Abbiamo intervistato Alì Ehsani, autore del libro: “I ragazzi hanno grandi sogni”. Una vita da Migranti e Rifugiati. All’età di 8 anni, insieme al fratello, fugge dalla guerra nel suo paese, l’Afghanistan. Un racconto rocambolesco, fino all’arrivo a Roma aggrappato su un camion. Si è Laureato in Giurisprudenza a La Sapienza. Ha lavorato come professore di diritto al Centro di Formazione Professionale Elis, partecipando anche al progetto Barbiana nelle periferie del Tiburtino. Qual è la visione di un bambino di 8 anni che fugge dalla guerra attraverso un barcone? Io sono cresciuto con la guerra, e pensavo che il mondo fosse così. Al mio rientro da un pomeriggio passato a giocare a pallone, ho visto la mia casa distrutta da un bombardamento. Ma non capivo bene, è stato mio fratello maggiore, Mohammad, a darmi notizia dell’uccisione dei miei genitori. Siamo scappati di nascosto, date le nostre origini cristiane. Ci siamo diretti in Pakistan, camminando di notte tra montagne e deserto. A volte non mangiavamo, finivamo nelle mani dei contrabbandieri e nei mercati ci vendevano come degli schiavi. Abbiamo vissuto la stessa sorte in l’Iran: ci portavano da un posto all’altro, passavamo da una banda all’altra di contrabbandieri, diventavamo loro proprietà. Ogni volta venivamo derubati, ci sono stati momenti in cui ci facevano salire sul tetto del pulmino, in mezzo alle valigie, e io essendo piccolo ero legato e coperto per nascondermi dai Talebani. Quindi prima di arrivare a Lesbo sei stato in Iran e Turchia? Si, in Iran la polizia ci ha rinchiuso in quello che definirei un campo di concentramento. Si trovava nel deserto e c’era una scritta che mi colpì molto: “Qui non c’è Dio”. La sofferenza era troppo grande e nella confusione chiedevo a mio fratello per quale motivo avevamo lasciato il nostro paese. Lui mi rispose: “Siamo stati costretti a scegliere tra la strada della morte o della sopravvivenza”. I poliziotti frustavano fortemente i migranti e dicevano che ce lo meritavamo. A volte rimanevamo senza acqua, mangiavamo un pezzo di pane bruciato, durante la notte non potevamo sdraiarci, era un posto polveroso e sporco, dormivamo in piedi. Nel centro eravamo 1500. Ho visto il degrado umano, l’inferno in terra, la vita nostra era appesa a un pugno di soldi. E in Turchia? Attraversando la frontiera ho cominciato a strillare, le strade erano piene di mine antiuomo. Siamo stati un periodo in Turchia, mio fratello lavorava in nero, ma ad un certo punto decise di andare verso la Grecia. Mohammad insieme ad alcuni amici avevano comprato un gommone, per andare verso l’isola di Lesbo. Mio fratello mi disse che non potevo andare con loro, era molto pericoloso. Mi lasciò un cellulare per rimanere in contatto. La notte presero il gommone e andarono in mare aperto. Sono rimasto ore ad aspettare che suonasse il cellulare, ma la telefonata di mio fratello non arrivò mai. Era morto, come raccontava la tv. Tre immigrati sono affogati in mare, andavano con il loro gommone in cerca di pace e serenità. Dopo la notizia piansi giorno e notte, quello che mi fece male è che non vidi mai il suo corpo. Ma sei rimasto da solo? Sì, avevo solo 11 anni, e non avevo più i miei cari. Ero da solo, avevo sempre la speranza che un giorno la mia vita sarebbe cambiata. Poi ancora nelle mani di contrabbandieri, sono salpato su una barca poco sicura. Attraversavamo il mare a motore spento, per non farci scoprire. Ma a poche centinaia di metri dalla spiaggia di Lesbo, la barca si è bucata. Gli altri si sono buttati in mare e nuotavano verso la spiaggia, mentre io camminavo disperatamente, avanti e indietro sulla barca. Non sapevo nuotare. L’unica cosa che galleggiava era una tanica di benzina vuota, e mentre la barca affondava, mi ci sono aggrappato. Era notte fonda, faceva freddo, pioveva, ero stanco, terrorizzato, e malridotto. Cosa è successo? Mi sono venuti in mente i miei genitori e mio fratello, la loro morte tragica, pensavo che avrei avuto lo stesso destino. In quel momento mi veniva in mente anche l’insegnamento che mio padre mi diceva su Gesù. Ma per un momento me la sono presa con Lui. “Se ci sei, salvami!”. Con la stanchezza gli occhi si sono chiusi e ho sognato il Suo volto; mi abbracciava, e con il volto di sangue mi diceva: “Ti proteggo io”. Riaprendo gli occhi, mi sono accorto che ero già a terra. Ogni volta che Papa Francesco parla di migranti e rifugiati, mi fa sentire bene; è come un balsamo per le mie ferite, è come se conoscesse la mia storia. È un uomo molto umano, conosce bene la nostra situazione, lo apprezzo molto e prego sempre per Lui. In una traversata, quando ci si trova in mezzo al mare, quali sono le paure? Di essere rifiutato, maltrattato, sfruttato, discriminato, emarginato. Dopo questa esperienza, cerco di avere serenità, pace, di essere salvo, di arrivare a un posto dove qualcuno ti accoglie, ti abbraccia, ti protegge. Voglio avere una vita dignitosa. Papa Francesco una volta disse: “Nessun immigrato o rifugiato parte dal proprio paese per piacere. Non ci dobbiamo dimenticare mai del nostro passato”. Secondo te, cosa non capisce l’Europa sugli immigrati e i rifugiati? I paesi che decidono le sorti del nostro mondo non dovrebbero più vendere armi nei nostri paesi, sfruttare le nostre risorse e la nostra gente. Vorrei che al posto delle armi portassero cultura, educazione, istruzione, per avere una società più equa e umana, una democrazia vera piena di libertà. Il problema non si risolve alzando i muri, e tantomeno i muri nei nostri cuori. Dobbiamo rendere questo pianeta più umano. Quali sono i valori che ti hanno lasciato i tuoi genitori e quanto ti sono serviti per affrontare tutto ciò? I valori della famiglia sono stati estremamente importanti. Papà mi diceva che non avrebbe mai voluto vedermi con le armi in casa; non devi rubare, devi essere corretto, leale, sincero. Poi mi parlava del perdono, che apre il cuore delle persone. Gesù perdonava tutti, così possiamo amare l’altro. Con l’odio si costruisce il nulla. Hai mai incontrato Papa Francesco? E se lo incontrassi cosa gli diresti. No, ma se lo incontrassi gli direi di non mollare mai, di continuare ad essere quel Pietro in terra, misericordioso, amorevole, e di continuare con i suoi messaggi che sono fondamentali per tutti. Mi piacerebbe avere una carezza di “padre”. Penso che sia il desiderio di tutte le persone di buona volontà. ">
Original qstring:  | /dl/rainews/articoli/giornata-migranti-e-rifugiati-2019-Papa-Francesco-6c620f14-eab7-4871-be81-1c7579b931dc.html | rainews/live/ | true
MONDO

