POLITICA
Alle 17 Renzi al Nazareno per direzione Pd
Jobs Act e articolo 18, nessun accordo tra Cgil Cisl e Uil, si continua a trattare
Dopo un incontro di oltre tre ore i leader di Cgil, Cisl e Uil escono senza decisioni concrete ma con l'impegno di proseguire il confronto per un'azione unitaria. Nel pomeriggio la riunione della direzione dei democratici. Che cosa succede in Europa quando si licenzia (LEGGI)?
L’incontro dei sindacati
Camusso, Angeletti e Bonanni, accompagnato da Annamaria Furlan che gli succederà alla guida della Cisl, si sentono tagliati fuori dal premier che - accusa la leader della Cgil, Susanna Camusso - sembra invece dialogare solo con Confindustria: "Il punto è la garanzia alle imprese della libertà di licenziare, una cosa mai detta prima in questo Paese". La Cgil da parte sua sarà già in piazza San Giovanni a Roma il 25 ottobre e preannuncia lo sciopero generale se ci sarà un'accelerazione del Governo con un decreto. Camusso resta all'attacco: "Renzi non sa nemmeno che i co.co.co non esistono più. Adesso esistono altre forme di contratti: voucher, contratti a progetto e associazioni in partecipazione". Per quanto riguarda la mobilitazione la leader della Cgil ha detto: "è stata una discussione più di valutazioni e proposte che di mobilitazioni".
Più cauta, invece, la Cisl, che vorrebbe ripartire dalla piattaforma lanciata prima dell'estate e cercare quindi una mediazione sull'articolo 18 nel quadro di un confronto più ampio: fisco, politica industriale, investimenti, precarietà. Cauta anche la Uil che attende una posizione chiara e definitiva del governo, e che oggi pomeriggio terrà una riunione del suo esecutivo proprio mentre sarà in corso la direzione Pd. Per Angeletti, però, "Renzi ha fatto una battuta stupenda" dicendo di voler trattare con i lavoratori sulla riforma: "Mi immagino che Renzi voglia parlare con 17 milioni di lavoratori dipendenti, ci vorrà un po’ di tempo, visto che non vuole parlare con chi rappresenta i lavoratori. Le tutele vanno estese, non tolte". La Uil giudica comunque "una cosa buona e positiva" l'intenzione del premier Matteo Renzi di eliminare le forme contrattuali che per i sindacati generano precarietà ma avverte: "Non ci sono scambi".
Poletti: "Abbiamo deciso di cambiare e cambieremo"
"Quando uno decide di cambiare è sempre il giorno giusto, noi abbiamo deciso di farlo e lo faremo": così il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, intervenendo al 'Dialogo italo-tedesco sull'occupazione giovanile', parlando della riforma del mercato del lavoro e ribadendo, tra l'altro, l'obiettivo di portare avanti "l'allargamento delle tutele, in modo che tutti i lavoratori tendenzialmente abbiano tutele analoghe" e contestualmente "un radicale spostamento verso le politiche attive".
La direzione Pd
“La strada è molto stretta”, ha ammesso l’ex segretario Pierluigi Bersani riferendosi alla possibilità di trovare una sintesi tra le varie anime democratiche sul tema della riforma del lavoro. Alla vigilia della direzione infatti nessun accordo è stato trovato e il Pd rischia una spaccatura profonda sull’articolo 18: la bandiera che Renzi vuole stracciare perché “non serve a niente” e che, al contrario, la sinistra del Pd ha scelto come vessillo della propria esistenza tanto che in molti, come l’ex viceministro dell’economia Stefano Fassina, hanno già detto che una riforma così non la votano.
Se non si arriverà a un’intesa prima dell’incontro del pomeriggio, la direzione si aprirà senza rete e - salvo improbabili ripensamenti del premier - in serata ai democratici non resterà che far la conta dei voti e, ancora una volta, di vincitori e vinti. Con i numeri che sono dalla parte del segretario, che controlla almeno il 68% dei circa 200 membri del ‘parlamentino’ e che potrebbe allargare ancora i suoi consensi. Oggi Renzi inviterà il Pd a valutare nel complesso la riforma senza fermarsi all’articolo 18, e farà la sua proposta che verrà messa ai voti. La minoranza, che potrebbe dividersi sul grado di intransigenza, non ha le forze per capovolgere un epilogo già scritto. In caso di sconfitta potrà cercare la rivincita al Senato: lì la maggioranza ha solo sette voti di vantaggio e “se procedesse mediante un’intesa con le destre”, ammonisce Chiti, “ne seguirebbe una lacerazione grave per il Pd, il governo, il Paese”.