Coronavirus
Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes)
Istat: il Covid frena la speranza di vita
Annullati i guadagni in anni di vita maturati nel decennio: la speranza di vita crolla a 82,3 anni nel 2020
È quanto emerge dall'ottava edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) diffuso dall'Istat. Nel Nord la speranza di vita passa da 82,1 anni nel 2010 a 83,6 nel 2019, per scendere nuovamente a 82 anni nel 2020. Nel Centro passa da 81,9 nel 2010 a 83,1 anni nel 2020 e nel Mezzogiorno da 81,1 a 82,2 anni, con perdite meno consistenti nell'ultimo anno (rispettivamente -0,5 e -0,3 anni). È un arretramento non ancora concluso, e che richiederà tempo per essere pienamente recuperato.
Nel 2020 in Italia l'indice di salute mentale assume il valore di 68,8. Rispetto al 2019, emergono tendenze differenti in sottogruppi di popolazione. Peggiora la situazione delle persone di 75 anni e più di entrambi i generi e delle persone sole nella fascia di età 55-64, soprattutto al Nord. L'indice di salute mentale peggiora anche tra le giovani donne di 20-24 anni e in alcune regioni come Lombardia, Piemonte e Campania che, insieme al Molise, presentano i valori più bassi. Nel 2018, il tasso standardizzato di mortalità evitabile è risultato pari a 16,8 per 10mila residenti, con valori più elevati tra gli uomini (22,3 per 10mila abitanti contro 11,8 delle donne). Nel tempo si è osservata una forte riduzione della mortalità evitabile (il tasso standardizzato era pari a 23,5 per 10mila nel 2005), soprattutto nella componente prevenibile (da 14,8 per 10mila nel 2005 a 10,4 nel 2018).
Nel 2020 il 48,8% della popolazione di 75 anni e più è multicronica (soffre di tre o più patologie croniche) o ha gravi limitazioni nel compiere le attività che le persone abitualmente svolgono.
Tale quota è più elevata tra chi vive nel Mezzogiorno (56,9% rispetto a 44,6% nel Nord e a 47% nel Centro), tra le donne (55% contro 39,7% degli uomini) e raggiunge il 60,7% tra le persone di 85 anni e più (rispetto a 39,3% delle persone di 75-79 anni). Nel 2020 la quota di persone sedentarie di 14 anni e più è pari al 33,8%, dato in miglioramento rispetto al 2019.
È invece in eccesso di peso il 45,5% delle persone di 18 anni e più, in lieve aumento rispetto all'anno precedente. Nel 2020 i fumatori sono il 18,9% della popolazione di 14 anni e più (quota stabile rispetto all'anno precedente) mentre il consumo di alcol a rischio ha riguardato il 16,8% della popolazione della stessa fascia di età (in lieve aumento).
Da Covid colpo allarmante a sistema economico Italia
Tradizionalmente le famiglie italiane si caratterizzano per un'elevata propensione al risparmio, una diffusa proprietà dell'abitazione e un limitato ricorso all'indebitamento. Tuttavia, la crisi economica che ha contraddistinto una lunga fase dello scorso decennio ha mostrato i limiti di questo modello, accentuando le disuguaglianze e le profonde differenze territoriali.
Negli anni 2018 e 2019, la crescita del tasso di occupazione, la riduzione della povertà assoluta e della grave deprivazione, l'aumento del reddito e del potere d'acquisto delle famiglie, anche grazie al potenziamento degli interventi di sostegno al reddito, hanno confermato un miglioramento delle condizioni economiche del Paese.
In tale contesto, lo scoppio della pandemia ha colpito il sistema economico italiano in forme e intensità allarmanti e imprevedibili. Il crollo dei livelli di attività economica ha avuto effetti negativi sul reddito, sul potere d'acquisto e soprattutto sulla spesa per consumo.
L'aumento della povertà si è concentrato su alcuni segmenti di popolazione e su alcuni territori. La stima preliminare per il 2020 identifica oltre 5,6 milioni di individui in condizione di povertà assoluta in Italia, con un'incidenza media pari al 9,4%, dal 7,7% del 2019: si tratta dei valori più elevati dal 2005.
