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POLITICA

Direzione Pd

Jobs Act, conclusa la direzione Pd. Approvata la mozione di Renzi e la minoranza si spacca

Passa la linea del segretario/premier con 130 sì, 20 no e 11 astensioni. Hanno votato a favore la maggioranza e i giovani turchi. Astenuta una parte di Area riformista

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Roma Centrotrenta voti favorevoli, 11 astenuti e 20 contrari. Con questi numeri la Direzione del Partito Democratico ha approvato la relazione del segretario/premier Matteo Renzi sul Jobs Act. La mozione, sottolineano fonti dem, è passata con l'86% dei consensi. Massimo D'Alema e Pierluigi Bersani sono tra i venti esponenti della Direzione Pd ad aver votato contro la relazione del segretario. Tra i contrari Pippo Civati e gli esponenti della sua componente. Dei bersaniani hanno votato "no" Stefano Fassina, Alfredo D'Attorre, Gianni Cuperlo, Barbara Pollastrini, Roberta D'Agostini, Davide Zoggia, così come il presidente della commissione Lavoro della Camera Cesare Damiano. Contro la relazione di Renzi anche il "lettiano" Francesco Boccia e la "bindiana" Margherita Miotto. 

La "stella polare" di Renzi: il voto comune
Renzi oggi ha usato toni più morbidi dei giorni passati e tentato una doppia mediazione: aprendo alla concertazione con i sindacati e concedendo il reintegro per motivi disciplinari, oltre che discriminatori. Poi dà mandato a Lorenzo Guerini di trattare con la minoranza per un documento finale comune. Preceduto da voci dem che avevano anticipato il fallimento della trattativa, il premier aveva aperto il suo discorso conclusivo con un messaggio diretto alla minoranza:  "Trovo che discussioni come quella di oggi siano discussioni belle, anche quando non siamo d'accordo. Trovo che questo sia per me un partito politico, un luogo in cui si discute. Poi, mi piace pensare che in Parlamento si voti tutti allo stesso modo. E' stata questa la stella polare quando ero opposizione nel partito, lo è a maggior ragione oggi". La mediazione alla fine salterà, le minoranze votano in ordine sparso ma per il premier nulla cambia: a questo punto, intesa o meno, la direzione ha deciso e "da oggi tutti dovranno adeguarsi".

Renzi a D'Alema-Bersani, faccio quanto dicevate voi da anni
Durante il suo discorso conclusivo il segretario/premier aveva risposto agli attacchi di D'Alema e Bersani. "Il Pd sta mettendo in campo una solida e forte proposta di governo; se poi non andrà bene lo diranno cittadini, i mercati". E poi rilancia "Definire questo governo privo di solidità, tutto slogan e annunci, va contro la realtà dei fatti". Non risparmia una stilettata diretta a Massimo D'Alema che aveva attaccato il premier duramente sul Jobs Act: "Se non è stata fatta la riforma del lavoro quando c'era la crescita, la colpa non è certo nostra. Su questo Stiglitz ha ragione". Del resto, spiega Renzi "facciamo quello che per anni avete detto voi" ha attaccato dal palco della Direzione del Pd. "Dicevate di tassare meno il lavoro e spostare sulla rendita e lo abbiamo fatto. Quando dite che bisogna dare battaglia in Europa per cambiare Europa, noi abbiamo fatto l'operazione dei 300 miliardi che abbiamo fatto tutti insieme, per portare il Pse a non fare solo una trattativa sui posti, come qualcuno voleva fare magari per cercare di sistemarsi lui". 

"Consentire agli imprenditori di rischiare"
Il Pd, spiega Renzi, "si candida a rappresentare anche imprenditori e non solo operai: "E' imbarazzante parlare con quelli che vogliono investire in Italia e rispondere 'non so quanto pagherai quando vorrai chiudere l'azienda'. Dire questo però è brutto. Nel momento in cui l'imprenditore non ce la fa, non possiamo dire 'non puoi farlo". Del resto "Se gli imprenditori del nord-est che prima votavano centro-destra hanno votato per noi è perchè abbiamo regalato a loro e ai loro figli la parola 'opportunità", è la linea del leader Pd che ha ben presente da dove arriva una buona fetta del consenso delle europee. E che non ha alcuna intenzione di spingere, come dice nel suo intervento, a fare "zapping" alle prossime elezioni, tardi o presto che siano.

"Sì al confronto con i sindacati ma no a compromessi a tutti i costi"
La direzione del Partito Democratico era stata aperta da Matteo Renzi con un lungo intervento che partendo dalle riforme portate avanti dal governo analizzava gli obiettivi futuri del Pd, per poi arrivare all'affondo con il Jobs Act e alla necessità di superare l'articolo 18, elemento di incertezza per gli investitori stranieri: "il rispetto del diritto costituzionale non è nell' avere o no l'art. 18, ma nell'avere lavoro. Se fosse l'art.18 il riferimento costituzionale allora perché per 44 anni c'è stata differenza tra aziende con 15 dipendenti o di più?" chiedeva il presidente del Consiglio al Nazareno, rispondendosi che la disciplina resterà in piedi solo in due casi: licenziamento discriminatorio e disciplinare. E su questo si è detto pronto al confronto e alla sfida con Cgil, Cisl e Uil su tre punti: una legge sulla rappresentazione sindacale; la contrattazione di secondo livello e il salario minimo.

E la minoranza Pd si divide
Alla fine, come previsto, il Pd si spacca. E tutta la distanza tra Renzi e la minoranza sta in quel "voi" con cui il leader Pd si rivolge alla sinistra. "Potete dire che eèun errore, che non siete d'accordo, che non ci votate. Ma non riconoscere che c'è un disegno unitario dentro il governo è una cosa che appartiene" ai poteri forti, che oggi il premier ribattezza "aristocrazia". Adesso per Renzi il tempo delle mediazioni è finito. "Se pensano che mi faccio spaventare si sbagliano di grosso", tira dritto il leader Pd davanti ad una minoranza che alla prova finale si è anche divisa.   
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