EUROPA
Intervista al presidente
La Comunità di Sant’Egidio e la strage di Nizza. Impagliazzo: “Non cadiamo nella trappola dell’odio"
“Bisogna cambiare il modello di immigrazione. Investire su legalità, accoglienza, corridoi umanitari, coniugare sicurezza e integrazione” dice il presidente della Comunità di Sant’Egidio e professore ordinario di Storia contemporanea all’Università Roma Tre. E sui luoghi di culto dice: "Sono spazi di speranza, le chiese restino aperte"
“Chi usa il nome di Dio per commettere atti violenti non è né religioso, né eroe, ma vigliacco e offende milioni di credenti”. Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio e professore ordinario di Storia contemporanea all’Università Roma Tre, non lascia margini a interpretazioni o letture di altro tipo a proposito dell’attentato terroristico avvenuto a Nizza.
La Comunità ha lanciato un appello al fine di evitare strumentalizzazioni. Qual è il suo timore?
“Il mio timore è che si cada nella trappola che i terroristi creano con questo orribile crimine: quella dell’odio. Non dobbiamo caderci dentro. Noi abbiamo il compito di difendere non solo la nostra civiltà, ma la pace tra i popoli e la pace sociale. Lo dobbiamo fare senza paura e convinti che l’unica via per salvarci da questa follia è quella di continuare a credere nella convivenza civile e nella pace. E farcene promotori”.
Perciò avete invitato i credenti di ogni fede, in particolare cristiani e musulmani, a dissociare la religione da ogni forma di violenza perpetrata in nome di Dio?
"Non c’è alternativa al dialogo e all’incontro coinvolgendo oltre ai leader religiosi anche il maggior numero di fedeli. Bisogna conoscersi meglio e di più, conoscere l’altro per non averne paura o non disprezzarlo. Insistere sul fatto che il vero messaggio al cuore di ogni religione è la pace. E chi usa il nome di Dio per commettere atti violenti non è né religioso, né eroe, ma vigliacco e offende milioni di credenti. Solo la pace è santa, mai la guerra! Gli Incontri interreligiosi nello Spirito di Assisi, promossi dalla Comunità di Sant’Egidio in questi anni, hanno provocato un grande mutamento in positivo nella conoscenza gli uni degli altri, hanno introdotto un nuovo linguaggio pacifico e hanno anche aiutato a sciogliere alcune ambiguità tra uso della violenza e religione. Dico questo senza orgoglio, ma con soddisfazione".
Eppure coabitazione e integrazione sembrano sempre più difficili. Frustrazione sociale, rabbia, sfiducia nelle istituzioni sono una polveriera.
"Il dialogo è l’unica via possibile per vivere insieme oggi nella società globalizzata, in cui si incontrano e si mischiano tante persone di culture, etnie, provenienze e religioni diverse. Bisogna investire ancora e di più sul dialogo e sul sostegno ai giovani periferici e lasciati ai margini delle nostre società perché si superino la rabbia e il risentimento. E’ necessario trovare nuovi modi di comunicare non violenti, non discriminanti e fuori da ogni razzismo: la comunicazione sociale non deve essere inquinata da messaggi fortemente diseducativi per i più fragili. Va inoltre affrontato seriamente il tema della disoccupazione giovanile in tutta Europa".
La crisi provocata dalla pandemia può alimentare un nuovo scontro di civiltà?
"La pandemia porta con sé molti effetti negativi. In primo luogo quelli sanitari, ma anche economici, sociali, umani e psicologici. Tutto questo provoca un peggioramento della vita sociale, ma non credo alimenti uno scontro di civiltà. E’ sempre più evidente a tutti che - come ha ben detto Papa Francesco lo scorso marzo al mondo – “nessuno si salva da solo”. Non c’è altra via per vincere la pandemia. E’ questo messaggio che deve passare: dai comportamenti dei singoli alle decisioni dei governanti".
Il killer che ha colpito nella cattedrale di Nizza era sbarcato a Lampedusa. La questione torna a essere oggetto di polemiche e a far discutere in tema di sicurezza. Secondo lei c’è qualcosa da cambiare nel modello di accoglienza dei migranti?
“Bisogna cambiare il modello di immigrazione vissuto finora. Dove c’è illegalità possono nascondersi problemi di varia natura, come in questo drammatico caso francese. Per combattere l’illegalità c’è solo uno strumento: quello della legalità. L’Europa è un continente semi-chiuso, in cui lo spazio per le vie legali di immigrazione è ristrettissimo. I drammi vissuti da migliaia e migliaia di persone costrette a fuggire da situazioni di guerra e carestia non è affrontato nelle giuste dimensioni. Si è poco o quasi niente investito sulla creazione di vie legali, che sono le uniche che garantiscono sicurezza per il paese che accoglie e per il migrante che viaggia: occorrono legalità e accoglienza. Un modello virtuoso, in questo senso sono i corridoi umanitari che la Comunità di Sant’Egidio, con le Chiese evangeliche italiane e la CEI, hanno messo in campo in questi ultimi quattro anni in Italia e altri Paesi europei: un modello che coniuga sicurezza e integrazione”.
Il sindaco della città francese ieri ha chiesto di mettere sotto sorveglianza tutte le chiese o di chiuderle. Pensa che anche le chiese italiane debbano essere chiuse o più controllate?
