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POLITICA

Direzione al Nazareno

Jobs Act, le reazioni del Pd all'intervento di Renzi. D'Alema: "Frasi senza fondamento"

L'ex premier attacca il presidente del Consiglio sulla riforma del mercato del lavoro. Civati: "Il premier dice cose di destra". Appello di Cuperlo all'unità del partito. Bersani: "No al metodo Boffo". Fassina: "Il vero scopo è abbassare le retribuzioni dei lavoratori"

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Roma Tra i primi big del Partito demoratico ad intervenire dopo il premier Matteo Renzi c'è Gianni Cuperlo. "Davanti a te non hai la minoranza del congresso ma persone pronte a innovare tutto ciò che possibile ma non disposte a rinunciare a una quota delle loro convinzioni. Non ci sono nemici del governo e volatili notturni ma opinioni. La forza di un leader è farsene carico, mai tirare diritto comunque sia" anche perché "non c'è un dominus nel Pd" l'ex presidente del Pd facendo appello a Matteo Renzi perché cerchi, nel testo del Jobs act, una "sintesi condivisa". "Da giorni si dice che la direzione decide e poi si fa tutti alla stessa maniera. Ma nessuno tra noi né alle primarie né alla vigilia delle europee ha messo sul tavolo" la riforma del lavoro "come è stata raccontata negli scorsi giorni: vediamo il testo e cerchiamo una sintesi condivisa", sottolinea Gianni Cuperlo. "Voglio il bene del Paese come lo vuoi tu - dice a Matteo Renzi - riconosco il tuo primato, politico ed elettorale. Sei il segretario del mio partito e il premier legittimato da una vastissima platea e non la reincarnazione della Thatcher ma non c'è un dominus nel Pd. Dovresti raccogliere la domanda di continuare a cercare qui e oltre nei gruppi, una soluzione più efficace nella ricaduta e più convincente sotto il profilo del principio". 

Poi è il turno di Massimo D'Alema che attacca direttamente il premier su forme e contenuti. "Sono affascinato dall'oratoria di Matteo Renzi. Ma il fascino dell'oratoria talvolta all'ascoltatore attento non riesce a fare sì' che ci sia una qualche attinenza tra una parte delle osservazioni che vengono fatte e la realtà. Ancor più in quaesta fase, il dibattito politico deve mantenere un ancoraggio alla realtà". "Io - ha aggiunto - potrei fare una lunghissima elencazione di affermazioni prive di fondamento. 'E' la prima volta che si interviene sul costo del lavoro'. Ma il governo Prodi investì 7 miliardi nella riduzione del cuneo fiscale. Si parla di un tabù, ma parliamo di riformare una norma modificata due anni fa. La legge Fornero prevedeva un monitoraggio degli effetti che ad ora non è stato compiuto e che sarebbe una premessa indispensabile anche perché l'art.18 non esiste più ma esiste una tutela residuale esclusiva a casi di gravissima illegittimità".

All'affondo di D'Alema si è unito anche Pippo Civati, considerato il capo della minoranza del partito che si oppone alla riforma del mercato del lavoro: " "Non ho la stessa leggerezza di Massimo D'Alema. Sono preoccupato. Ieri sera in tv, io ho visto un premier che diceva cose di destra, simili a quello che diceva la destra 10 anni fa". "Rimangono le preoccupazioni" sul Jobs act ha detto quindi Civati . "Voglio un contratto unico che sia
unico, non aggirabile", sottolinea. E domanda: "Quali le risorse? Avrei voluto vedere un file Excel come quello che Renzi chiedeva a Letta all'inizio di questa storia". Infine la richiesta di capire "se qualche emendamento delle terribili minoranze vedrà il favore del gruppo Pd, perché anche su questo si vede il passo della mediazione". Infine ha concluso: "Per me non c'è nessun problema se il contratto unico a tutele crescente di Tito Boeri di qualche anno, quando tutti erano contrari, a quel punto sono pronto a sottoscriverlo. Ma io voglio un contratto unico che sia davvero unico, e non aggirabile in mille modi, altrimenti non ci siamo capiti". 

Non meno duro nei toni anche l'ex segretario Pierluigi Bersani: "Noi sull'orlo del baratro non ci andiamo per l'articolo 18. Ci andiamo per il metodo Boffo, perché se uno dice la sua, deve poterla dire senza che gli venga tolta la dignità. Vedo neofiti della ditta - ha proseguito - dei neoconvertiti, che mi spiegano come si sta in un partito, ma non funziona così, perché voglio discutere di una svolta di questa natura prima che ci sia un prendere o lasciare, prima che mi si incarichi di far traballare il governo". Bersani ha poi sottolineato la mancanza "di sostanza riformatrice" nella proposta di riforma del lavoro. "E non mi si venga a dire che in passato non abbiamo mai fatto niente. Abbiamo fatto riforme hard, molto hard. A nessuno trema il polso a cambiare le cose, non è questo il punto. Al contrario, si perde un'occasione". "Certo ci vuole una riforma del
mercato del lavoro - ha concluso -  che nel secondo paese industriale deve voler dire qualità e produttività e sappiamo che non abbiamo qualità perché c'è troppa precariètà. Va bene unificare i contratti ma attenzione a dire che l'art.18 è simbolico, non vale niente. Per 8 milioni di persone conta qualcosa nel rapporto di forza e per chi si dice di sinistra è una questione di principio: dice che non è tutto monetizzabile".

Critico rispetto all'intervento del premier anche Stefano Fassina che ha parlato di una cultura politica espressa da Renzi che non ha nulla di nuovo: "Diciamoci le cose come stanno: si fa quest'operazione per indebolire ancora di più i lavoratori e le lavoratrici e abbassare le retribuzioni. E' questo l'obiettivo. E' scritto nei documenti della Commissione. Dobbiamo ridurre le retribuzioni in termini reali". 
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