ECONOMIA
Il compromesso di Draghi. Ossigeno per le banche del sud e per le aziende del nord
Le ultime mosse del presidente della BCE sono state variamente commentate, grandi apprezzamenti in Italia, ostilità in Germania. Quasi schizofrenico il comportamento dei mercati e del cambio, ieri le borse hanno chiuso in negativo oggi hanno spiccato il volo sospinte da bancari e industriali. Con il passare delle ore il disegno di Draghi appare più nitido. Misure per alleviare la difficile situazione delle banche del sud Europa ed altre per finanziare direttamente le grandi aziende con Francia e Germania destinate a fare la parte del leone. Servirà tutto questo a battere lo spettro della deflazione? Ne abbiamo discusso con Marcello Minenna, docente di finanza matematica alla London Graduate School
Tutte le negoziazioni sul mercato FOREX si fondano sulle aspettative degli operatori. Gran parte degli effetti delle misure varate da Draghi erano già stati incorporati dal mercato nel tasso di cambio prima dell’annuncio di ieri; l’Euro/Dollaro si è indebolito di circa un 5-6% nel corso nel mese scorso, a partire dal meeting del 4 febbraio. Di conseguenza le informazioni sensitive sono state quelle relative ai movimenti futuri dei tassi ed al tasso di inflazione. Nel primo caso Draghi ha chiaramente ridotto al lumicino le chances di ulteriori tagli. Ma il driver principale dei movimenti del cambio sono state le nuove previsioni sull’andamento futuro dell’inflazione rilasciate dalla BCE, realmente inquietanti: basti pensare che la BCE ha abbassato le stime sulla crescita dell’inflazione nel 2016 dall’1% di dicembre 2015 allo 0,1% di ieri.
Certo si tratta di un crollo improvviso che fa crescere dubbi anche sull’affidabilità dei sistemi di previsione della BCE. Ma gli interessi degli operatori FOREX rimangono piuttosto concreti: questa nuova stima comporta un differenziale di inflazione con gli USA che si allarga improvvisamente di 90 punti base e questo non può far altro che rafforzare l’Euro per semplici meccanismi di arbitraggio dei flussi finanziari.
Ma se la BCE non riesce a influenzare il cambio, quale effetto è in grado di determinare, quale segnale lancia al mercato?
Fino ad ora in verità la BCE ha avuto un buon successo nel pilotare il cambio Euro/Dollaro verso un livello permanentemente più basso. Questo tipo di politica incontra però dei limiti strutturali allorché non sono più possibili mosse sui tassi di interesse (e a quanto pare abbiamo raggiunto il floor definitivo per l’Eurozona) e le aspettative di inflazione rimangono al di fuori del controllo della Banca Centrale. Adesso siamo esattamente in questo secondo caso. Si consideri peraltro che un tasso di cambio è sempre bilaterale, cioè è anche influenzato da quello che succede nell’economia di riferimento dell’altra valuta. Nel caso del tasso di cambio Euro/ Dollaro, la spinta propulsiva al rafforzamento della valuta USA (e quindi all’indebolimento dell’Euro) si è ridotta molto da quando le aspettative di un proseguimento del ciclo di rialzo dei tassi sono crollate.
I segnali al mercato, secondo me, ci sono tutti; mi aspetto che nei prossimi giorni ci sarà un aggiustamento verso valori più equilibrati, sia sul mercato FOREX che su quello dei titoli governativi europei.
Da una prospettiva più generale, i mercati si stanno comunque rendendo conto che la capacità di intervento della politica monetaria si è andata riducendo nel corso degli ultimi anni. Per questo motivo l’attenzione si sta velocemente spostando sui temi caldi relativi alla mutualizzazione dei rischi all’interno dell’Eurozona e sulle riforme che potrebbero aumentare il raggio di azione della BCE e liberare la “mano bloccata” della politica economica europea: la leva fiscale.
Tra le notizie più allarmanti diffuse ieri da Draghi c’è una stima di inflazione allo 0,1% in europa per tutto il 2016. Un peggioramento netto delle prospettive, nonostante un anno di QE. E’ stato tutto inutile?
Dal mio punto di vista, è la notizia più allarmante di tutte. La deflazione si sta rafforzando in tutta Europa e sta modificando anche le aspettative di lungo periodo degli operatori, la c.d. core inflation. Questo è un punto essenziale, perché queste aspettative rispondono molto lentamente a stimoli esterni, sono difficilissime da modificare ed influenzano in maniera incisiva la dinamica dei prezzi.
Si pensi all’Italia degli anni 80: dato che venivamo da un decennio di inflazione stabilmente superiore al 10%, gli operatori hanno continuato ad aspettarsi una crescita dei prezzi nel lungo periodo nonostante la Banca d’Italia si fosse resa indipendente dal Tesoro ed avesse iniziato politiche monetarie fortemente restrittive, con tassi di interesse sui BTP del 15%. Il processo di disinflazione è stato lento e doloroso, e certo non privo di costi.
Certo, il Presidente Draghi ha dichiarato che senza QE la deflazione sarebbe molto peggiore di quanto è; in questa maniera ha ribadito l’efficacia del programma di acquisto titoli in termini di “argine” ad un processo deflattivo più forte del previsto. Si tratta di una difesa retorica brillante, in quanto non smentibile da osservazioni controfattuali.
Io ritengo che il QE abbia avuto la sua utilità nel tenere i tassi di interesse molto bassi e nel consentire la stabilizzazione delle dinamiche del credito all’economia reale. Ma sull’inflazione, dove ha dominato ictu oculi il crollo del prezzo del petrolio, credo che l’effetto sia stato modesto.
