Cambridge Analytica
Scandalo dati, Zuckerberg rompe il silenzio: "Sono responsabile di quello che è successo"
"Se non riusciamo a proteggere i vostri dati non meritiamo di essere al vostro servizio" scrive il fondatore di Facebook sulla sua pagina personale. Intanto, si calmano i mercati mentre negli Usa scatta la prima class action contro il social media
"Sono responsabile di quello che successo": Mark Zuckerberg rompe il silenzio sullo scandalo dei dati personali raccolti su Facebook. "Abbiamo fatto degli errori, c'è ancora molto da fare", scrive sulla sua pagina personale del social media. "Abbiamo la responsabilità di proteggere i vostri dati, e se non riusciamo a farlo non meritiamo di essere al vostro servizio" scrive ancora, spiegando che sta lavorando "per capire esattamente cosa successo e assicurarsi che non accada mai più". "La buona notizia - aggiunge - è che molte misure per prevenire tutto questo sono state già prese anni fa".
.@LaurieSegallCNN: "Knowing what you know now, do you believe Facebook impacted the results of the 2016 election?"
— CNN (@CNN) 22 marzo 2018
Mark Zuckerberg: "Oh that's -- that is hard. You know, I think that it is -- it's really hard for me to have a full assessment of that." https://t.co/m3F79UMHd8 pic.twitter.com/y41ON2LatL
Intanto, la società è tornata a difendersi affermando di essere stata ingannata sulla raccolta delle informazioni personali degli utenti: una dichiarazione che per lo meno sembra essere riuscita a calmare i mercati dopo due giorni di passione a Wall Street, con un crollo del titolo senza precedenti: ben 50 i miliardi di dollari andati in fumo dall'inizio dello scandalo. Il danno più grave però sembra essere quello di immagine e la perdita di fiducia da parte di quel popolo di Facebook che si è sentito raggirato, con i propri dati utilizzati per fini politici, che si tratti del referendum sulla Brexit o dell'elezione di Donald Trump. Nel mirino una gestione della privacy troppo lassista da parte del gruppo dirigente, almeno fino al 2015. Ed è su questo punto che insistono i promotori della causa collettiva avanzata presso la corte distrettuale federale di San Josè, a due passi dalla Silicon Valley, alla quale ora chiedono i danni.
Negli Usa scatta la prima class action
L'azione legale potrebbe aprire la strada a molte altre cause collettive per la richiesta dei danni provocati dalla mancata protezione dei dati personali. Dati raccolti senza alcuna autorizzazione - spiegano i promotori dell'azione legale - e che sono stati utilizzati per avvantaggiare la campagna di Donald Trump.
Fondatore di Whatsapp: cancellatevi da Facebook
Intanto, a lanciare la sfida al colosso dei social media è uno dei fondatori di WhatsApp. Brian Acton, divenuto miliardario vendendo la sua app proprio a Zuckerberg, si è apertamente schierato con il movimento #deletefacebook, invitando i suoi follower su Twitter a cancellarsi dal social blu: "It's time", è tempo di farlo, ha scritto, raccogliendo in 11 ore 9 mila like con il suo post condiviso oltre 4 mila volte.
Raccolta dati partì con la supervisione di Steve Bannon
Il programma per la raccolta di dati su Facebook fu avviato dalla Cambridge Analytica sotto la supervisione di Steve Bannon, l'ex stratega di Donald Trump. Per Chris Wylie - la 'talpa' che ha provocato lo scandalo - tre anni prima del suo incarico alla Casa Bianca, Bannon cominciò a lavorare a un ambizioso programma: costruire profili dettagliati di milioni di elettori americani su cui testare l'efficacia di molti di quei messaggi populisti che furono poi alla base della campagna elettorale di Trump.
Kogan: io capro espiatorio, tutti sapevano tutto
"Mi usano come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Analytica", ma la verità è che tutti sapevano tutto e tutti "ritenevamo di agire in modo perfettamente appropriato" dal punto di vista legale. Alexander Kogan, accademico americano figlio d'espatriati sovietici e docente di psicologia a Cambridge, non ci sta a rimanere con il cerino in mano sullo scandalo del momento. E replica dai microfoni di Bbc Radio 4. E' lui, attraverso una sua app, l'uomo che ha raccolto ed elaborato i dati di 50 milioni di utenti di Facebook per poi passarli a Cambridge Analytica. Ma nega di aver ingannato chiunque. E mette inoltre in dubbio che quei dati possano aver avuto davvero un ruolo chiave nella vittoria di Trump. "La mia idea - dice Kogan alla Bbc - è che mi vogliono usare fondamentalmente come capro espiatorio, sia Facebook sia Cambridge Anayltica. Mentre noi onestamente pensavamo di agire in modo perfettamente appropriato, pensavamo tutti di fare una cosa davvero normale". Kogan aggiunge di essere stato rassicurato proprio dai vertici di Cambridge Analytica che la cessione dei dati e la sua consulenza con loro fosse "perfettamente legale e nei termini contrattuali". Del resto, aggiunge di considerare alla stregua di millanterie pubblicitarie le affermazioni fatte in seguito dal management della stessa Cambridge Analytica di aver avuto un ruolo cruciale per far vincere Trump. "E' un'esagerazione" sostiene, osservando che la maggior parte di quella montagna di dati sarebbe stata più adatta a danneggiare la campagna del tycoon che non a favorirla.
Tusk: fronteggiare minacce. Tema discusso a vertice
Il tema Facebook-Cambridge Analytica sarà discusso al vertice di questo fine settimana a Bruxelles. Lo dice il presidente del Consiglio Ue, Donald Tusk, durante una conferenza stampa al termine del vertice sociale tripartito. Secondo Tusk, l'Unione europea deve fronteggiare "le minacce che arrivano dall'erosione della fiducia nella nostra democrazia attraverso le fake news o la manipolazione delle elezioni. Ciò è particolarmente rilevante alla luce delle recenti rivelazioni su Cambridge Analytica. In questo contesto, affronteremo la necessità di garantire pratiche trasparenti, come la piena protezione della privacy dei cittadini e dei loro dati personali da parte dei social network e delle piattaforme digitali", ha aggiunto.
Soro: allarme altissimo, in gioco democrazia
"La dimensione degli utenti su Facebook è così grande da condizionare gli sviluppi dell'umanità. Quando questo potenziale è usato per mandare a un numero elevato di utenti una serie di informazioni selettivamente orientate per poi condizionare i singoli comportamenti, questo passaggio cambia la natura delle democrazie nel mondo e l'allarme deve essere altissimo". Lo ha detto oggi il Garante per la privacy, Antonello Soro.