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ITALIA

Cosa Nostra

Parla il pentito Giuffrè: "Falcone isolato e poi ucciso. E Riina contava su Lima e Andreotti"

"Contro di lui una campagna di delegittimazione occulta". A dirlo è l'ex boss al processo sull'attentato di Capaci

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Per evitare gli ergastoli, durante il maxiprocesso, la mafia, e l'ex boss Totò Riina, contavano su un "ammorbidimento presso gli ambienti politici"; Riina contava su "canali della Democrazia cristiana". A ribadirlo è stato il pentito di mafia Antonino Giuffrè, davanti alla corte d'Assise di Caltanissetta, impegnata nel processo sulla strage di Capaci del 23 maggio 1992, che portò alla morte di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta. Giuffrè ha spiegato che in Sicilia "noi avevamo Salvo Lima, che era in stretto rapporto con Roma e quando dico Roma intendo Andreotti". Nel processo sono imputati i boss Salvino Madonia, Cosimo Lo Nigro, Giorgio Pizzo, Vittorio Tutino e Lorenzo Tinnirello. Il procedimento riguarda, in particolare, il reperimento dell'esplosivo usato per l'attentato. 

Giovanni Falcone fu "isolato e poi ucciso" grazie anche a una "campagna di delegittimazione occulta a tutti i livelli", dice poi Giuffrè. "La delegittimazione avvenne anche, non dico in tutta la magistratura, perché direi una sciocchezza, ma in parte di questa, a Palermo". Giuffrè ha ricordato un "rapporto di tensione fra l'allora procuratore della Repubblica e Falcone stesso".

"A volte per invidia, rancore, gelosia - ha spiegato il pentito - piano piano è stato isolato e poi ucciso". L'operazione di delegittimazione di Giovanni Falcone ebbe come protagonisti non solo mafiosi ma fu "a tutti i livelli", ha spiegato Giuffrè. "Falcone e Borsellino erano pericolosi perché avevano capito tutto di come agiva la mafia", ha detto il pentito rispondendo alle domande del procuratore aggiunto di Caltanissetta, Lia Sava, "per esempio che c'erano degli imprenditori che pagavano una percentuale sugli appalti che andava alla mafia".
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