ITALIA
Un verbale di 86 pagine
Stato-mafia, Napolitano: "Attentati furono un ricatto per destabilizzare"
È stata depositata la trascrizione della testimonianza resa dal Capo dello Stato nel processo sulla presunta trattativa tra Stato-mafia. Sulle stragi del 93 "si susseguirono secondo una logica per mettere i pubblici poteri di fronte ad un aut aut". Sulla lettera di D'Ambrosio: "Un fulmine a ciel sereno"
Roma
Per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano le stragi del 93 "si susseguirono secondo una logica unica e incalzante per mettere i pubblici poteri di fronte a degli aut aut, perché potessero avere per sbocco una richiesta di alleggerimento delle misure di custodia in carcere dei mafiosi". Il Pm Di Matteo domanda: "Quindi lei ha detto che si ipotizzò subito che la matrice unitaria e la riconducibilità ad una sorta di aut-aut, di ricatto della mafia, ho capito bene?». La risposta del Capo dello Stato: "Ricatto o addirittura pressione a scopo destabilizzante di tutto il sistema". Aggiunge: "Probabilmente presumendo che ci fossero reazioni di sbandamento delle Autorità dello Stato".
È stata depositata la trascrizione della testimonianza - 86 pagine - del Capo dello Stato sul processo Stato-mafia. Il Presidente della Repubblica ha risposto per tre ore alle domande dei pubblici ministeri e dell'avvocato di Totò Riina senza mai avvelersi delle sue prerogative di riservatezza. "Vorrei pregare la Corte e voi tutti di comprendere che da un lato io sono tenuto e fermamente convinto che si debbano rispettare le prerogative del Capo dello Stato cosi' come sono sancite dalla Costituzione Repubblicana. Dall'altra mi sforzo, faccio il massimo sforzo per dare nello stesso tempo il massimo di trasparenza al mio operato e il massimo contributo anche all'amministrazione della Giustizia". Così il Capo dello Stato spiega la ratio che lo ha convinto a testimoniare.
"D'Ambrosio animato da spirito di verità"
Le prime domande sono sulla lettera inviata nel luglio 2012 dall’allora consigliere giuridico D’Ambrosio al Capo dello Stato. Per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Loris D'Ambrosio era "animato da spirito di verità" e la lettera fu un "fulmine a ciel sereno". Non aveva preannunciato nè dimissioni nè la lettera "mi aveva solo trasmesso un senso di grande ansietà e anche un pò di insofferenza per quello che era accaduto con la pubblicazione delle intercettazioni di telefonate tra lui stesso e il Senatore Mancino, insofferenza che poi espresse piu' largamente nella lettera".
Spiega che tra lui e D'Ambrosio c'era un "rapporto di affetto e di stima sì, un rapporto di carattere personale in senso più ampio o più specifico no. Francamente io ho seguito una mia regola, che è quella di avere un rapporto schietto ma sempre inteso in termini di rapporto di lavoro da tenere su un binario di lealtà e anche severità. Insomma, non avevo né con il dottor D'Ambrosio, né con altri conversazioni a ruota libera o ricostruzioni delle nostre esperienze passate": Aggiunge: "Eravamo, questo ogni tanto è difficile farlo intendere, una squadra di lavoro. In Italia c'è una Repubblica, peraltro non Presidenziale, non c'è una monarchia, non c'è una Corte, c'è attorno al Presidente della Repubblica come istituzione monocratica una squadra di lavoro e solo di lavoro quotidiano, corrente, discorrevamo tra di noi".
Via D'Amelio accellerò il decreto 41 bis
"Sono convinto che la tragedia di via D'Amelio rappresentò un colpo di acceleratore decisivo per la conversione del decreto legge 8 giugno '92 sul carcere duro". Il Capo dello Stato al pubblico ministero Di Matteo che gli chiedeva se ci fosse stato un dibattito politico sulla conversione del dl che introduceva il 41bis per i mafiosi, il Presidente della Repubblica risponde: "non credo che nessuno, allora, pensò che in una situazione così drammatica si potesse lasciare decadere il decreto alla scadenza dei 60 giorni, per poi rinnovarlo". Continua: "Ci fu la convinzione che si dovesse assolutamente dare questo segno all'avversario, al nemico mafioso".
Ciampi temette colpo di Stato
"Quando il presidente del Consiglio (Ciampi - ndr) dice 'abbiamo rischiato un colpo di Stato' se non c'è allora fibrillazione vuol dire che il corpo non risponde a nessuno stimolo".Il Capo dello Stato risponde così alle domande del pm sulle fibrillazioni istituzionali seguite alle stragi del '93. Napolitano ha ricordato il blackout a Palazzo Chigi, ad agosto, definendolo "un classico ingrediente di colpo di Stato". Sulle stragi del '93 sottolinea però che "non ci fu assolutamente sottovalutazione, noi siamo arrivati con la sua domanda ad un periodo che vede Carlo Azeglio Ciampi Presidente della Repubblica e Ciampi è tornato molte volte, in più pubblicazioni, anche in libri recenti, su quello che di inquietante presentò quel momento e non soltanto per gli attentati che furono compiuti a Firenze, a Milano, a Roma in modo quasi concomitante, un pò prima maggio, se ben ricordo i Georgofili, e luglio gli altri".
