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S&P taglia il rating dell'Eni: pesano il prezzo del petrolio e le tensioni geopolitiche

Il giudizio passa da A ad A-: tra i motivi che hanno deciso il declassamento i prezzi di petrolio e gas che resteranno bassi "per un paio d'anni" e le crisi geopolitiche nei Paesi "ad alto rischio" in cui opera il gruppo. L'outlook è promosso a stabile

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I prezzi di petrolio e gas che resteranno bassi "per un paio d'anni", le tensioni geopolitiche nei Paesi "ad alto rischio" in cui opera il gruppo, la debolezza dell'economia italiana che frena raffinazione e gas. Questi, in sintesi, i motivi che hanno spinto Standard & Poor's a tagliare il rating dell'Eni, che passa da A ad A-, mentre l'outlook, che fino a oggi era negativo, viene promosso a stabile.  

"Il prezzo basso di petrolio e gas persisterà nei prossimi due anni e produrrà profitti più contenuti e un cash flow a valle di investimenti e dividendi negativo, malgrado le azioni del management per frenare la cedola e ridurre costi e investimenti", si legge nella nota dell'agenzia di rating, che quindi appare particolarmente preoccupata per il flusso di cassa per così dire 'netto' e non per quello operativo che l'ad Claudio Descalzi ha più volte messo in evidenza come un dato 'record'.

A giudizio di S&P, pertanto, "è improbabile" che il cash che il gruppo petrolifero potrà destinare al pagamento del debito superi il 60% nel biennio 2015-2016, "anche considerando le dismissioni annunciate", che per il periodo 2015-2018 ammonteranno a 8 miliardi. Allo stesso tempo, l'agenzia ha deciso di promuovere l'outlook a stabile perché dal 2016 questo valore sarà tra il 50 e il 60%, per il rinnovato impegno sul fronte delle cessioni e per una percezione di "dividendi più sostenibili".    

La decisione di Standard & Poor's, insomma, non suona come una bocciatura della strategia del gruppo petrolifero, ma piuttosto come una presa d'atto di uno scenario economico ancora molto fragile. L'agenzia sottolinea infatti la forza della sezione esplorazione e produzione del Cane a sei zampe, che "genera il grosso dei profitti" e riconosce che le operazioni sono "ben diversificate", tuttavia esse fanno affidamento su Paesi "ad alto rischio e al di fuori dell'Ocse", come "Kazakhstan, Iraq, Venezuela e parecchi Paesi africani, come Libia e Nigeria". Inoltre le divisioni più piccole, come il marketing del gas, la raffinazione e la chimica "restano esposte alla debole economia italiana". In ogni caso, conclude l'agenzia, "il rischio di un downgrade è remoto, viste le dimensioni e la diversificazione delle operazioni Eni".
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