La povertà cresce soprattutto al Nord, area particolarmente colpita dalla pandemia, dove la percentuale di poveri assoluti passa dal 6,8% al 9,4% degli individui; più contenuta, invece, la crescita al Centro (dal 5,6% al 6,7% degli individui) e nel Mezzogiorno (dal 10,1% all'11,1%).
Colpisce, inoltre, prevalentemente le famiglie con bambini e ragazzi: l'incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale di oltre due punti percentuali (da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005) per un totale di 1 milione e 346mila bambini e ragazzi poveri, 209mila in più rispetto all'anno precedente. Nel 2020, il 28,8% delle famiglie ha dichiarato un peggioramento della situazione economica familiare rispetto all'anno precedente, dal 25,8% del 2019.
Tale deterioramento ha interessato il 30,5% delle famiglie nel Centro, il 28,8% nel Nord e il 27,7% nel Mezzogiorno. A percepire una condizione economica in peggioramento sono state soprattutto le famiglie con 3 o più componenti, le persone sole sotto i 65 anni e le famiglie dove vive almeno un minore. Più tutelate le famiglie dove il grado di istruzione risulta più elevato, così come quelle composte da persone anziane, sia sole che in coppia.
Nell'anno precedente la pandemia (2019) gli indicatori legati alle capacità reddituali e alle risorse economiche, che consentono alle famiglie di raggiungere un determinato standard di vita, avevano registrato sostanziali segnali di miglioramento. Risultavano infatti in calo il rischio di povertà (20,1% degli individui da 20,3% nel 2018); la percentuale di coloro che vivono in famiglie dove gli individui hanno lavorato per meno del 20% del proprio potenziale (10% da 11,3% nel 2018); la quota di persone che dichiarano di arrivare a fine mese con grande difficoltà (8,2% da 9,7% dell'anno precedente); le persone in condizione di grave deprivazione materiale (7,4%, in forte discesa da 8,5% del 2018) e di grave deprivazione abitativa (stabile al 5%). In controtendenza i costi per il mantenimento di una abitazione che avevano inciso in modo rilevante sul reddito delle famiglie per l'8,7% degli individui (in crescita rispetto all'8,2% del 2018).
Forte calo degli occupati: -788mila nel II trimestre 2020
Nel secondo trimestre 2020, l'emergenza sanitaria ha comportato in Italia un forte calo del numero di occupati: sono 788mila in meno (tra i 20-64 anni) rispetto allo stesso trimestre dell'anno precedente; il tasso di occupazione (sempre 20-64 anni) scende al 62%, in diminuzione di 2 punti percentuali.
In dieci anni i divari con l'Europa per i tassi di occupazione si sono ulteriormente allargati e sono particolarmente evidenti per le donne. Nel 2010, il tasso di occupazione delle donne di 20-64 anni in Italia era di 11,5 punti più basso rispetto alla media europea, e nel 2020 il distacco arriva a circa 14 punti in meno.
In termini di retribuzione, dopo anni di sostanziale stabilità, nel secondo trimestre 2020 sale al 12,1% l'incidenza dei lavoratori dipendenti con bassapaga (retribuzione oraria inferiore a 2/3 di quella mediana) (9,6% nello stesso periodo del 2019). Nel Mezzogiorno la quota è maggiore (16,4%) ma il valore è pressoché stabile se confrontato con il secondo trimestre dell'anno precedente (-0,2 punti); nel Centro è al 13,2% e al Nord al 9,6%, in entrambi i casi in aumento (+4,2 punti e +3,3 punti): si riducono così le distanze territoriali. Il part time involontario aumenta costantemente fino al 2015, e rimane stabile negli anni successivi (11,7% nel secondo trimestre del 2020).
Dopo sei anni di lento ma continuo calo, torna a crescere la quota di lavoratori che restano per lunghi periodi nello status di occupato a termine attraverso una successione di contratti a tempo determinato. Nel secondo trimestre dello scorso anno, la quota dei lavoratori a termine di lungo periodo passa infatti dal 17,6% al 18,7%.
