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MONDO

Le sfide della Chiesa cattolica dopo il voto negli Stati Uniti

“Tra gli ispanici cattolici il voto è diviso, l’aborto rimane tema importante, ma non centrale”

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di Roberto Montoya

Nel nostro viaggio virtuale cercando l’altra America siamo arrivati a Sommerville, nella parrocchia di San Benedetto. Abbiamo incontrato il Rev. Alejandro López Cardinale, nato in Venezuela, ma cittadino Americano. Attualmente fa parte dell’Arcidiocesi di Boston ed è consulente permanente della Conferenza Episcopale Latinoamericana (CELAM). La pandemia negli Stati Uniti, sta travolgendo un intero sistema economico, trovandosi a fare i conti con 30 milioni di nuovi poveri. Immigrazione, razzismo e disoccupazione sono alcuni dei temi che dovrà affrontare il nuovo Presidente degli Stati uniti. Nel frattempo Papa Francesco ha nominato recentemente il primo Cardinale afroamericano, Wilton Gregory. Accolto con beneplacito, è diventato il rappresentante delle minoranze nel collegio cardinalizio. Mentre circa 32 milioni di cattolici ispanici si apprestano a votare in questo prossimo appuntamento elettorale, le previsioni dicono che il voto è delicato e gli esiti elettorali potrebbero cambiare la sorte del paese che li ha accolti. Ma i due candidati sembrano comunque non rispondere al 100% ai principi della dottrina sociale della chiesa: dignità della persona umana e bene comune. Il cattolico Baiden è “pro-aborto”, mentre l’attuale presidente Trump è “pro-vita”, anche se molti bambini, colpevoli di essere figli di immigrati clandestini, sono e rimangono in carcere. Chiunque vinca deve sapere, a Dio piacendo, che il prossimo governo non sarà una passeggiata.



Gli Stati Uniti sono uno dei paesi con il maggior numero di contagiati da Coronavirus nel mondo. In che modo la popolazione americana sta affrontando l’attuale crisi?   
La pandemia negli Stati Uniti è stata un’opportunità per smascherare la povertà nascosta in questo paese. Questo ha generato ciò che in psicologia si definisce come negazione della realtà, che è stata poi politicizzata dall’attuale amministrazione che ancora non vuole riconoscere la povertà di circa 30 milioni di abitanti. Questo è il dato sociologico legato a questa pandemia. Negli Stati Uniti il coronavirus ha colpito soprattutto i più poveri, appartenenti alla comunità afroamericana e ispanica. Queste comunità vivono generalmente nelle grandi città, in aree sovrappopolate, e questo rende molto difficile il controllo della malattia. Famiglie di quattro persone vivono in spazi ristretti condividendo un unico bagno e questo impedisce un efficace controllo del virus.

Ci sono altre comunità…          
Un’altra comunità fortemente colpita è quella dei nativi americani che vivono nelle riserve del Colorado, dello Utah e dell’Alaska. Sorprendentemente, ci sono anche americani bianchi che vivono in situazioni di povertà; i malati sono soprattutto quelli già affetti da patologie pre-esistenti come il diabete, l’ipertensione o l’obesità, ma anche gli anziani, in particolare quelli che vivono nelle residenze per anziani. La pandemia ha rivelato una povertà che colpisce circa 12 milioni di persone che non hanno accesso all’istruzione, alla sanità e ai beni fondamentali. Papa Francesco ha sempre affermato che nel capitalismo selvaggio e nel comunismo le persone emarginate sono quelle che soffrono maggiormente l’impatto di qualunque crisi.

Ma quali sono le iniziative per far fronte alla crisi?
Negli Stati Uniti si fa ricorso spesso ai municipi. I sindaci hanno organizzato programmi di aiuto alle famiglie procurando una connessione internet per far studiare i ragazzi, ma anche i pasti che avrebbero ricevuto a scuola e che vengono distribuiti in centri appositi. Ci sono anche programmi che prevedono analisi gratuite per il Covid, cure mediche, assistenza a coloro che non riescono a pagare l’affitto o l’assicurazione. Questo ha dato un grande aiuto alle persone che vivono in questi municipi ma anche a coloro che non hanno documenti. Nel mio municipio, a Sommerville, si dà aiuto a persone che non hanno documenti, a patto che queste risiedano realmente in quel municipio. Ci sono organizzazioni non governative e senza scopo di lucro che stanno lavorando molto bene qui a Chelsea, ma anche in altre aree. Secondo le ultime informazioni, la Caritas a Boston ha distribuito circa un milione di tonnellate di alimenti, ha garantito test anti Covid alle comunità più colpite, quella afroamericana, ispanica e di Capo Verde.



