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MONDO

"Subito dopo l'omicidio dell'ex premier. Ma la democrazia doveva prevalere"

Israele, agente Shin Bet: potevo uccidere il killer di Rabin

L'ex premier israeliano Rabin
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Ygal Amir, l'assassino di Yitzhak Rabin, poteva fare la fine di Lee Oswald: un agente
dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno) era pronto ad ucciderlo a sangue freddo due giorni dopo l'attentato mortale al premier israeliano che avvenne a Tel Aviv il 4 novembre del 1995. Lo ha rivelato al quotidiano Maariv lo stesso ex agente
dello Shin Bet, Dvir Kariv, che ha pubblicato un libro di memorie dal titolo 'Yitzhak'.

Kariv ha anche confermato nell'intervista che Amir aveva già cercato almeno altre due volte di uccidere Rabin: la prima nel gennaio del 1995 al museo Yad va-Shem a Gerusalemme e la seconda il 22 aprile dello stesso anno probabilmente a Ramat HaSharon, un sobborgo di Tel Aviv. Secondo il suo racconto, Kariv la notte stessa dell'attentato fu il primo agente dello Shin Bet ad incontrare faccia a faccia Amir per l'interrogatorio in una stanza dell'edificio del Servizio.

"Lui - ha ricordato Kariv - risplendeva di gioia, quasi come un sole". In quella stessa stanza Kariv invece era in preda alla disperazione e sconvolto dall'assassinio: in borsa, contro i regolamenti, aveva la pistola di ordinanza. La tentazione di farne uso fu forte, ma prima - si disse - doveva "far parlare l'assassino, fargli raccontare se c'erano mandanti o congiurati". La sua eliminazione - si convinse - poteva aspettare un paio di giorni.

L'occasione arrivò il giorno del funerale di Stato di Rabin, trasmesso in diretta tv in tutto il paese. Amir - che si trovava in una piccola stanza circondato dagli agenti, tra cui lo stesso Kariv - al momento culminante della cerimonia si mise sull'attenti. "Ora lo uccido", si disse l'uomo dello Shin Bet mettendo nel conto anni di carcere pur di fargli pagare quel gesto. Ma si fermò ancora una volta: la democrazia israeliana - ammise con se stesso - doveva prevalere. Perché Amir - ha detto al giornale - aveva cercato di eliminare non solo Rabin, ma anche il sistema democratico dello Stato ebraico.

E così Kariv rimise a posto la pistola, la portò a casa, la smontò e per lungo tempo non la toccò più. "Non mi pento - ha ammesso con Maariv - ma la lotta all'estremismo si conduce con l'educazione nelle scuole. E anche la pubblicazione del mio libro ha questo intento". Perché Kariv è convinto che "l'assassinio di Rabin poteva essere impedito" e che "anche oggi è possibile uccidere il primo ministro di Israele, visto che il terrorismo ebraico rappresenta una minaccia".
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