MONDO
L'intervista
Papa Francesco e il Patriarca Kirill. Peloso: "Nuova tappa della 'geopolitica della misericordia'”
Domani, nella mattinata, Papa Francesco lascerà Roma per recarsi in Messico. Un viaggio importante. Durerà una settimana. Farà tappa all’Avana dove, all’aeroporto “Josè Martì”, incontrerà , nel pomeriggio, il Patriarca Russo Ortodosso Kirill. L’incontro durerà due ore. Alla fine ci sarà la firma di una dichiarazione congiunta dei due leader religiosi. Un incontro storico, che segnerà una svolta nei rapporti tra la Chiesa Cattolica e l’Ortodossia. Una svolta che viene da lontano. Come si è arrivati a questo incontro? Quali sono le possibili conseguenze a livello religioso e politico? Ne parliamo, in questa intervista, con Francesco Peloso, giornalista vaticanista del sito d’informazione religiosa, del quotidiano “La Stampa”, “Vatican insider”. Peloso è anche collaboratore dell’Unità e del settimanale “Internazionale”.
Il dialogo fra la Chiesa di Roma e il mondo ortodosso va avanti dagli anni del Concilio Vaticano II, ma di certo - considerato che le le chiese d'oriente fra di loro non sono tutte uguali – la svolta nel dialogo con il patriarcato di Mosca inizia dopo la caduta del Muro di Berlino e il ripristino della libertà religiosa in Russia. Si tratta per altro delle due maggiori confessioni cristiane del mondo fra le quali, nei secoli passati e fino a tempi recenti, non sono mancante le incomprensioni, le diffidenze, le rivalità. Da quando però il processo ecumenico ha preso piede, il possibile incontro fra Roma e Mosca rappresentava di certo il coronamento agognato di questo percorso.
La scelta del luogo non è causale.....Perché proprio all'Avana?
Per motivi politici prima ancora che religiosi, o comunque per un mix di queste due componenti. Bisogna considerare infatti che Cuba continua ad aver buone relazioni con Mosca, ben oltre la stagione della guerra fredda. Certo sono mutate molte cose, e tuttavia si tratti di due nazioni, entrambe protagoniste di primo piano della storia contemporanea che, per varie ragioni, si collocano in modo antagonista o quanto meno interlocutorio rispetto agli Stati Uniti, e questo indubbiamente le lega, non sono insomma alleati degli Usa, anzi ne hanno contestato in questi decenni il primato di unica superpotenza. D'altro canto Cuba è entrata – anche grazie alla formidabile mediazione del papa e del Vaticano - in una nuova e originale fase nei rapporti con Washington, è iniziato il disgelo, sono caduti i muri, riprese le relazioni diplomatiche, ed è solo l'inizio. E qui bisogna sottolineare che anche il presidente Obama è uno degli attori da considerare in quanto sta avvenendo; la rinuncia dell'attuale capo della Casa Bianca ad essere 'gendarme del mondo', ha insomma avuto un peso in questa vicenda, e il dialogo fra lui e il papa è nato proprio a partire da questa scelta. Il regime castrista, d'altro canto, sotto la guida di Raul Castro, si sta aprendo un po' alla volta al mondo, anche alla presenza della religione. La Chiesa cattolica ha fatto da apripista, quella ortodossa sta seguendo la stessa strada. Cuba è quindi un po' certamente 'casa' del papa, quale leader morale, religioso e in parte politico riconosciuto da tutta l'America Latina, e sicuramente è un partner importante per Mosca, sia a livello politico che religioso.
Quali saranno, nelle due ore di colloquio, i principali "dossier" che affronteranno?
Quelli di cui si è già detto in questi giorni: in primo luogo il senso del cammino ecumenico, il valore dell'incontro fra il papa e il patriarca per la pace; qui mi aspetto qualcosa di più che una dichiarazione solo formale. Poi certamente la vicenda ucraina con i contrasti fra ortodossi e greco-cattolici, il Medio Oriente, il problema dei cristiani perseguitati, il no al fondamentalismo religioso, a chi usa il nome di Dio per uccidere o promuovere guerre sante, la libertà e la convivenza religiosa, il tema dell'ambiente, il contributo del cristianesimo alle relazioni pacifiche fra gli Stati, i governi, i popoli...vedremo.
