ITALIA
Le dichiarazioni davanti ai giudici della Corte d'Assise
Stato-mafia, Mancino: "Contro di me campagna denigratoria"
L'ex ministro dell'Interno, accusato di falsa testimonianza, ha reso dichiarazioni spontanee nell'udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia. Mancino ha parlato dei suoi dialoghi con l'ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio
Palermo
L'ex ministro dell'Interno, Nicola Mancino, ha reso dichiarazioni spontanee nel corso dell'udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, dedicata all'ascolto delle intercettazioni delle sue conversazioni con l'ex consigliere giuridico del Quirinale Loris D'Ambrosio. L'ex ministro dell'Interno, che è accusato di falsa testimonianza, ha dichiarato nell'aula bunker di Palermo: "Non mi aspettavo, né ho chiesto alcuna avocazione dell'indagine palermitana". E poi ha aggiunto: "A fronte di valutazioni differenti fatte da diverse procure sottolineai a Napolitano la necessità di esercitare funzioni di coordinamento".
Ai giudici della Corte d'Assise, Mancino ha dato la sua chiave di lettura dei dialoghi con Loris D'Ambrosio che, secondo la Procura, mostrerebbero un tentativo dell'ex ministro di condizionare le indagini condotte dalla Procura di Palermo.
L'ex ministro ha sottolineato "l'emarginazione" subita dopo le pubblicazioni delle notizie di un suo coinvolgimento dell'inchiesta sulla trattativa e ha spiegato: "Ho mandato numerosi esposti e denunce ai procuratori capo di Palermo e Caltanissetta. Il mio nome ricorreva frequentemente nei mezzi di comunicazione. Chi li informava, se le indagini erano segrete? Mi sentivo sottopressione della magistratura palermitana inquirente. Brusca, nel corso di un incontro con Riina, fa il mio nome come destinatario del fantomatico papaello, ma ignora il tramite - ha aggiunto - Anche Massimo Ciancimino dichiara di aver saputo dal padre che io fossi a conoscenza della trattativa. E perciò viene da me denunciato in un esposto senza sviluppi giudiziari alla procura di Palermo". L'ex ministro ha quindi dichiarato: "Proprio in virtù di quella campagna denigratoria mi rivolsi a D'Ambrosio e non certo per avere protezione o aiuto, ma per confidare a un amico l'amarezza e l'angoscia per ciò che si diceva su di me".
Sul suo ruolo nel periodo delle stragi Mancino ha affermato: "Da ministro dell'interno, nel luglio del 1992, ho vissuto la terribile esperienza della strage di via D'Amelio che seguì a quella di Capaci. Gli interventi stragisti contribuirono ad arricchire la lotta alla criminalità organizzata di strumenti essenziali, il carcere duro, l'invio di 7mila militari nell'isola lo spostamento dei detenuti più pericolosi nelle carceri di pianosa e dell'Asinara".
L'ex ministro ha poi concluso le dichiarazioni spontanee rese alla Corte d'Assise affermando di essere intervenuto davanti alla Corte "perché sento il dovere di essere leale nei confronti della giustizia. Ciò che conta non è la verità costruita, ma quella vera. Perché la storia sappia che non ci fu alcun cedimento".
Ai giudici della Corte d'Assise, Mancino ha dato la sua chiave di lettura dei dialoghi con Loris D'Ambrosio che, secondo la Procura, mostrerebbero un tentativo dell'ex ministro di condizionare le indagini condotte dalla Procura di Palermo.
L'ex ministro ha sottolineato "l'emarginazione" subita dopo le pubblicazioni delle notizie di un suo coinvolgimento dell'inchiesta sulla trattativa e ha spiegato: "Ho mandato numerosi esposti e denunce ai procuratori capo di Palermo e Caltanissetta. Il mio nome ricorreva frequentemente nei mezzi di comunicazione. Chi li informava, se le indagini erano segrete? Mi sentivo sottopressione della magistratura palermitana inquirente. Brusca, nel corso di un incontro con Riina, fa il mio nome come destinatario del fantomatico papaello, ma ignora il tramite - ha aggiunto - Anche Massimo Ciancimino dichiara di aver saputo dal padre che io fossi a conoscenza della trattativa. E perciò viene da me denunciato in un esposto senza sviluppi giudiziari alla procura di Palermo". L'ex ministro ha quindi dichiarato: "Proprio in virtù di quella campagna denigratoria mi rivolsi a D'Ambrosio e non certo per avere protezione o aiuto, ma per confidare a un amico l'amarezza e l'angoscia per ciò che si diceva su di me".
Sul suo ruolo nel periodo delle stragi Mancino ha affermato: "Da ministro dell'interno, nel luglio del 1992, ho vissuto la terribile esperienza della strage di via D'Amelio che seguì a quella di Capaci. Gli interventi stragisti contribuirono ad arricchire la lotta alla criminalità organizzata di strumenti essenziali, il carcere duro, l'invio di 7mila militari nell'isola lo spostamento dei detenuti più pericolosi nelle carceri di pianosa e dell'Asinara".
L'ex ministro ha poi concluso le dichiarazioni spontanee rese alla Corte d'Assise affermando di essere intervenuto davanti alla Corte "perché sento il dovere di essere leale nei confronti della giustizia. Ciò che conta non è la verità costruita, ma quella vera. Perché la storia sappia che non ci fu alcun cedimento".