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MONDO

Lunedì a Ginevra riaprono i negoziati

Verso la spartizione della Siria. E il fallimento del sogno del 'Califfato'

La Siria, l’Iraq, lo Yemen e la Libia sono tutti Paesi che camminano velocemente verso la scissione. Un disastro totale per chi pretendeva di unire il mondo arabo islamico. L’Isis che aspirava, tramite il terrorismo e la violenza, a “correggere” la Storia, non ha fatto altro che mettere a soqquadro la Geografia

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di Zouhir Louassini Il primo video di propaganda dell’Isis narrava l’obbiettivo dichiarato del gruppo terrorista: la fine degli accordi di Sykes-Picot. Per l’autoproclamato Stato Islamico, tutti i mali dell'Umma provengono dall’intesa tra le due potenze di quella epoca, Francia e Gran Bretagna, per dividere le zone di influenza nel Medio Oriente.
 
Tale interpretazione della storia si riferiva allo scioglimento dell'Impero Ottomano dopo la prima guerra mondiale. Era la disgregazione dell’ultimo “Califfato Islamico”. Per risuscitare il sogno dell'Umma, restaurando uno Stato Unito per i musulmani, bisognava, secondo l’Isis, distruggere le basi dell’accordo che tutelava gli interessi anglo-francesi. Dopo due anni dalla diffusione del video e cento anni dagli accordi firmati dal britannico Mark Sykes e dal francese François Georges-Picot (maggio 1916), il panorama politico mediorientale parla chiaramente dello smembramento totale di molti Paesi della zona. Il primo a farlo “ufficialmente” potrebbe essere la Siria.
 
In un articolo pubblicato su Al Sharq al-Awsat (lo scorso cinque marzo), l’editorialista libanese Rajeh al-Khouri si mostra sorpreso dal fatto che la Siria sarà spartita prima dell’Iraq. Al-Kouri ribadisce varie volte nell’articolo che tutto indicava che “l’invasione” americana e tutti gli errori commessi nella gestione del Paese, facevano pensare che l’Iraq fosse “maturo” per essere diviso tra sciiti, sunniti e curdi. L’incontro a Ginevra, programmato per il 14 marzo, tra il regime siriano e l’opposizione, potrebbe significare l’inizio di un processo che porti alla firma di un accordo che divide il Paese in tre parti". Quello che apparirà, secondo al-Khouri, come Stato federale non è altro che l’avvio di una spartizione accordata tra le grandi potenze.   
 
La possibilità di disegnare nuove frontiere in Siria, a differenza degli accordi di Sykes-Picot, non sarà imposta dall'esterno. Basta riconoscere ufficialmente la partizione già esistente di fatto sul terreno: una parte per gli Alawiti del regime di al-Assad, un’altra per i curdi e una terza per “l’opposizione moderata”, che alcuni denominano già “Sunnistan”. Bisogna prendere in considerazione però, che l’ipotesi di uno Stato federale sarà poco gradita da parte dalle potenze regionali, soprattutto dalla Turchia. E non è detto che al-Assad stesso sia disponibile ad accettare una soluzione del genere. Ma in questo conflitto, si sa, i desideri dei siriani, regime ed opposizione, contano veramente poco.

I turchi sono visceralmente contrari perché rifiutano la creazione di un Kurdistan al sud della loro frontiera. Sono preoccupati che un'entità del genere possa servire come base per i separatisti del PKK e anche perché consoliderà la possibilità della nascita di uno stato curdo che unisce anche la parte turca. Pochi, nella stampa occidentale, hanno avvertito del viaggio storico del premier Ahmet Davutoglu a Teheran il 5 marzo. Molti osservatori hanno sottolineato un'eventuale alleanza tra i due Paesi proprio per affrontare l’unico argomento in cui sono totalmente d’accordo: il problema curdo.  
 
Una cosa è certa; tutto sembra portare ad una soluzione del conflitto siriano. La fine della guerra potrebbe significare il crollo dell’Isis e il fallimento di un esaltato progetto che mirava a unire l'Umma. I risultati non potevano essere peggiori: la Siria, l’Iraq, lo Yemen e la Libia sono tutti Paesi che camminano velocemente verso la scissione. Un disastro totale per chi pretendeva di unire il mondo arabo islamico. L’Isis che aspirava, tramite il terrorismo e la violenza, a “correggere” la Storia, non ha fatto altro che mettere a soqquadro la Geografia. Questa è l’unica conclusione concreta dopo due anni dalla creazione dell’autoproclamato Stato Islamico. Quella minoranza nel mondo arabo, difensore delle follie dei movimenti radicali, sarà capace di imparare dall’ennesima sconfitta? La storia recente, purtroppo, dice di no. 
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