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MONDO

Il punto sul conflitto in Nordafrica

Otto fosse comuni scoperte in Tripolitania. La guerra di Libia tra orrori e mosse diplomatiche

Finora, sarebbero state riconosciute circa 130 vittime, tra cui anche anziani, donne e bambini. Il Gna afferma di essere in grado di documentare questo e tutti gli altri crimini di guerra degli uomini di Haftar: fosse comuni, prigionieri bruciati o sepolti vivi, o torturati e lasciati morire sotto il sole del deserto

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di Leonardo Sgura Otto fosse comuni, circa 200 corpi. La guerra di Libia aggiunge una nuova pagina di orrore alla storia di questo conflitto. La scoperta in Tripolitania, a Tarhuna, cittadina di poco più di 13mila anime in cui contractor russi ed emiratini avevano allestito la sala operativa dell’assedio alla capitale.

I soldati di Haftar l’avevano perduta a metà aprile, durante la controffensiva che ha permesso al Governo di Accordo Nazionale di riconquistare buona parte della Tripolitania. “Stiamo identificando i corpi per riconsegnarli alle famiglie – dice Fathi Bashaga, Ministro dell’Interno di Tripoli – e cerchiamo altre fosse comuni”.

Finora, sarebbero state riconosciute circa 130 vittime, tra cui anche anziani, donne e bambini. Il Gna afferma di essere in grado di documentare questo e tutti gli altri crimini di guerra degli uomini di Haftar: fosse comuni, prigionieri bruciati o sepolti vivi, o torturati e lasciati morire sotto il sole del deserto.

Orrori che la missione Onu in Libia condanna, chiedendo indagini rapide per individuare e perseguire i responsabili.

Oggi i media turchi annunciano che Ankara realizzerà due proprie basi militari in Libia: una per le operazioni aeree, nell’aeroporto di Al Watiya, strappato nei giorni scorsi all’Lna; l’altra nel porto di Misurata, strategico per i rifornimenti via mare. Notizia che contribuirà ad accrescere la tensione dei paesi confinanti, Egitto e Tunisia in particolare, che da tempo protestano contro la presenza delle truppe di Ankara nel paese.
Appena ieri Hamed Hazguy, Ministro della Difesa tunisino, aveva ribadito la neutralità del suo governo, smentendo la disponibilità di Tunisi ad ospitare una base militare americana.

Intanto, più di 500mila persone hanno dovuto abbandonare alcuni quartieri di Tripoli, pesantemente bombardati dai droni della Cirenaica. Secondo fonti governative, l’attacco di Haftar avrebbe interessato zone residenziali con quasi tre milioni di abitanti. Una task force di sminatori turchi sta bonificando le zone della capitale che gli uomini dell’Lna hanno infestato di trappole esplosive, prima di ritirarsi.

L’avanzata di Fayez Al Serraji, che puntava decisa a riprendere Sirte per riavviare l’industria petrolifera, sembra perdere slancio, mentre Haftar reagisce con una controffensiva violenta. Allo stesso tempo è ufficialmente ripresa, nei fatti, la trattativa tra le commissioni militari che, con la mediazione Onu, devono stabilire i termini di tregua e disarmo. Le delegazioni ancora non si incontrano, dialogano attraverso i diplomatici dell’Unsmil, che però si dicono ottimisti e parlano di “concreti passi avanti”.

Il lavoro di monitoraggio sull’embargo contro le armi, affidato da Bruxelles alla missione Irini, non sembra in grado di raggiungere i suoi obiettivi. Lo dimostra l’incidente accaduto due giorni fa: una fregata italiana ha intercettato al largo della Libia il cargo turco Cirkin, ufficialmente atteso in Tunisia ma diretto in realtà verso Misurata. I nostri militari hanno tentato di effettuare una ricognizione, ma sono stati costretti a desistere dopo un esplicito “avvertimento” lanciato dalle tre fregate della marina militare turca che scortavano il mercantile.

Il 4 giugno dal Cairo era partito un nuovo appello al cessate il fuoco, subito sostenuto con forza da Onu, Unione Europea, Stati Uniti, Russia, Italia, Francia, Germania, Grecia, e dai paesi del Golfo Persico. Immediato il sì di Khalifa Haftar, mentre Al Serraji e Turchia hanno respinto l’offerta, accusando l’Egitto di essere troppo vicino alla Cirenaica per offrirsi oggi come mediatore. Il presidente americano Trump ieri ha avuto colloqui telefonici con i principali alleati dei due contendenti: prima il presidente turco Erdogan, poi il presidente egiziano Al Sisi, sollecitando entrambi a sostenere un vero percorso di pace, impegnandosi per spingere le parti a un immediato cessate il fuoco, facendo in modo che tutte le forze militari straniere lascino al più presto la Libia.
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