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POLITICA

Direzione al Nazareno

Renzi: "Confronto con i sindacati ma compromessi non a tutti i costi"

Il premier e segretario indica la strategia su Jobs Act e invoca il coraggio del partito 

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"Facciamo la riforma del lavoro per dignità". Il cuore dell'intervento di Matteo Renzi alla direzione del Partito democratico è racchiuso in questa frase. Il segretario e premier ci arriva dopo una lunga premessa che va dalle riforme portate avanti dal governo agli obiettivi futuri del Pd, ma poi arriva l'affondo con il Jobs Act e sulla necessità di superare l'articolo 18, elemento di incertezza per gli investitori stranieri: "il rispetto del diritto costituzionale non è nell' avere o no l'art. 18, ma nell'avere lavoro. Se fosse l'art.18 il riferimento costituzionale allora perché per 44 anni c'è stata differenza tra aziende con 15 dipendenti o di più?" si chiede il presidente del Consiglio al Nazareno, rispondendosi che la disciplina resterà in piedi solo in due casi: licenziamento discriminatorio e disciplinare. E su questo si dice pronto al confronto e alla sfida con Cgil, Cisl e Uil su tre punti: una legge sulla rappresentazione sindacale; la contrattazione di secondo livello e il salario minimo.

"Serve un paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora. La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c'è uno Stato amico che li aiuta"  dice poi Renzi, invocando il coraggio del partito a "votare con chiarezza al termine" della direzione "un documento che segni il cammino del Pd sui temi del lavoro e ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni", per arrivare ad una "profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare". Per fare questo Renzi si dice anche disposto al compromesso e alle mediazioni, "ma non a tutti i costi". E soprattutto non all'infinito perché il Pd non è "un club di filosofi ma un partito politico che decide, certo discute e si divide ma all'esterno è tutto insieme. Questa è per me la ditta". Sui contenuti la strategia primaria è quella di intervenire sugli ammortizzatori sociali - un miliardo e mezzo di euro - con la garanzia del reddito per i disoccupati proporzionale all'anzianità contributiva nella prossima legge di stabilità e la riduzione del costo del lavoro per circa due miliardi e mezzo. Tutto nel rispetto del parametro del 3% nel rapporto tra deficit e Pil e annuncia che l'aggiornamento del Def sarà votato domani in Cdm.

L'appello alle minoranze
Tutti coinvolti nel processo di riforme quindi, perché chi "non la pensa come la segreteria non è uno dei Flintstones, come dice Cuperlo" ma per Renzi vale anche il contrario: chi la pensa come la segreteria "non è come Margareth Thatcher". Fuori dal partito le critiche invece vanno ai poteri forti, per i quali Renzi conia una nuova definizione: "non mi preoccupano le trame altrui, di coloro che si sentono spodestati. Non chiamateli poteri forti, e nemmeno poteri immobili. Chiamateli, forse con eccesso di stima, poteri aristocratici". Immancabile poi anche una risposta a D'Alema: "Ha sottolineato come vi siano solo 8 commissari socialisti" nella commissione europea: "è vero, perché ci sono otto governi socialisti". 

Le misure del governo e la missione del Pd
Rifacendosi al risultato del Pd, primo partito alle Europee, Renzi ha poi ricordato quello che considera il mandato del Pd: "Una sfida per cambiare l'Italia e l'Europa. Gli elettori con il 40,8%  si sono affidati a noi con questo obiettivo. Ma non è tanto una percentuale o il numero assoluto dei voti a contare: è il fatto che gli italiani hanno detto al Pd 'la devi cambiare tu l'Italia', fermando l'avanzata in Italia dell'antipolitica". E aggiungendo: "Non possiamo fare l'analisi del voto la settimana dopo e dimenticarla dopo 5 mesi". E oltre ai risultati elettorali ha rivendicato anche altre misure prese dal suo governo, come gli 80 euro, che "sono un fatto di dignità prima ancora che di giustizia sociale e sono importanti per milioni di italiani e non per 100 editorialisti" e le misure d'iimagine  come il tetto allo stipendio, dei manager, il taglio delle auto blu e dei permessi sindacali.

Le posizioni nel Pd
A meno di due ore dal confronto al Nazareno si è riunito il Coordinamento delle minoranze sulla legge di stabilità e sul jobs act, che vede tra gli altri presenti Stefano Fassina, Giuseppe Civati, Alfredo D'Attorre, Francesco Boccia. Ma anche i Giovani turchi, area di maggioranza che esprime il presidente del partito Matteo Orfini.Per quanto riguarda i riformisti - contrari all'abolizione dell'articolo 18 - il deputato D’Attorre ha indicato una strategia d’attesa: “Prima ascoltiamo la relazione di Renzi". Si attendeva infatti di capire se dal segretario ci fosse qualche apertura o meno sulle richieste avanzate dalla minoranza sul Jobs Act. "Se la proposta resta così com'è, è inevitabile che votiamo contro", ha spiegato D'Attorre. Affondi invece nei confronti del premier da Civati e Fassina, con quest'ultimo che ha parlato di "direzione bulgara". Resta così da un lato chi è orientato a votare no alla relazione del segretario se confermerà l'abolizione dell'art.18. Dall'altro chi fino all'ultimo spingerà per una ricomposizione e confida in margini di trattativa. Tentativi di mediazione sono stati fatti dal sottosegretario Graziano Delrio che aveva garantito sulle capacità del Pd di trovare la sintesi. Obiettivo che secondo il deputato dem Cesare Damiano deve essere perseguito proprio da Renzi in quanto segretario. 

Nessun accordo tra i sindacati
Camusso, Angeletti e Bonanni, accompagnato da Annamaria Furlan che gli succederà alla guida della Cisl, si sono incontrati in mattinata per un vertice durato oltre 3 ore. La leader della Cgil Susanna Camusso è tornata ad attaccare il premier: “Ha detto ieri sera una cosa che non era mai stata detta in questo Paese: il punto è la garanzia alle imprese della libertà di licenziare", confermando poi la manifestazione del suo sindacato a Roma il 25 ottobre. In attesa invece delle parole del premier la Uil che con il segretario Luigi Angeletti ha ribadito di voler aspettare che il governo dica formalmente che intenzioni ha “per modificare le regole sul lavoro e poter quindi dire se ci piace o no". Posizione simile a quella della Cisl che con il dimissionario Raffaele Bonanni aveva annunciato: "Sappiamo che tutto gira sul contratto a tutele crescenti e sulla rimodulazione dell'articolo 18. Se il contratto a tutele crescenti assorbe false partita iva, cocopro e gli associati in partecipazioni credo che la Cisl possa essere disponibile, diversamente è un contratto a tutele decrescenti". 
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