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Coronavirus

Fase 2

Coronavirus. Confcommercio: Riaperte 82% imprese ma 30% è a rischio chiusura

Tra le misure di sostegno ottenute, il 44% delle imprese ha beneficiato di indennizzi, come il bonus di 600 euro, ma è ancora estremamente bassa la quota di chi ha ottenuto prestiti garantiti o fruito della cassa integrazione; e oltre la metà delle imprese stima una perdita di ricavi che va dal 50 fino ad oltre il 70%

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Delle quasi 800 mila imprese del commercio e dei servizi di mercato che sono potute ripartire, a due settimane esatte dalla Fase2, l'82% ha riaperto l'attività, ma circa il 30% rischia la chiusura. E' quanto emerge dall'indagine di Confcommercio, in collaborazione con Swg, svolta sulle prime due settimane di riapertura per le imprese dei settori ristorazione e bar, abbigliamento, altre attività del commercio al dettaglio e dei servizi.

Tra le misure di sostegno ottenute, il 44% delle imprese ha beneficiato di indennizzi, come il bonus di 600 euro, ma è ancora estremamente bassa la quota di chi ha ottenuto prestiti garantiti o fruito della cassa integrazione; e oltre la metà delle imprese stima una perdita di ricavi che va dal 50 fino ad oltre il 70%; e, per quasi il 30% delle imprese che hanno riaperto, rimane elevato il rischio di chiudere definitivamente a causa delle difficili condizioni di mercato,  dell'eccesso di tasse e burocrazia, della carenza di liquidità. 

Ha riaperto il 94% delle imprese nell'abbigliamento e calzature, l'86% in altre attività del commercio e dei servizi e solo il 73% dei bar e ristoranti, a conferma delle gravi difficoltà delle imprese impegnate nei consumi fuori casa. I dati dell'indagine, riferiti ad un universo di 759mila imprese (prevalentemente micro-imprese fino a 9 addetti), indicano come sia senz'altro favorevole la circostanza che le aperture crescano dalla prima alla seconda settimana, ma costituisce un segnale negativo, invece, che il 18% delle imprese che potevano riaprire non l'abbia ancora fatto; questa percentuale sale al 27% nell'area bar e ristoranti, un dato che testimonia una conclamata patologia da cui non siamo affatto usciti.

I motivi della mancata riapertura riguardano soprattutto l'adeguamento dei locali ai protocolli di sicurezza sanitaria. In generale, tra le imprese che hanno riaperto, la gestione dei protocolli di igienizzazione-sanificazione e la riorganizzazione degli spazi di lavoro sono state condotte con successo e senza particolari difficoltà, sebbene nella seconda settimana emerga qualche problema aggiuntivo rispetto alla settimana precedente, a conferma dell'impressione che la voglia di riaprire implichi, in qualche caso, una comprensibile sottovalutazione di alcune
difficoltà.

Le dolenti note emergono dall'autovalutazione degli intervistati sul giro d'affari: già nella prima settimana la media dei giudizi si collocava largamente al di sotto della sufficienza. Nella settimana successiva questi timori si confermano: il 68% degli imprenditori dichiara che i ricavi delle prime due settimane sono inferiori alle aspettative, quando già le
aspettative stesse erano piuttosto basse. La stima delle perdite di ricavo rispetto ai periodi normali per oltre il 60% del campione è superiore al 50%, con un'accentuazione dei giudizi negativi nell'area dei bar e della ristorazione, segmento dove si concentrano maggiormente perdite anche fino al 70%.

L'accesso ai provvedimenti di sostegno riflette le problematiche delle micro-imprese durante il lockdown. Gli indennizzi (come il bonus dei 600 euro) sono ovviamente i più diffusi e ne avrebbe fruito già il 44% delle imprese del totale campione. La cassa integrazione appare, invece, sottoutilizzata in ragione della distribuzione delle imprese per numero di addetti schiacciata verso le ditte individuali. Infatti, solo due quinti delle micro-imprese presenta addetti e, quindi, solo questa frazione avrebbe avuto necessità della Cig in deroga. Letto in questi termini il dato del sondaggio appare verosimile (49% accede alla misura e l'ha ottenuta oppure deve ancora ottenerla). Specularmente, il ricorso a ulteriori prestiti è prevedibilmente piuttosto rarefatto.

Le imprese di minori dimensioni, avendo perso per oltre 2 mesi quasi il 100% del fatturato non hanno convenienza a contrarre ulteriori prestiti i quali andrebbero ripagati con un reddito futuro la cui formazione appare oggi molto incerta. È logico aspettarsi che un eventuale maggiore sostegno attraverso gli indennizzi possa spingere anche a un maggiore ricorso ai prestiti con garanzia pubblica, perché risulterebbe meglio compensata la perdita fino ad oggi subita. Purtroppo, le valutazioni conclusive sono fortemente negative. Fin qui, nell'esplorazione delle due indagini, svolte a distanza di una settimana, emerge una significativa oscillazione dei giudizi tra la voglia di tornare a fare business e percezioni piuttosto cupe sull'andamento dei ricavi, il tutto condito da un esplicito orientamento delle imprese volto a smussare l'impatto delle difficoltà e dei problemi.
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