A marzo 2020 l'emergenza sanitaria ha imposto in molti settori il lavoro da casa come strumento indispensabile per proseguire le attività produttive e contenere i rischi per la salute pubblica. Nel secondo trimestre 2020 la quota di occupati che hanno lavorato da casa almeno un giorno a settimana ha superato il 19% (dal 4,6% del secondo trimestre 2019), raggiungendo il 23,6% tra le donne.
La percentuale di lavoratori che si percepiscono come fortemente vulnerabili registra una inversione di tendenza rispetto al trend di costante diminuzione degli ultimi anni: nel secondo trimestre 2020 è pari al 7,8% (+1,9 punti rispetto al secondo trimestre 2019, + 400mila). Sono in tutto quasi 1 milione e 800mila gli occupati che temono fortemente di perdere il lavoro senza avere la possibilità di sostituirlo.
Quasi 1,8 milioni di occupati temono fortemente di perdere il lavoro
Sono quasi 1 milione e 800mila gli occupati che temono fortemente di perdere il lavoro senza avere la possibilità di sostituirlo. La percentuale di lavoratori che si percepiscono come fortemente vulnerabili registra una inversione di tendenza rispetto al trend di costante diminuzione degli ultimi anni: nel secondo trimestre 2020 è pari al 7,8% (+1,9 punti rispetto al secondo trimestre 2019, + 400mila).
Tornano a crescere i giovani Neet
Nel secondo trimestre 2020 sale al 23,9% la quota di giovani di 15-29 anni che non studiano e non lavorano (Neet), dopo alcuni anni di diminuzioni (21,2% nel secondo trimestre 2019). E' quanto emerge dall'ottava edizione del Rapporto sul Benessere equo e sostenibile (Bes) diffuso dall'Istat. Incide particolarmente la componente dovuta all'inattività, specie nelle regioni del Centro-nord, dove la ricerca di lavoro ha subito una brusca interruzione dovuta alla pandemia. In Italia l'aumento è stato più accentuato rispetto al resto d'Europa, accrescendo ulteriormente la distanza (+6 punti percentuali nel secondo trimestre del 2010, +10 punti nel 2020). Altrettanto alta è la quota di giovani che escono prematuramente dal sistema di istruzione e formazione dopo aver conseguito al più il titolo di scuola secondaria di primo grado (scuola media inferiore). Nel secondo trimestre 2020, in Italia, il percorso formativo si è interrotto molto presto per il 13,5% dei giovani tra 18 e 24 anni, valore in netto calo rispetto al 2010 ma pressoché stabile dal 2017.
Allarme istruzione: la pandemia acuisce le diseguaglianze
In Italia, nonostante i miglioramenti conseguiti nell'ultimo decennio, non si è ancora in grado di offrire a tutti i giovani le stesse opportunità per un'educazione adeguata. Il livello di istruzione e di competenze che i giovani riescono a raggiungere dipende ancora in larga misura dall'estrazione sociale, dal contesto socio-economico e dal territorio in cui si vive.
La pandemia del 2020, con la conseguente chiusura degli istituti scolastici e universitari e lo spostamento verso la didattica a distanza, o integrata, ha acuito le disuguaglianze.
Il divario con l'Europa sull'istruzione continua ad ampliarsi: nel secondo trimestre 2020 il 62,6% delle persone di 25-64 anni ha almeno il diploma superiore (54,8% nel 2010); tale quota è inferiore alla media europea di 16 punti percentuali. Tra i giovani di 30-34 anni il 27,9% ha un titolo universitario o terziario (19,8% nel 2010) contro il 42,1% della media Ue27. L'inserimento dei bambini di 0-2 anni nelle strutture per la primissima infanzia è cresciuto nel tempo, dal 15,4% nel triennio 2008-2010 al 28,2% nel 2018-2020, ma rimane un livello inferiore all'obiettivo europeo di almeno un bambino su tre fissato per il 2010.