Qual è la situazione degli immigrati nella frontiera tra il Messico e gli Stati Uniti in questo momento di pandemia?    
Lo scorso anno, insieme ad un’organizzazione che si occupa della popolazione più in difficoltà, mi sono recato alla frontiera con Suor Norma Pimentel e Michelle Nuñez, una ragazza di soli 25 anni, con un Master in Business. In quell’occasione, la frontiera con il Messico era già chiusa, le persone non potevano più andare verso gli Stati Uniti come accadeva invece in passato; prima attraversavano la frontiera e venivano catturate; poi iniziavano un percorso in alcune strutture di accoglienza gestite anche dalle diocesi di frontiera di San Angelo, El Paso, Las Cruces, San Bernardino e San Diego. L’attuale amministrazione repubblicana invece ha deciso che queste persone devono aspettare nel territorio messicano. Attualmente la situazione in questi luoghi è al collasso a causa della presenza di questi migranti, che vivono in condizioni difficilissime in campi di rifugiati per un periodo che va dai due ai sei mesi, in attesa di comparire di fronte al giudice.

Nonostante il problema della pandemia come si sta procedendo?       
La situazione con la pandemia è peggiorata perchè gli operatori non possono più spostarsi tra una frontiera e l’altra proprio a causa delle misure di restrizioni. Il Governo messicano ha concordato con l’attuale amministrazione americana di impedire il passaggio di migranti dal Messico agli Stati Uniti. Ci sono stati casi di cittadini dell’Honduras o del Guatemala costretti a percorrere tutto il Messico per arrivare alla frontiera, e una volta arrivati le guardie distruggono i passaporti per impedire loro di andare negli Stati Uniti. Suor Norma Pimentel ha svolto un lavoro straordinario in questi centri di frontiera per accogliere gli immigranti e garantire loro anche assistenza legale. Dopo la decisione dell’attuale governo di non consentire l’ingresso negli Stati Uniti, purtroppo però ha visto decadere anche l’assistenza legale che lei stessa organizzava per i migranti, perchè costretti a rimanere in Messico sono sottoposti a leggi diverse.

Come è stata accolta la notizia di Papa Francesco sulla nomina del primo cardinale afroamericano Wilton Gregory negli Stati Uniti?   
La nomina a cardinale di Wilton Gregory non è stata una sorpresa. Ciò che ha sorpreso è la tempistica: si pensava fosse prevista per il prossimo anno. Questo testimonia l’interesse di Papa Francesco a far rappresentare anche le minoranze nel collegio cardinalizio. Il cardinal elettore Gregory è molto noto negli ambienti della Chiesa cattolica, non solo per il suo lavoro come presidente della conferenza episcopale in uno dei momenti più difficili legati allo scandalo sessuale, ma anche per il suo modo di fare e di lavorare per molti anni come vescovo di Belleville, poi come arcivescovo di Atlanta e ora a Washington DC. Credo che la gente si senta bene con lui e la sua nomina è stata percepita come un riconoscimento per aver contribuito a risanare la Chiesa americana. Il Cardinale afroamericano è riuscito ad attivare progetti di istruzione, leadership e formazione per futuri leader nel ministero laico degli afroamericani. Il suo lavoro ha coinvolto non solo i cattolici, ma anche gli afroamericani battisti, grazie ad un approccio ecumenico. Inoltre è nota la sua dedizione verso le parrocchie povere, ama visitarle e investire tempo nella gente che si sente presa in considerazione da lui.

Ma alcuni hanno attribuito alla nomina del cardinale Gregory anche un valore politico?
Soprattutto alla luce di tutti i movimenti nati per combattere le ingiustizie che sono state commesse contro gli afroamericani a partire dalla colonizzazione e dalla schiavitù fino alla realtà odierna di questo paese. Sono un cittadino americano e mi hanno aperto le porte 18 anni fa. Non posso lamentarmi del trattamento che ho ricevuto, ma sono bianco, europeo, venezuelano; la mia famiglia è di origine italiana e questo fa sì che io mi possa mimetizzare con il mainstream della società americana fondata sulla libertà. Al tempo stesso, però, essere bianco ti dà dei privilegi di cui non godono né gli ispanici, né gli afroamericani e né gli asiatici che hanno la pelle di un altro colore. Essere bianco ti conferisce uno status diverso e questa idea si è radicata in questo paese sin dalla sua nascita.

