento che segnala anche come potendo scegliere, la maggioranza dei lavoratori, una volta terminata l'emergenza sanitaria, vorrebbe alternare lavoro da casa e lavoro in presenza (53%); il 28% vorrebbe interrompere lo smart working, mentre il 19% vorrebbe continuare a lavorare sempre da casa. Tra coloro che lavorano, quasi la metà (49%) lo ha fatto in smart working dall'inizio dell'emergenza sanitaria: il 22,8% sempre o per un lungo periodo, il 26,2% occasionalmente/con turnazione/per un breve periodo. Non ha lavorato a distanza invece il 46% circa dei lavoratori. Solo nel 4,9% dei casi si era già in smart working anche prima della pandemia.