Migranti e rifugiati

Il muro dell’indifferenza, persone in cerca di umanità

Condividi
di Roberto Montoya



Domenica 29 settembre si celebra la Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato. E in questi giorni, Papa Francesco ha mandato il suo elemosiniere, il cardinale Konrad Krajewski, a visitare i cosiddetti "ghetti" dell’area della Capitanata, nel Foggiano, dove si concentrano migliaia di lavoratori agricoli, per la maggior parte migranti provenienti dall’Africa. 

L'attenzione di Bergoglio per i migranti è stata da subito uno dei tratti distintivi del suo pontificato. Fu a Lampedusa, nel 2013, il primo viaggio pastorale del Papa venuto dall'altra parte del mondo. Un atto sorprendente, iniziato con la preghiera all'ingresso del porto dell'isola siciliana per ricordare lo sbarco di migliaia di migranti e rifugiati. Ci fu poi la messa davanti a 10 mila persone, a carattere penitenziale, quasi un rito funebre per le vittime dell'immigrazione. Persone che scappano da conflitti, persecuzioni, emergenze umanitarie, vittime della tratta, lavoratori immigrati in situazione irregolare, sfruttati, e vulnerabili. In migliaia, in questi anni, hanno perso la vita durante la traversata a bordo di barconi sovraffollati o gommoni insicuri, trasformando il Mediterraneo in un gigantesco cimitero.

Sono oltre 70 milioni le persone nel mondo che fuggono da guerre e persecuzioni. Un record storico, mai registrato dopo la seconda guerra mondiale. E circa 258 milioni i migranti internazionali, un grande movimento di persone che fa parte del nostro tempo.