“E’ molto importante che le chiese restino aperte: dove si prega c’è consolazione, speranza, sguardo aperto sul futuro, pace. Chiudere le chiese oggi sarebbe dare ragione ai terroristi. Dobbiamo lasciare la libertà ai cristiani di professare la loro fede, anche se in alcuni casi questo comporta dei rischi. Ma i cristiani – come i credenti delle altre religioni – sono convinti che la loro preghiera aiuterà il mondo a essere migliore. I luoghi di culto, di qualsiasi fede, sono uno spazio di aria pura e di speranza nelle società”.
La Comunità ha lanciato un appello al fine di evitare strumentalizzazioni. Qual è il suo timore?
“Il mio timore è che si cada nella trappola che i terroristi creano con questo orribile crimine: quella dell’odio. Non dobbiamo caderci dentro. Noi abbiamo il compito di difendere non solo la nostra civiltà, ma la pace tra i popoli e la pace sociale. Lo dobbiamo fare senza paura e convinti che l’unica via per salvarci da questa follia è quella di continuare a credere nella convivenza civile e nella pace. E farcene promotori”.
Perciò avete invitato i credenti di ogni fede, in particolare cristiani e musulmani, a dissociare la religione da ogni forma di violenza perpetrata in nome di Dio?
"Non c’è alternativa al dialogo e all’incontro coinvolgendo oltre ai leader religiosi anche il maggior numero di fedeli. Bisogna conoscersi meglio e di più, conoscere l’altro per non averne paura o non disprezzarlo. Insistere sul fatto che il vero messaggio al cuore di ogni religione è la pace. E chi usa il nome di Dio per commettere atti violenti non è né religioso, né eroe, ma vigliacco e offende milioni di credenti. Solo la pace è santa, mai la guerra! Gli Incontri interreligiosi nello Spirito di Assisi, promossi dalla Comunità di Sant’Egidio in questi anni, hanno provocato un grande mutamento in positivo nella conoscenza gli uni degli altri, hanno introdotto un nuovo linguaggio pacifico e hanno anche aiutato a sciogliere alcune ambiguità tra uso della violenza e religione. Dico questo senza orgoglio, ma con soddisfazione".
Eppure coabitazione e integrazione sembrano sempre più difficili. Frustrazione sociale, rabbia, sfiducia nelle istituzioni sono una polveriera.
"Il dialogo è l’unica via possibile per vivere insieme oggi nella società globalizzata, in cui si incontrano e si mischiano tante persone di culture, etnie, provenienze e religioni diverse. Bisogna investire ancora e di più sul dialogo e sul sostegno ai giovani periferici e lasciati ai margini delle nostre società perché si superino la rabbia e il risentimento. E’ necessario trovare nuovi modi di comunicare non violenti, non discriminanti e fuori da ogni razzismo: la comunicazione sociale non deve essere inquinata da messaggi fortemente diseducativi per i più fragili. Va inoltre affrontato seriamente il tema della disoccupazione giovanile in tutta Europa".
La crisi provocata dalla pandemia può alimentare un nuovo scontro di civiltà?
"La pandemia porta con sé molti effetti negativi. In primo luogo quelli sanitari, ma anche economici, sociali, umani e psicologici. Tutto questo provoca un peggioramento della vita sociale, ma non credo alimenti uno scontro di civiltà. E’ sempre più evidente a tutti che - come ha ben detto Papa Francesco lo scorso marzo al mondo – “nessuno si salva da solo”. Non c’è altra via per vincere la pandemia. E’ questo messaggio che deve passare: dai comportamenti dei singoli alle decisioni dei governanti".
Il killer che ha colpito nella cattedrale di Nizza era sbarcato a Lampedusa. La questione torna a essere oggetto di polemiche e a far discutere in tema di sicurezza. Secondo lei c’è qualcosa da cambiare nel modello di accoglienza dei migranti?
“Bisogna cambiare il modello di immigrazione vissuto finora. Dove c’è illegalità possono nascondersi problemi di varia natura, come in questo drammatico caso francese. Per combattere l’illegalità c’è solo uno strumento: quello della legalità. L’Europa è un continente semi-chiuso, in cui lo spazio per le vie legali di immigrazione è ristrettissimo. I drammi vissuti da migliaia e migliaia di persone costrette a fuggire da situazioni di guerra e carestia non è affrontato nelle giuste dimensioni. Si è poco o quasi niente investito sulla creazione di vie legali, che sono le uniche che garantiscono sicurezza per il paese che accoglie e per il migrante che viaggia: occorrono legalità e accoglienza. Un modello virtuoso, in questo senso sono i corridoi umanitari che la Comunità di Sant’Egidio, con le Chiese evangeliche italiane e la CEI, hanno messo in campo in questi ultimi quattro anni in Italia e altri Paesi europei: un modello che coniuga sicurezza e integrazione”.
Il sindaco della città francese ieri ha chiesto di mettere sotto sorveglianza tutte le chiese o di chiuderle. Pensa che anche le chiese italiane debbano essere chiuse o più controllate?
“E’ molto importante che le chiese restino aperte: dove si prega c’è consolazione, speranza, sguardo aperto sul futuro, pace. Chiudere le chiese oggi sarebbe dare ragione ai terroristi. Dobbiamo lasciare la libertà ai cristiani di professare la loro fede, anche se in alcuni casi questo comporta dei rischi. Ma i cristiani – come i credenti delle altre religioni – sono convinti che la loro preghiera aiuterà il mondo a essere migliore. I luoghi di culto, di qualsiasi fede, sono uno spazio di aria pura e di speranza nelle società”.