Coronavirus
Vaccini, distribuzione mai equa: quello anti-Covid non farà eccezione
Ora, diversi esperti di salute pubblica avvertono che i vaccini siano meglio distribuiti in base alle necessità, non alla nazionalità. "E' nel nostro interesse, per la nostra sicurezza sanitaria, cercare di aiutare altri Paesi a sbarazzarsi del loro focolaio di Covid-19", ha detto Walter A. Orenstein, direttore associato dell'Emory University Vaccine Center. Ma il mondo sembra andare in una direzione diversa. Di lunedì l'annuncio del gigante farmaceutico Pfizer di aver sviluppato un vaccino efficace al 90 per cento contro il coronavirus insieme alla tedesca BioNTech. Paesi ricchi, come Stati Uniti e Gran Bretagna, hanno investito milioni di dollari in varie sperimentazioni sui vaccini. La Cina e la Russia hanno già iniziato a somministrare i propri vaccini, sui quali gli esperti restano in dubbio circa l'efficacia e la sicurezza. (segue)
Sotto l'Amministrazione Trump, gli Stati Uniti avevano riferito che la condivisione del vaccino non era per loro una priorità. E avevano rifiutato di aderire a Covax, l'alleanza globale per il vaccino guidata dall'Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) di cui fanno oltre oltre 150 Paesi, Cina compresa. Ma in molti stanno svolgendo loro piani anti Covid in parallelo e al momento i Paesi ricchi non hanno elaborato un piano per distribuire le dosi in eccesso. Gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, il Giappone e il Canada hanno stipulato accordi abbastanza grandi da vaccinare l'intera popolazione. Al contrario, uno sforzo globale congiunto per distribuire i vaccini in modo equo a più di 150 paesi - comprese dozzine di nazioni a basso reddito - ha assicurato solo 700 milioni di dosi, prosegue il Washington Post. "Da un punto di vista storico, quello a cui si sta assistendo non ha nulla di anomalo", ha detto David P. Fidler, esperto di sicurezza informatica e salute globale presso il Council on Foreign Relations. "Non riesco a pensare a un solo momento in cui c'è stato un meccanismo che ha permesso la distribuzione a livello globale di vaccini o di farmaci in modo equo e accessibile", ha aggiunto.
Nel 2009, quando nel mondo si diffuse l'influenza suina, le Nazioni Unite chiesero ai paesi ricchi a rendere disponibili un numero maggiore di dosi di vaccino per i paesi più bisognosi. Paesi tra cui Stati Uniti, Brasile e Francia si impegnarono a contribuire con il 10 per cento delle loro scorte nazionali, ma per le Nazioni Unite non era sufficiente. "La sfida è costruire solidarietà tra le nazioni ricche e quelle povere per garantire che venga reso disponibile il vaccino in modo adeguato", ha detto David Nabarro, all'epoca coordinatore delle Nazioni Unite per la lotta alle nuove influenze. Gli Stati Uniti fecero marcia indietro, citando carenze inaspettate e affermando che la priorità era quella di vaccinare gli americani.
Un altro esempio viene fornito dall'influenza aviaria del 2003. L'Indonesia, che nel 2006 era il Paese pià colpito al mondo, iniziò a condividere il vaccino con laboratori dell'Oms. Ma nel 2007 Giakarta proclamò una ''sovranità virale'', annunciando di non condividere più il vaccino dopo averne scoperto la condivisione senza consenso con un laboratorio australiano non affiliato all'Oms. I focolai di dell'H1N1 e dell'H5N1 si sono comunque esauriti prima che diventasse fondamentale la distribuzione equa di un vaccino. "La salute pubblica tende ad essere vittima del proprio successo", ha detto Fidler. ''La crisi dell'H1N1 ha segnalato la necessità di costruire un meccanismo permanente e questo è ciò che è Covax: uno sforzo ad hoc", ha concluso.