Quale sono le sfide della Chiesa cattolica americana dopo le Presidenziali?        
Qui negli Stati Uniti il tema delle elezioni presidenziali è molto complesso perché paradossalmente è un paese pieno di libertà, ma ci sono solo due scelte politiche, viziate dal punto di vista di un cattolico perché non rispondono al 100% ai principi della dottrina sociale della chiesa. I Repubblicani rispondono in alcuni punti, i Democratici in altri ma nessuno rappresenta una via coerente per un buon cattolico che vuole votare in tutta coscienza. Il tema della dottrina sociale della chiesa si regge su due pilastri: la dignità della persona umana e il bene comune. Ciò vuol dire difesa della vita, del lavoratore, della solidarietà, della sussidiarietà. Chiunque vinca, deve sapere che i temi in discussione sono questi. Dopo le elezioni presidenziali la Chiesa Cattolica ha bisogno di una conversione in linea con il documento della Christus vivit, pertanto è necessaria una conversione pastorale profonda, che parta dalle comunità parrocchiali al servizio della missione evangelizzatrice della Chiesa stessa. L’istituzione gerarchica della chiesa americana deve imparare ad essere sinodale: è importante camminare insieme e unirci all’unisono per dare voce a chi non ce l’ha.

Rev. Alejandro, c’è una polarizzazione del voto cattolico negli Stati Uniti. Il candidato cattolico democratico, Biden, è un cattolico “pro aborto”, mentre il candidato Repubblicano Trump è “pro-life”, ma tiene i figli degli immigrati in carcere. Secondo lei, per chi voteranno gli ispanici cattolici in queste elezioni?                      
In queste elezioni l’elettorato cattolico è più diviso. I cubani americani e i venezuelani che hanno diritto di voto, scelgono Trump. Coloro che beneficiano del DACA o del TPS, per la maggior parte non possono votare in quanto non sono cittadini, ma i loro figli, certamente voteranno per i democratici. Il tema dell’aborto, che nelle precedenti elezioni è stato centrale, e che rimane importante anche in questa, ha richiesto un lavoro minuzioso da parte di coloro che operano nel settore della giustizia sociale per la sensibilizzazione sul rispetto alla vita. Questo non significa soltanto l’opposizione all’aborto, ma anche la difesa del nascituro, dei più deboli, dei poveri tra i poveri, degli anziani, dei diseredati, etc.

In che modo si divide il voto Ispanico? 
Sicuramente il voto cattolico si dividerà tra cattolici dogmatici e cattolici pragmatici: i dogmatici, che seguono alla lettera il tema dell’aborto come unico contenuto per giudicare moralmente ciascun candidato e agire di conseguenza, e poi, i pragmatici, che hanno una visione più ampia sul valore e la difesa della vita. Ma ancor più importante, questa divisione rappresenta abbastanza esplicitamente le due grandi tendenze della chiesa cattolica statunitense, profondamente caratterizzata dal tema politico e influenzata, senza dubbio, dai principi delle chiese evangeliche. Il tema dell’aborto, apre a altri temi più profondi come, ad esempio, quale sia il concetto e l'esperienza della chiesa, della comunità dei cattolici nei due punti di vista diversi. In particolare, prego affinché ognuno voti con coscienza, considerando la globalità, il discernimento e la libertà.

I cattolici hanno compreso bene il pontificato di papa Francesco negli Stati Uniti?             
Qui devo fare un mea culpa perché non tutti i miei fratelli sacerdoti condividono le stesse idee di papa Francesco. Questo è un peccato perché non comprendono le proposte del vescovo di Roma nel contesto nord Americano e la ritengono di taglio comunista o socialista o legate alla teologia della liberazione, perché non conoscono le fondamenta, le origini, non conoscono tutto il movimento di teologia politica in America Latina, da Rio de Janeiro a Medellin, Puebla o Santo Domingo. Inoltre all’interno della comunità cristiana, la chiesa cattolica è la seconda, ma negli Stati Uniti i cattolici sono circa 85 milioni e questo rappresenta circa il 30% della popolazione, una percentuale che è aumentata grazie alla presenza degli ispanici. Di questi 80 milioni di cattolici circa il 50% sono ispanici, il restante 50% è costituito da bianchi americani e ha un’età media superiore ai 65 anni, rispetto al 50% di ispanici con un’età media di 30 anni. Secondo alcune stime, entro il 2050 la maggior parte della chiesa cattolica negli Stati Uniti sarà costituita da ispanici.



 
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