MONDO
Diario dall'Iraq #1
L'unica via di salvezza per gli Yazidi è verso il Kurdistan
Nel campo di Zaho, i profughi sono almeno 110mila, in gran parte yazidi. Dal confine che scorre lungo il fiume, dopo giorni di marcia arrivano anziani con il volto ustionato dal sole, bambini stremati e uomini senza più un lavoro.
Non tutti trovano posto sotto le tende dell’Unicef. Un palazzo in costruzione alle porte di Duhok ospita una decina di famiglie provenienti dal Sinjar. Sufyan, ex poliziotto, si sforza di essere ordinato, con la camicia pulita: spiega che non sa da dove ricominciare, ora che ha dovuto abbandonare il suo paese. Ci accoglie tra le scale e i piani di cemento che vengono trasformati lentamente in un rifugio, con i materassi per terra, le cisterne d’acqua, e i fornellini a gas. Al piano terra, due ragazzi costruiscono una latrina con lastre di legno, quattro pali, e i chiodi da carpentiere recuperati nel cantiere.
Per rispondere all’emergenza, l’Unicef ha trasferito una base operativa a Duhok. Oltre alle tende, al cibo e ai kit di reidratazione, si lavora per fornire – attraverso il governo curdo – delle piccole somme di denaro con cui le famiglie possano provvedere da sole ai primi bisogni elementari.
Il campo viene ampliato di giorno in giorno: le ruspe smuovono il terreno per fare posto a nuovi piazzali e altre tende. Poco lontano, su un campo alle pendici delle colline, una tenda da nomadi e un bambino che improvvisamente crolla al suolo, sfinito e disidratato. Lo soccorrono subito alcuni uomini: un sorso d’acqua, la possibilità di rinfrescarlo per quel che possono.
Davanti a tutto questo e alla possibilità che il califfato islamico non abbandoni presto le terre che ha conquistato, molti, moltissimi yazidi temono che per loro ormai vivere in Iraq sarà impossibile. Non resta che emigrare.