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Coronavirus

Vaccini, distribuzione mai equa: quello anti-Covid non farà eccezione

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Dal vaccino contro la poliomielite a quello contro l'influenza suina. La storia insegna che la  distribuzione dei vaccini non è mai stata equa e quello contro il  coronavirus non farà eccezione. Lo scrive il Washington Post,  affermando che nella corsa al vaccino anti Covi-19 alcune persone  possono sperare in una dose molto prima di altre, a seconda del luogo  in cui vivono e in base a quello che il giornale definisce  ''nazionalismo del vaccino''. Viene quindi ricordato il caso del  vaccino contro la poliomielite, sviluppato nel 1955 dal virologo  americano Jonas Salk e promesso dal presidente Dwight D. Eisenhower  come ''regalo degli Stati Uniti al mondo'', spiega David M. Oshinsky,  professore alla NYU Grossman School of Medicine e autore di  'Poliomielite: una storia americana'. Ma la visione ottimista di  Eisenhower non si è mai del tutto concretizzata e la poliomielite  resta ancora oggi endemica in alcuni Paesi.      
 
 Ora, diversi esperti di salute pubblica avvertono che i vaccini siano  meglio distribuiti in base alle necessità, non alla nazionalità. "E'  nel nostro interesse, per la nostra sicurezza sanitaria, cercare di  aiutare altri Paesi a sbarazzarsi del loro focolaio di Covid-19", ha  detto Walter A. Orenstein, direttore associato dell'Emory University  Vaccine Center. Ma il mondo sembra andare in una direzione diversa. Di lunedì l'annuncio del gigante farmaceutico Pfizer di aver sviluppato  un vaccino efficace al 90 per cento contro il coronavirus insieme alla tedesca BioNTech. Paesi ricchi, come Stati Uniti e Gran Bretagna,  hanno investito milioni di dollari in varie sperimentazioni sui  vaccini. La Cina e la Russia hanno già iniziato a somministrare i  propri vaccini, sui quali gli esperti restano in dubbio circa  l'efficacia e la sicurezza. (segue)      
 
Sotto l'Amministrazione Trump, gli Stati Uniti avevano  riferito che la condivisione del vaccino non era per loro una  priorità. E avevano rifiutato di aderire a Covax, l'alleanza globale  per il vaccino guidata dall'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) di cui fanno oltre oltre 150 Paesi, Cina compresa. Ma in molti stanno  svolgendo loro piani anti Covid in parallelo e al momento i Paesi  ricchi non hanno elaborato un piano per distribuire le dosi in  eccesso.        Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Giappone e il Canada hanno  stipulato accordi abbastanza grandi da vaccinare l'intera popolazione. Al contrario, uno sforzo globale congiunto per distribuire i vaccini  in modo equo a più di 150 paesi - comprese dozzine di nazioni a basso  reddito - ha assicurato solo 700 milioni di dosi, prosegue il  Washington Post. "Da un punto di vista storico, quello a cui si sta  assistendo non ha nulla di anomalo", ha detto David P. Fidler, esperto di sicurezza informatica e salute globale presso il Council on Foreign Relations. "Non riesco a pensare a un solo momento in cui c'è stato un meccanismo che ha permesso la distribuzione a livello globale di  vaccini o di farmaci in modo equo e accessibile", ha aggiunto.
 
Nel 2009, quando nel mondo si diffuse l'influenza suina, le Nazioni Unite chiesero ai paesi ricchi a rendere disponibili un  numero maggiore di dosi di vaccino per i paesi più bisognosi. Paesi  tra cui Stati Uniti, Brasile e Francia si impegnarono a contribuire  con il 10 per cento delle loro scorte nazionali, ma per le Nazioni  Unite non era sufficiente. "La sfida è costruire solidarietà tra le  nazioni ricche e quelle povere per garantire che venga reso  disponibile il vaccino in modo adeguato", ha detto David Nabarro,  all'epoca coordinatore delle Nazioni Unite per la lotta alle nuove  influenze. Gli Stati Uniti fecero marcia indietro, citando carenze  inaspettate e affermando che la priorità era quella di vaccinare gli  americani.       
 
Un altro esempio viene fornito dall'influenza aviaria del 2003.  L'Indonesia, che nel 2006 era il Paese pià colpito al mondo, iniziò a  condividere il vaccino con laboratori dell'Oms. Ma nel 2007 Giakarta  proclamò una ''sovranità virale'', annunciando di non condividere più  il vaccino dopo averne scoperto la condivisione senza consenso con un  laboratorio australiano non affiliato all'Oms. I focolai di dell'H1N1  e dell'H5N1 si sono comunque esauriti prima che diventasse  fondamentale la distribuzione equa di un vaccino. "La salute pubblica  tende ad essere vittima del proprio successo", ha detto Fidler. ''La  crisi dell'H1N1 ha segnalato la necessità di costruire un meccanismo  permanente e questo è ciò che è Covax: uno sforzo ad hoc", ha  concluso.
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