Referendum in Scozia
Se vince il sì, l’industria e la finanza minacciano di fare le valigie
Le avvisaglie si sono già viste: il giorno del probabile pareggio fra i due schieramenti la sterlina ha perso l’1,3% sul dollaro (il calo è del 6% da luglio), e il Lloyd Banking Group, comproprietario della Bank of Scotland, ha visto il valore delle sue azioni decurtato di 1,7 mld di sterline, mentre la Royal Bank of Scotland ne ha perso uno. Il gigante energetico Sse ha lasciato sul terreno 400 milioni.
Sono i prodromi di un terremoto finanziario che potrebbe seguire da vicino quello politico. Molte aziende minacciano di fare le valigie per spostare le loro sedi finanziarie in Inghilterra, al riparo dal possibile disastro finanziario scozzese. Ad Edimburgo dicono di voler continuare ad usare la valuta comune, ma il ministro delle finanze George Osborne ha già detto che non se ne parla. Per ora Londra si limita a fare promesse vaghe. Se la Scozia resterà nel Regno Unito, avrà una maggiore autonomia fiscale, di budget e welfare, ma è il classico tentativo di chiudere la stalla quando i buoi sono scappati. Per l’autorevole Financial Times, “Londra è nel caos”.