Original qstring:  | /dl/rainews/articoli/La-frenata-della-Turchia-gli-investitori-chiedono-stabilita-per-la-crescita-b57dec73-48bc-40db-bc56-8c41d97deec9.html | rainews/live/ | true
ECONOMIA

Scenari economici

Turchia. Erdogan colpito, affonda la lira: vi spieghiamo perchè

La crescita della Turchia è strettamente legata alla capacità del paese di continuare ad attrarre gli investimenti dall'estero. Il quadro politico che esce dalle elezioni si presenta instabile e rischia di compromettere il futuro del paese 

Condividi
Crollano la lira e la Borsa turca dopo l'esito del voto nel paese che ha visto il partito islamico Akp di Recep Tayyip Erdogan perdere la maggioranza assoluta in parlamento. Nelle prime fasi di scambio di lunedì 8 giugno, sui mercati la lira scende del 5% al record di 2,8020 sul dollaro, mentre l'indice principale della borsa di Istanbul ha aperto con un tonfo dell'8,2%.

Oltre le elezioni, le cause della debolezza dell'economia turca
In realtà, le ragioni della frenata dell'economia turca sono più remote. Una forte debolezza è attribuibile alla stretta dipendenza dai flussi di capitali dall'estero.  E' proprio grazie ai capitali internazionali che, dal 2002 al 2009, il Pil è cresciuto a ritmi cinesi. Un dato su tutti, il +9% segnato nel 2010. La prerogativa fondamentale richiesta dagli investitori è quella della stabilità politica. Proprio la stabilità è stata la cifra dei primi anni al potere di Erdogan. L'erosione del consenso attono alla sua leadrship e alcune scelte in politica estera e interna hanno allontanato già dal 2008 alcuni investitori. Ora, la frammentazione emersa dal voto del 7 giugno potrebbe rendere difficile al governo prendere quelle misure che, secondo gli analisti, sono necessarie a stabilizzare un quadro macroeconomico sempre più fragile. "Serve una politica forte contro l'inflazione elevata e per rilanciare la Lira Turca", chiedono gli investitori. 

Che cosa ha attratto gli investitori esteri?
Il presidente Erdogan, da quando ha preso il potere da primo ministro nel 2002, ha varato importanti riforme economiche di stampo europeo. Anzitutto, ha notevolmente ridotto il debito pubblico, prima di varare un importante piano di opere infrastrutturali. 
L’infrastrutturazione stradale, ferroviaria, portuale ed energetica messa in campo dal governo ha via via attratto in Turchia le più importanti realtà globali nel campo della tecnica e delle costruzioni. Il paese ha fatto passi da gigante per colmare il gap infrastrutturale che storicamente scontava e ha portato a livelli da paese sviluppato il know how delle imprese e del ceto tecnico e manageriale turco. Strumenti che conferiscono alla Turchia alta competitività, per lo sviluppo di progetti sensibili nella delicata ed importantissima zona caucasica e medio-orientale.

Secondo le stime, nel 2011 la Turchia si collocava al tredicesimo posto al mondo come destinazione preferita per gli investimenti diretti esteri, con 123 miliardi di dollari arrivati da ogni parte del mondo. Un forte interscambio si registra con i Paesi del Golfo. Come vedremo, però, le scelte di politica estera, la gestione del dissenso interno e il dilagare della corruzione hanno frenato l'afflusso di capitali esteri. 

La richiesta di stabilità
Gli analisti hanno apprezzato la stabilità che il potere di Erdogan ha assicurato al Paese. La numerosa e giovane popolazione, il potere d’acquisto in crescita e la forza lavoro qualificata sono stati in questi anni dei grandi attrattori di capitali. A ciò si aggiunge l’invidiabile posizione geografica che rende il Paese un perfetto hub per il commercio sia con l’Europa che con il Medio Oriente. La Turchia, infatti, è in una posizione rilevante nell'area del Mar Nero, l'area del Mediterraneo orientale, e quella del Medio Oriente e dell’Asia centrale.