La decisione del board Bce di ieri è stata preceduta da forti polemiche contro l’ulteriore adozione di tassi negativi che penalizzerebbero non solo il sistema bancario ma anche le assicurazioni. Draghi, secondo lei è riuscito a superare queste obiezioni, visto anche la chisuura trionfale oggi dei titoli bancari in Italia e in Europa?
Partiamo da una considerazione chiave: i tassi negativi rendono più difficile per le banche ottenere profitti attraverso il tradizionale canale del margine di interesse. Inoltre, poiché le banche trasformano rischi e scadenze, per favorire i profitti è assai importante che la “pendenza” della curva dei tassi di interesse sia adeguatamente ripida; il QE in realtà tende ad appiattire la curva dei tassi di interesse, spingendo i tassi di lungo termine ad avvicinarsi a quelli a breve. Anche questo non è un bene per l’operatività delle banche.
è ben noto poi che i tassi bassi influenzano negativamente la redditività di ogni investimento finanziario, e di conseguenza anche assicurazioni e fondi pensione che fondano il proprio core business sulla stabilità e prevedibilità dei propri investimenti finanziari a lungo termine.
Difatti si può stimare (ed è stato fatto) che la profittabilità del sistema bancario è complessivamente stata colpita, anche se le cifre ufficiali mostrano una moderata ripresa dei profitti bancari. Anche qui, nella presentazione dei dati, la BCE gioca sul fatto che non è possibile dimostrare che con tassi più alti i profitti sarebbero stati ben maggiori. Comunque, credo che la dichiarazione di impegno di Draghi a non abbassare oltre i tassi possa essere una garanzia sufficiente per il sistema bancario, a cui vengono offerti altri meccanismi, tra cui l’intermediazione sui titoli di Stato, per stabilizzare i propri margini di profitto.
Il sistema bancario ha un nuovo strumento a disposizione le Tltro, disegnate per incentivare la concessione di crediti all’economia reale. Queste linee di credito offrirebbero alle banche prestiti a tassi più negativi rispetto al – 0,40% del tasso di depositodi rifinanziamento standard, fino ad un massimo di -0,4% rappresentato dal tasso di deposito delle riserve presso la BCE. Funzionerà il meccanismo? Siamo certi che l’economia reale se ne beneficerà? Quale penalizzazione subirebbero le banche che destinassero questi fondi ad altri scopi?
Si tratta di un tentativo apprezzabile. La BCE ha eliminato la clausola tale per cui i prestiti che non erano stati trasferiti all’economia dovevano essere obbligatoriamente restituiti dopo un anno, verosimilmente per lo scarso successo di questo genere di disincentivo.
Dal bastone si è passati alla carota: adesso è in piedi un complesso sistema di incentivi per permettere alle banche di guadagnare dei profitti privi di rischio attraverso l’espansione del credito all’economia. In sostanza, più una banca presta alle imprese, più sconti avrà sui tassi delle future TLRTO. Il meccanismo è interessante; più che altro sono scettico sull’ordine di grandezza di questi benefici.
Se sarà come penso abbastanza marginale, i requisiti di capitale da appostare in contropartita dei prestiti rimarranno il fattore fondamentale che influenzerà le decisioni di impiego delle banche. Al momento, l’investimento in titoli di Stato rimane di gran lunga l’opzione più redditizia e sicura per le banche: possono facilmente intermediare un profitto dalla compravendita con la BCE ed hanno un trattamento favorevole in termini contabili, visto che, a differenza dei prestiti, i titoli di Stato non chiedono l’appostazione di particolari riserve di capitale.
Non ci sono dunque particolari penalità per le banche che dovessero decidere di non erogare prestiti all’economia. Certo non riceveranno gli sconti, ma credo che almeno fino a quando rimarrà in vigore il QE, il meccanismo di incentivi sarà spiazzato dall’acquisto di titoli governativi.
La Bce, persuasa che il sistema bancario non è più cinghia di trasmissione sufficiente del credito all’economia reale acquisterà direttamente obbligazioni societarie. Quali caratteristiche dovranno avere queste obbligazioni?
Il sistema Eurozona resta banco-centrico. Le banche hanno troppo peso nell’intermediazione del credito all’economia. Sicuramente Draghi ha attivato un secondo canale per cercare di stimolare la dinamica dei prestiti all’economia reale e questo è un segnale che il mercato del credito bancario sta inesorabilmente peggiorando, complice anche l’enorme peso dei crediti deteriorati.
Le obbligazioni dovranno essere di aziende europee non finanziarie, di buona qualità. Sono escluse cioè dall’acquisto delle BCE le famigerate obbligazioni subordinate, mentre non sembrano (per ora) esserci limiti sulla durata. Le primissime stime (v. Figura) su questo mercato ci dicono che dovrebbero essere eligible per l’acquisto circa 550 miliardi di € di obbligazioni. La parte del leone la farebbero (non sorprendentemente) Francia e Germania con rispettivamente 209 e 122 miliardi di titoli acquistabili, il 60% di tutto il mercato. Questo sembra dare adito in parte ai sospetti che il programma sia frutto di un compromesso con i Paesi core per dare via libera al potenziamento del Quantitative Easing. Mi aspetto comunque che come per gli altri programmi, già nel brevissimo periodo ci sarà un benefico “effetto-annuncio”, con riduzione degli spread pagati dalle grandi imprese industriali e condizioni di mercato più favorevoli all’emissione di nuovo debito.