Le minacce a Napolitano
Il Capo dello Stato parla anche di un allarme attentato ai suoi danni, una notizia riferitagli nel '93 dal capo della Polizia. "Non mi scomposi minimamente, anche perché ho sempre considerato che servire il Paese significa anche mettere a rischio ipotesi di sacrificio della propria vita e guai a farsi condizionare da reazioni di timore o di allarme personali". Il capo della Polizia, Vincenzo Parisi, ha aggiunto "mi disse che il carattere di consistenza della fonte confidenziale dei Servizi era tale che non mi chiedeva di annullare il viaggio a Parigi". In quell'occasione, in vacanza nella capitale francese, fu però accompagnato dagli agenti speciali del Nocs. "Al ritorno da Parigi - ha concluso - non fui sottoposto a nessuna ulteriore e speciale misura di protezione".
È stata depositata la trascrizione della testimonianza - 86 pagine - del Capo dello Stato sul processo Stato-mafia. Il Presidente della Repubblica ha risposto per tre ore alle domande dei pubblici ministeri e dell'avvocato di Totò Riina senza mai avvelersi delle sue prerogative di riservatezza. "Vorrei pregare la Corte e voi tutti di comprendere che da un lato io sono tenuto e fermamente convinto che si debbano rispettare le prerogative del Capo dello Stato cosi' come sono sancite dalla Costituzione Repubblicana. Dall'altra mi sforzo, faccio il massimo sforzo per dare nello stesso tempo il massimo di trasparenza al mio operato e il massimo contributo anche all'amministrazione della Giustizia". Così il Capo dello Stato spiega la ratio che lo ha convinto a testimoniare.
"D'Ambrosio animato da spirito di verità"
Le prime domande sono sulla lettera inviata nel luglio 2012 dall’allora consigliere giuridico D’Ambrosio al Capo dello Stato. Per il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Loris D'Ambrosio era "animato da spirito di verità" e la lettera fu un "fulmine a ciel sereno". Non aveva preannunciato nè dimissioni nè la lettera "mi aveva solo trasmesso un senso di grande ansietà e anche un pò di insofferenza per quello che era accaduto con la pubblicazione delle intercettazioni di telefonate tra lui stesso e il Senatore Mancino, insofferenza che poi espresse piu' largamente nella lettera".
Spiega che tra lui e D'Ambrosio c'era un "rapporto di affetto e di stima sì, un rapporto di carattere personale in senso più ampio o più specifico no. Francamente io ho seguito una mia regola, che è quella di avere un rapporto schietto ma sempre inteso in termini di rapporto di lavoro da tenere su un binario di lealtà e anche severità. Insomma, non avevo né con il dottor D'Ambrosio, né con altri conversazioni a ruota libera o ricostruzioni delle nostre esperienze passate": Aggiunge: "Eravamo, questo ogni tanto è difficile farlo intendere, una squadra di lavoro. In Italia c'è una Repubblica, peraltro non Presidenziale, non c'è una monarchia, non c'è una Corte, c'è attorno al Presidente della Repubblica come istituzione monocratica una squadra di lavoro e solo di lavoro quotidiano, corrente, discorrevamo tra di noi".
Via D'Amelio accellerò il decreto 41 bis
"Sono convinto che la tragedia di via D'Amelio rappresentò un colpo di acceleratore decisivo per la conversione del decreto legge 8 giugno '92 sul carcere duro". Il Capo dello Stato al pubblico ministero Di Matteo che gli chiedeva se ci fosse stato un dibattito politico sulla conversione del dl che introduceva il 41bis per i mafiosi, il Presidente della Repubblica risponde: "non credo che nessuno, allora, pensò che in una situazione così drammatica si potesse lasciare decadere il decreto alla scadenza dei 60 giorni, per poi rinnovarlo". Continua: "Ci fu la convinzione che si dovesse assolutamente dare questo segno all'avversario, al nemico mafioso".
Ciampi temette colpo di Stato
"Quando il presidente del Consiglio (Ciampi - ndr) dice 'abbiamo rischiato un colpo di Stato' se non c'è allora fibrillazione vuol dire che il corpo non risponde a nessuno stimolo".Il Capo dello Stato risponde così alle domande del pm sulle fibrillazioni istituzionali seguite alle stragi del '93. Napolitano ha ricordato il blackout a Palazzo Chigi, ad agosto, definendolo "un classico ingrediente di colpo di Stato". Sulle stragi del '93 sottolinea però che "non ci fu assolutamente sottovalutazione, noi siamo arrivati con la sua domanda ad un periodo che vede Carlo Azeglio Ciampi Presidente della Repubblica e Ciampi è tornato molte volte, in più pubblicazioni, anche in libri recenti, su quello che di inquietante presentò quel momento e non soltanto per gli attentati che furono compiuti a Firenze, a Milano, a Roma in modo quasi concomitante, un pò prima maggio, se ben ricordo i Georgofili, e luglio gli altri".
Le minacce a Napolitano
Il Capo dello Stato parla anche di un allarme attentato ai suoi danni, una notizia riferitagli nel '93 dal capo della Polizia. "Non mi scomposi minimamente, anche perché ho sempre considerato che servire il Paese significa anche mettere a rischio ipotesi di sacrificio della propria vita e guai a farsi condizionare da reazioni di timore o di allarme personali". Il capo della Polizia, Vincenzo Parisi, ha aggiunto "mi disse che il carattere di consistenza della fonte confidenziale dei Servizi era tale che non mi chiedeva di annullare il viaggio a Parigi". In quell'occasione, in vacanza nella capitale francese, fu però accompagnato dagli agenti speciali del Nocs. "Al ritorno da Parigi - ha concluso - non fui sottoposto a nessuna ulteriore e speciale misura di protezione".