La "fuga" degli investitori comincia nel 2008
Secondo diversi analisti, il flusso di capitali esteri ha subito un rallentamento già nel 2008. Non a caso, è l'anno della grande crisi che, in Turchia coincide con l'emergere di una serie di problemi interni, che sfoceranno in tempi recenti nella repressione delle rivolte giovanili di Piazza Taksim, nella crescita esponenziale della corruzione e di riciclaggio di denaro - alcune indagini hanno coinvolto anche il presidente Erdogan e tre ministri -, fattori che rendono meno appetibile Ankara come meta di investimenti. A complicare il quadro, la sensazione che le inchieste siano state in molti casi arbitrarie e parte della competizione politica. I casi di corruzione, vera o presunta, sono legati a fortissimi interessi immobiliari. Anche il presidente Erdogan è stato sfiorato da accuse di riciclaggio e corruzione. 

I casi di corruzione
Un momento chiave del deflusso di investimenti si è verificato alla fine del 2013. Il 17 dicembre la polizia ha arrestato i ministri dell'economia, dell'Interno e dell'Ambiente, nonché l' amministratore delegato di Turkiye Halk Bankasi AS (HALKB), con le accuse di riciclaggio di denaro sporco, contrabbando di oro e corruzione nelle gare d'appalto del governo. 

Aleksei Belkin, responsabile degli investimenti presso Kapital Asset Management a Mosca, commentava così la situazione: "Il mercato turco rispecchia i peggiori timori degli investitori: l'incertezza politica e il deficit".

Pablo Cisilino, gestore di fondi presso Stone Harbor Investment Partners, spiegava che "la maggiore volatilità e gli eventi" spiacevoli che si sono verificati in Turchia non fanno del paese "un ambiente adatto" agli investimenti, visto che "gli investitori cercano la stabilità e vogliono essere messi nelle condizioni di prevedere cosa sta per succedere"; e entrambi i fattori sono al momento latitanti nel paese.

Erdogan e la primavera araba
La politica estera e la gestione interna da parte di Erdogan hanno sempre più contribuito a destabilizzare il quadro politico economico turco. Nel 2011 Erdogan si schiera dalla parte delle primavere arabe. Nel frattempo rompe con Israele, intrattiene rapporti con Hamas e i Fratelli Musulmani, entra nell'asse sunnita con Qatar, Egitto e Arabia Saudita e si propone "grande leader" del Medio Oriente. La primavera 2013 la sua leadership subisce una battuta d'arresto.  La sua politica siriana si rivela un boomerang. L'ex amico Bashar al Assad resta al potere. I gruppi jihadisti aiutati da Ankara dilagano e finiscono per occupare anche il nord dell'Iraq. Si incrinano i rapporti con Iran, Iraq, Russia e Egitto. Sul fronte interno, esplode la rivolta di Gezi Park. Milioni di giovani contestano la svolta autoritaria e l'islamizzazione del Paese imposte dal premier, rivendicano più democrazia e libertà. Erdogan ordina una feroce repressione: muoiono otto ragazzi, migliaia i feriti. Erdogan subisce la condanna morale del mondo occidentale. Il 17 dicembre esplode la tangentopoli turca. Decine di nomi eccellenti del regime sono coinvolti, con lo stesso Erdogan. Nell'agosto 2014, poi, Erdogan diventa presidente della Repubblica.

Le elezioni del sette giugno
Il partito giustizia e sviluppo Akp del presidente Erdogan vince le elezioni politiche in Turchia di domenica 7 giugno, ma perde la maggioranza assoluta che aveva da 13 anni. Il leader del partito e primo ministro Ahmed Davutoglu, salutando i sostenitori davanti alla sede del partito ad Ankara, ha rifiutato qualsiasi ipotesi di ridimensionamento del potere dell’Akp che conferma, ha aggiunto, il programma di riforme costituzionali. “La decisione del nostro popolo – ha detto – è la decisione finale e suprema. Rispettare tale decisione è un obbligo per tutti i partici politici. Quanto richiesto dal nostro popolo dovrà essere realizzato in ogni caso”. Lo scenario è quello di un governo di coalizione.

Sulla stabilità del Paese e sulle prospettive di crescita alla vigilia del voto, l'economista Arda Tunca descriveva così lo scenario: “Dopo le elezioni sarà importante il messaggio e la fiducia che i mercati daranno al nuovo governo turco. Il minimo intoppo, o peggio una coalizione litigante, riporterebbe il paese indietro di almeno 15 anni. E questo non solo non possiamo permettercelo ma dobbiamo evitarlo ad ogni costo. Servono lucidità politica e decisioni chiare e rapide per far fronte alla pressione che verrà certamente dai mercati e dagli speculatori”.
Condividi