L'incontro con il Patriarca Kirill avrà delle conseguenze sui rapporti con gli Uniati (i cristiani di rito greco fedeli a Roma), che, come si sa, sono una comunità molto presente in Ucraina (altro luogo di conflitto). Con questo incontro crollerà un altro muro (quello tra "uniati" e Patriarcato di Mosca), con possibili conseguenze politiche?
Non credo che crollerà un muro, il conflitto ucraino ha infatti già prodotto un fiume di vittime del quale forse ci siamo accorti solo in parte. Senza contare i profughi, gli sfollati interni, le lacerazioni sociali, gli opposti e intransigenti nazionalismi alimentati da Mosca e da Kiev, il problema dell'applicazione di accordi internazionali, da parte di Putin in particolare. I greco-cattolici e i fedeli al patriarcato di Mosca sono dentro questo schema terribile, in parte ne sono protagonisti. Certo, l'abbraccio fra Francesco e Kirill può dire qualcosa: soprattutto in termini di una convivenza possibile, facendo compiere un primo passo importante in direzione di un superamento di una contrapposizione storica fra la Chiesa ucraina fedele a Roma e quella russa. D'altro canto il nodo Ucraina è sempre stato il vero ostacolo al l'incontro fra il papa e il patriarca; vediamo fino a che punto ci sarà coraggio di venirsi incontro.
Insomma con questa mossa Francesco si conferma un "player" di livello planetario. Forse l'unico che ha un carisma che gli consente massima libertà dli movimento... La "geopolitica della misericordia" ha messo a segno diversi successi. Possiamo fissare i punti fermi della "geopolitica" di Francesco?
Mi pare un'impostazione corretta della questione, tuttavia i punti fermi sono troppi da elencare. Parlerei però, piuttosto, di una diplomazia in movimento, una diplomazia dinamica, che ha nel multilateralismo e poi ancor di più nel multipolarismo, la sua bussola. Qui non si tratta di capire chi sono i 'nuovi' alleati della Santa Sede, come qualcuno seguendo vecchi schemi prova a fare, ma di comprendere il metodo: è questo “camminare insieme nella differenza” che conta. Cioè la necessità di accettare l'interlocutore, di comprenderne la sua visione, per lavorare insieme tutte le volte che questo è possibile, sapendo che restano -allo stesso tempo – delle distanze. Solo così, nel metodo Francesco, si può puntare a obiettivi di fondo come la fine dei conflitti, l'allargamento del principio di cittadinanza a chi ne è escluso (gli 'scartati' spesso richiamati dal papa), la rinuncia a interessi di potere in nome di un aiuto ai deboli, o di politiche in favore del genere umano e delle generazioni future, come nel caso della salvaguardia ecologica, del Creato. Per fare questo non si può stilare la classifica dei cattivi, dire: tu non ti puoi sedere la tavolo del negoziato, con te non ci parlo. Il riconoscimento dell'altro implica un approccio nuovo, multipolare appunto, e di pari dignità. Il che non significa rinunciare alle proprie ragioni, alle critiche, al contrario vuol dire dare una chance in più a principi che, altrimenti, sarebbero rifiutati a priori; si pensi alla libertà religiosa in Cina o nei Paesi islamici, per non dire degli squilibri sociali ed economici fra nord e sud del Pianeta.
Il prossimo muro che cadrà sarà la Cina?
Il dialogo con la Cina prosegue in modo positivo, la diplomazia vaticana è al lavoro, ma i tempi di queste cose sono sempre incerti, mille ostacoli possono frapporsi.
Ultima domanda: Dopo l’ Avana il Papa andrà in Messico. Un paese dilaniato dalle bande criminali dei Narcos e dalla corruzione. Quali sono gli obiettivi di questa visita?
Il discorso sul Messico sarebbe lungo. Di certo il papa vuole portare una parola di speranza ai più deboli, agli offesi, ai migranti, ai poveri, che sono le vere vittime della violenza tremenda e disumana dei cartelli della droga, della corruzione degli apparati statali, della 'tratta' di esseri umani da una parte all'altra del confine con gli Stati Uniti. E poi di certo nei pensieri del pontefice ci sono le popolazioni indigene. Il Messico, con papa Francesco, credo che possa riscoprire un cristianesimo ispirato, profetico, capace di parlare di pace, di fratellanza, di giustizia e di perdono, parole non retoriche, ma che toccano la carne viva di un popolo.