Nel 2020 il percorso scolastico dei ragazzi ha subito una delle più profonde e improvvise trasformazioni, passando da una didattica totalmente in presenza a una a distanza per gli ultimi mesi dell'anno scolastico 2019/20 e a una didattica mista (prevalentemente a distanza per i ragazzi delle scuole superiori di secondo grado) nei primi mesi dell'anno scolastico 2020/21. L'indagine Istat sull'integrazione degli alunni con disabilità nella scuola statale e non statale, cui hanno risposto nell'anno scolastico 2019/20, ha evidenziato come gli istituti si siano attrezzati in varie forme di didattica a distanza ma, nonostante gli sforzi di dirigenti, docenti e famiglie, l'8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza e non ha preso parte alle video-lezioni con il gruppo classe. Tale quota sale al 23% tra gli alunni con disabilità. La didattica a distanza si è scontrata con le difficoltà nelle competenze digitali della popolazione italiana, che presenta una delle situazioni peggiori in Europa. Nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni soltanto il 22% ha dichiarato di avere competenze digitali elevate (contro il 31% nella Ue27).
La maggioranza degli individui è in possesso di competenze basse (32%) o di base (19%) mentre il 3,4% ha competenze praticamente nulle e il 24% dichiara di non aver usato Internet negli ultimi tre mesi. Nel 2020 la possibilità di partecipare ad attività di apprendimento diverse dalla formazione scolastica e universitaria, è stata, anch'essa, bruscamente interrotta, soprattutto nei mesi di marzo, aprile e maggio, o parzialmente riconvertita in altre forme di fornitura. La partecipazione media per l'Italia è scesa al 7,2% degli individui.
Il calo è particolarmente evidente al Nord (dal 10,5% del secondo trimestre 2019 al 7,9% dello stesso periodo nel 2020) e al Centro (dal 9,6% all'8,2%). A partire dal 2010, la partecipazione culturale fuori casa è molto diminuita, fino a toccare il minimo nel 2013 (30,6%) per poi registrare in tutti i territori un trend crescente fino al 2019. Nel 2020, il lockdown ha inciso sulle attività del tempo libero che si svolgono fuori casa, annullando completamente i progressi degli ultimi anni: la quota di persone di 6 anni e più che si sono dedicate ad almeno due attività culturali fuori casa (come andare al cinema, a teatro o a un concerto, visitare musei o mostre) è scesa al 30,8% dal 35,1% dell'anno precedente.
Diversamente dalla fruizione culturale fuori casa, nel 2020 la lettura di libri, complice il maggior tempo trascorso entro le mura domestiche, è in ripresa (39,2%) rispetto al trend decrescente registrato fino al 2019 (dal 44,4% del 2010 al 38% nel 2019). Tra il 2019 e il 2020 è in aumento soprattutto la lettura di almeno 4 libri nell'anno, mentre si osserva una sostanziale stabilità nella lettura di almeno 3 quotidiani a settimana.
L'8% degli studenti escluso da didattica a distanza
Nonostante gli sforzi di dirigenti, docenti e famiglie, l'8% dei bambini e ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado è rimasto escluso da una qualsiasi forma di didattica a distanza e non ha preso parte alle video-lezioni con il gruppo classe. Tale quota sale al 23% tra gli alunni con disabilità. La didattica a distanza si è scontrata con le difficoltà nelle competenze digitali della popolazione italiana, che presenta una delle situazioni peggiori in Europa. Nel 2019, tra gli individui di 16-74 anni soltanto il 22% ha dichiarato di avere competenze digitali elevate (contro il 31% nella Ue27). La maggioranza degli individui è in possesso di competenze basse (32%) o di base (19%) mentre il 3,4% ha competenze praticamente nulle e il 24% dichiara di non aver usato Internet negli ultimi tre mesi.
Nel 2020 un terzo delle famiglie non ha Pc e internet a casa
Nel 2020 un terzo delle famiglie italiane non dispone di computer e accesso a Internet da casa. Le differenze sono molto accentuate guardando il titolo di studio: dal 7,2% delle famiglie in cui almeno un componente è laureato si passa al 68,3% di quelle in cui in cui il titolo più elevato è la licenza media. Non dispongono di connessione a Internet e pc il 12,6% delle famiglie in cui è presente almeno un minore e il 70% delle famiglie composte da soli anziani. Aumenta lo svantaggio delle famiglie del Mezzogiorno: nel 2020 il gap rispetto alle famiglie del Nord è di 10 punti percentuali, 3 in più rispetto al 2010.