Original qstring:  | /dl/rainews/articoli/Kurdistan-nel-campo-profughi-di-Arbat-tra-i-siriani-in-fuga-dallo-Isis-a0acb8f1-8e96-4961-a91b-9d8a8ab8aafa.html | rainews/live/ | true
MONDO

A pochi chilometri da Sulaymaniya

Kurdistan, nel campo profughi di Arbat tra i siriani in fuga dall'Isis

Il campo di Arbat è stato aperto nell’agosto 2013. A breve sarà in grado di ospitare circa 10mila persone e c’è gia una lunga lista d’attesa. Gli ultimi arrivati in ordine di tempo sono stati i siriani di Kobane. “ Sono partiti poco dopo l’inizio dell’assedio dell’Isis" racconta il responsabile del campo Marco Rotunno

Condividi
di Silvia BalducciSulaymaniya Il campo di Arbat, a pochi chilometri dalla città di Sulaymaniya nel Kurdistan orientale, ospita circa 5.500 persone, una distesa di tende e costruzioni in mattoni. Tutti profughi siriani, per la maggior parte curdi. Le regole della cooperazione  impongono che i siriani vivano in campi separati dagli iracheni, il cui numero sta esponenzialmente aumentando ora che i combattimenti si sono avvicinati ai confini di Kirkuk. Uomini, donne, bambini in fuga dagli orrori perpetrati dai jihadisti del sedicente califfato islamico: oltre un milione e 900 mila gli sfollati iracheni. I siriani, secondo dati Unhcr aggiornati a febbraio, sono invece oltre 235 mila.

Gli ultimi arrivati al campo di Arbat in ordine di tempo sono stati i siriani di Kobane. “ Sono partiti poco dopo l’inizio dell’assedio dell’Isis e sono arrivati a metà ottobre passando attraverso la Turchia” racconta il responsabile del campo Marco Rotunno, dell’organizzazione International Rescue Committee.

I curdi siriani fuggiti da Kobane - circa 800, 900 persone - dal confine con la Turchia sono stati portati fino ad Arbat sugli autobus predisposti dall’Organizzazione mondiale dei migranti. A gennaio quando le milizie curde hanno liberato la città, hanno marciato nel campo per  festeggiare la riconquista.

Degli oltre 5 mila siriani di Arbat molti sono giovani e anche qualificati. Alcuni stavano facendo l’università, altri praticavano già la professione. “Abbiamo un ingegnere curdo che per fuggire ha lasciato un lavoro che gli fruttava 3 mila euro al mese” racconta Rotunno. Per questo molti fra loro cercano un lavoro nelle vicinanze del campo e c’è anche chi l’ha trovato. C’è poi chi invece un lavoro se l’è creato dentro al campo, dove le attività sono già 65 sparpagliate in varie zone. A breve ne verranno aperte altre 50 ma concentrate in un’unica area.

Il campo non sembra quasi più un luogo di transizione. “Basti pensare che molte famiglie hanno costruito una casa nella loro postazione. Delle 1250 tende infatti ne sono rimaste solo 500” racconta il responsabile del campo. Una situazione molto diversa dai campi per iracheni, sempre più sovraffollati, dove spesso pur di accogliere gli sfollati in fuga ci si arrangia alla meno peggio.



Arbat camp è suddiviso in cinque zone, ognuna con tre rappresentanti, di cui una donna, regolarmente eletti. “Abbiamo pensato che fosse fondamentale coinvolgerli nell’organizzazione, per questo abbiamo organizzato le elezioni, le prime in un campo iracheno” spiega Rotunno al telefono. Elezioni per cui è stato necessario ottenere il via libera delle istituzioni locali. “Queste persone ora sono il tramite per le comunicazioni e rappresentano un punto di riferimento importante”.



Il campo di Arbat è stato aperto nell’agosto 2013. A breve sarà in grado di ospitare circa 10mila persone e c’è gia una lunga lista d’attesa. “Ogni mese, circa 200 persone si aggiungono alla waiting list – racconta il responsabile del campo – si tratta di siriani in attesa di avere una tenda. Spesso queste persone vivono già nel Kurdistan iracheno da mesi ma hanno finito tutti i soldi e quindi hanno bisogno di assistenza”.

Se poi si chiede se si avverta ad Arbat e a Sulaymaniya, dove Rotunno vive, la paura. La risposta è un secco “No”. I curdi si sentono sicuri nel loro territorio, al massimo, “l’unica preoccupazione è per i peshmerga partiti per la guerra”. I temutissimi combattenti curdi che ora puntano a riprendersi Mosul.
Condividi