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MONDO

#rendilivisibili

Al via "You save lives": Ue-Oxfam insieme per dare voce ai 51 milioni di profughi nel mondo

Parte la campagna "You save lives" di Unione europea e Oxfam per sensibilizzare l'opinione pubblica attraverso il rapporto "I Paesi degli invisibili" sulle tre crisi umanitarie più gravi del momento: Siria, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana. Se contiamo tutti insieme gli oltre 51,2 milioni di profughi nel mondo, il risultato è una nazione sterminata, la 26a per popolazione

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di Carlotta Macerollo

Fosse una nazione, quella dei profughi sarebbe il 26esimo stato più popoloso al mondo, composto da 51,2 milioni di individui. Poco meno di tutti i cittadini italiani messi insieme. Il loro problema, però, è che una terra da poter chiamare casa non ce l'hanno. O meglio, non più. Secondo l'ultimo rapporto Oxfam "I Paesi degli invisibili", 51 milioni di persone scappano dai conflitti. Ogni 4 secondi una persona è costretta a fuggire dalla propria casa (oltre 20mila al giorno), andando a ingrossare le tristi fila dei profughi: "Sono più di quanti ne abbia generati la Seconda guerra mondiale e tra questi, 33,3 milioni sono sfollati all'interno del loro stesso paese, 16,7 milioni sono rifugiati all'estero, 1,2 milioni aspettano di ricevere asilo".

La campagna "You save lives"
Oxfam lancia insieme all'Unione europea una campagna denominata "You save lives", accompagnata dall'hashtag #rendilivisibili, per fare il punto sulle gravi crisi umanitarie che si stanno consumando in Siria, Sud Sudan e Repubblica Centrafricana. 



Siria, 4 anni di guerra
Quattro anni fa la Siria è scivolata in un conflitto sanguinoso, che è costato la vita a più di 200mila persone. Quello che una volta era un Paese a medio reddito oggi è un territorio coperto di rovine, dove più di metà della popolazione necessita di assistenza umanitaria, con 7,6 milioni di sfollati interni e più di 3,8 milioni che hanno trovato rifugio nei paesi limitrofi, causando una delle peggiori crisi umanitarie del 21esimo secolo.
I paesi confinanti con la Siria cercano di far fronte al flusso dei rifugiati.  Resi instabili dal peso della crisi, Giordania e Libano hanno aumentato le restrizioni alle frontiere. Il Libano ha la più alta concentrazione pro capite di profughi nel mondo con 1.1 milioni di persone, che rappresentano il 25% della popolazione. 
Con la guerra che non dà segni di tregua, i iriani che sono riusciti a fuggire nei Paesi confinanti debbono affrontare condizioni sempre più difficili. L'aiuto umanitario internazionale ha rivestito un ruolo vitale nel soddisfarne i bisogni primari come acqua e igiene, cibo e riparo. Tuttavia, le possibilità di sostentamento rimangono limitate; i siriani, che hanno ormai consumato tutti i propri risparmi, non hanno più risorse. Dal momento che la maggioranza dei rifugiati vive in insediamenti informali
rifugi provvisori, per cui devono anche pagare un affitto, la loro situazione è disastrosa e hanno bisogno di un sostegno continuo. 

Il reportage dal campo profughi di Zaatari, in Giordania
Qualche volta, un'immagine racconta più di mille parole: l'account Twitter dell'agenzia dell'Onu per i rifugiati (Unhcr) mette a confronto due foto satellitari del campo profughi di Zaatari, in Giordania, una scattata nel 2012 e l'altra nel 2014.




Zaatari è il secondo campo profughi più grande al mondo dopo Dadaab in Kenya. Ci vivono circa 85mila rifugiati siriani: la metà di loro è minorenne e uno su quattro ha meno di quattro anni. Cercano di sopravvivere alla guerra, alla perdita della casa e degli affetti, tentano di ricominciare. I profughi, che da quasi 4 anni sono stati costretti a lasciare tutto, sognano pace e libertà nella loro Damasco. 

Le storie dei rifugiati in Giordania raccontate dalla nostra inviata Emma Farnè.



