Abel, l’androide 12enne che imparerà a convivere con gli esseri umani
E’ nato a Londra ma crescerà a Pisa il robot umanoide del futuro: si chiama Abel (nome semitico che significa 'scintilla della vita'). Il bimbo robot è stato realizzato nei laboratori della londinese Biomimics dal guru dell'animatronica, l’olandese Gustav Hoegen, creatore di personaggi di Guerre Stellari, dei dinosauri di Jurassic Park e delle splendide donne robot del film Ex Machina. Lo abbiamo incontrato nell'ambito dell'Internet Festival di Pisa. L'inviata Celia Guimaraes
Abel ora è in mano ai ricercatori biorobotici del Centro di Ricerca E. Piaggio dell'Università di Pisa. Si tratta di un androide con le fattezze di un ragazzino di 12 anni, dalla ‘pelle’ (il rivestimento di cui è composta la superficie) incredibilmente somigliante a quella umana e occhi così vivaci che sembrano scrutarci. Il suo scopo scientifico è quello di aiutare a studiare in maniera più approfondita il rapporto tra gli uomini e le macchine.
Emozioni 3.0
Abel imparerà a relazionarsi con le persone, a ‘leggere’ gli stati d’animo dell’interlocutore e reagire di conseguenza, un campo di ricerca denominato ’affective computing’, e che rappresenta un salto tecnologico nell’interazione uomo/macchina: l’empatia 3.0.
Abel è dotato di tecnologia del tipo reti neurali e machine learning che gli consentirà di tradurre in azioni i segnali che provengono da chi ha di fronte (tono di voce, sudorazione, emozioni e stati d’animo), il detecting di questi parametri sarà reso possibile da telecamere ad infrarossi e sistemi in grado di connettersi con i sensori applicati sull’operatore umano.
Uno dei primi test lo vedrà coinvolto in un team di persone che lavorano, prendono decisioni e decidono strategie. Ma molti altri sono i campi in cui si prevede di utilizzarlo. Quello medico, per esempio, per il supporto delle cure di disturbi dello spettro autistico.
Abel potrebbe, in futuro, rivoluzionare la sperimentazione dei famaci, evitando di fare i test su animali vivi: gli organici potrebbero essere collegati all’androide, per fornire un quadro più completo delle interazioni ‘fisiologiche’ che si scatenano al loro interno.