Sud Sudan
Lo Stato più giovane del mondo, resosi indipendente dal Sudan nel 2011, da oltre un anno deve affrontare una durissima guerra civile: da una parte i governativi del presidente Salva Kiir, dall'altra i ribelli del suo ex vice Riek Machar. Sono i rappresentanti dei due più importanti gruppi etnici, i Dinka e i Nuer, e fin dall'inizio il conflitto è stato segnato dall'odio etnico. Da allora, quasi 2 milioni di persone hanno dovuto abbandonare le proprie case a causa delle violenze e del conflitto tra coloro che erano rimasti fedeli al presidente, Salva Kiir, e gli alleati dell'ex vicepresidente, Riek Machar. Più della metà dei profughi sono bambini. Questa cifra comprende 1,5 milioni di persone sfollate all'interno del proprio paese e più di 500mila rifugiati nei paesi vicini, soprattutto in Sudan, Uganda, Etiopia e Kenya. Il campo profughi a Mingkaman ha accolto quasi 100mila persone. Quattro milioni di individui hanno bisogno di aiuto. Le agenzie umanitarie prevedono che la situazione peggiorerà nel 2015 e si stima che un milione di persone in più rischierà di morire di fame quest'anno.

La piaga dei bambini soldato
Il Sud Sudan, con altri 21 Paesi al mondo, deve combattere il problema dei bambini soldato. Piccoli innocenti usati come scudi umani o spie per il trasporto dei rifornimenti, o per combattere. Una piaga che sta minando psicologicamente intere future generazioni. In questo dramma sono coinvolte anche molte bambine, spesso rese schiave sessuali. Sabato 21 febbraio nel Paese uomini armati hanno rapito altri 89 ragazzini, lo ha reso noto l'Unicef. Il rapimento è avvenuto nel campo profughi di Malaki, nella regione settentrionale dell'Alto Nilo. Secondo la Bbc, i soldati hanno circondato il campo profughi, cercando tenda per tenda, e prelevato con la forza i ragazzi di età superiore ai 12 anni. Nelle scorse settimane circa 300 bambini soldato erano stati rilasciati.



In queste immagini, rubate da un telefonino dietro ad uno steccato, si vedono soldati che marciano e cantano, alcuni militari sono vestiti in mimetica, altri con maglietta e pantaloni: tutti però hanno un'arma sulla spalla. C'è chi fischia con fischietti artigianali, chi cammina. Siamo in Sud Sudan, vicino ad un ospedale di una nota organizzazione internazionale di cui non facciamo il nome per motivi di sicurezza, e queste persone stanno combattendo una guerra civile che non accenna a finire. Dietro i soldati, decine di bambini corrono, li seguono: alcuni sono armati. E' questo l'esempio che hanno: un Paese disperato che non riesce a dare loro un futuro di pace.  

Repubblica Centrafricana
La Repubblica Centrafricana è un paese estremamente instabile, in cui conflitti, interventi e colpi di stato si sono verificati regolarmente negli ultimi cinquant'anni. La violenza è scoppiata nel dicembre 2012 quando la coalizione di ribelli Seleka ha messo in atto un colpo di stato nella capitale, Bangui. Come conseguenza, il presidente di allora, François Bozizé, è fuggito nella Repubblica Democratica del Congo e Michel Djotodia è stato proclamato nuovo presidente. In risposta agli attacchi delle milizie Seleka, sono state create le milizie Anti Balaka e da allora la violenza è parte essenziale della vita quotidiana della popolazione. Oggi nel paese 2,7 milioni di persone – su un totale di 4,6 milioni – hanno bisogno di assistenza umanitaria. Si sono rifugiate in comunità più sicure, che hanno visto gli abitanti triplicare in un periodo molto breve, portando a una carenza di cibo, che era già scarso prima dell'arrivo degli sfollati. Le violenze hanno impedito agli agricoltori di coltivare i campi e oggi i raccolti sono insufficienti. I prezzi alimentari sono aumentati e molte famiglie riescono a fare solo un pasto al giorno. 

Oltre ai 438mila sfollati interni, più di 424mila persone sono fuggite durante lo scorso anno per cercare rifugio nei paesi vicini come il Chad, dove più di 90mila rifugiati e 120mila rimpatriati sono arrivati in ondate successive a partire dalla fine del 2013. Il conflitto continua a rappresentare una minaccia alle vite dei civili e coloro che vivono nei campi profughi hanno un bisogno disperato di acqua potabile e servizi igienici.

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