L’elenco dei paesi di origine di migranti e rifugiati in Italia è lungo: Siria, Afghanistan, Sud Sudan, Myanmar, Somalia, e Venezuela. Il paese caraibico per la prima volta, nel corso della sua storia, registra più di 4 milioni di persone costrette all’esilio forzato. Una migrazione forzata, anche quella che arriva dall’altra parte del continente Americano, che ci mette davanti a una cruda realtà che si consuma da anni. Un numero sconsiderato di persone ogni anno percorre centinaia di chilometri su immense distese di terra polverosa per raggiungere la frontiera tra il Messico e Stati Uniti. Un sogno per milioni di latinoamericani, desiderosi di una vita migliore per sé e per le loro famiglie, che spesso trovano invece la morte.

A Lampedusa, il Papa delle periferie volle inviare un messaggio forte e chiaro a un’Europa dal cuore indurito.

«Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Non si tratta solo di migranti – dice Papa Francesco nella giornata Mondiale per i migranti e rifugiati - si tratta anche delle nostre paure. Le cattiverie e le brutture del nostro tempo accrescono «il nostro timore verso gli altri… gli sconosciuti, gli emarginati, i forestieri. E così la paura ci priva del desiderio e della capacità di incontrare l’altro. «Se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete?”.” Il progresso dei nostri popoli – continua - dipende soprattutto dalla capacità di lasciarsi smuovere e commuovere da chi bussa alla porta e col suo sguardo scredita ed esautora tutti i falsi idoli; idoli che promettono una felicità illusoria ed effimera, costruita al margine della realtà e della sofferenza degli altri”

“Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! – Commenta Papa Francesco nella storica visita a Lampedusa - Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? La globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!”.

Ma non furono solo quelle parole a rappresentare il sentimento del pontefice verso i migranti. L'azione di Francesco si spinge alla collaborazione con le comunità internazionali, offre spunti continui e promuove misure efficaci sulla dignità, i diritti e la libertà di tutti i soggetti della mobilità umana come il Global Compact on Migration, un’iniziativa per un’immigrazione sicura, ordinata e regolare. È un’occasione unica per fornire una risposta congiunta in termini di cooperazione internazionale e di responsabilità condivisa a beneficio anche delle comunità ospitanti. Un magistero dalle caratteristiche che provocano scandalo. Ma in perfetta sintonia con la Dottrina sociale della chiesa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare.



Abbiamo intervistato Alì Ehsani, autore del libro: “I ragazzi hanno grandi sogni”. Una vita da Migranti e Rifugiati. All’età di 8 anni, insieme al fratello, fugge dalla guerra nel suo paese, l’Afghanistan. Un racconto rocambolesco, fino all’arrivo a Roma aggrappato su un camion. Si è Laureato in Giurisprudenza a La Sapienza. Ha lavorato come professore di diritto al Centro di Formazione Professionale Elis, partecipando anche al progetto Barbiana nelle periferie del Tiburtino.

Qual è la visione di un bambino di 8 anni che fugge dalla guerra attraverso un barcone?
Io sono cresciuto con la guerra, e pensavo che il mondo fosse così. Al mio rientro da un pomeriggio passato a giocare a pallone, ho visto la mia casa distrutta da un bombardamento. Ma non capivo bene, è stato mio fratello maggiore, Mohammad, a darmi notizia dell’uccisione dei miei genitori. Siamo scappati di nascosto, date le nostre origini cristiane. Ci siamo diretti in Pakistan, camminando di notte tra montagne e deserto. A volte non mangiavamo, finivamo nelle mani dei contrabbandieri e nei mercati ci vendevano come degli schiavi. Abbiamo vissuto la stessa sorte in l’Iran: ci portavano da un posto all’altro, passavamo da una banda all’altra di contrabbandieri, diventavamo loro proprietà. Ogni volta venivamo derubati, ci sono stati momenti in cui ci facevano salire sul tetto del pulmino, in mezzo alle valigie, e io essendo piccolo ero legato e coperto per nascondermi dai Talebani.

Quindi prima di arrivare a Lesbo sei stato in Iran e Turchia?
Si, in Iran la polizia ci ha rinchiuso in quello che definirei un campo di concentramento. Si trovava nel deserto e c’era una scritta che mi colpì molto: “Qui non c’è Dio”. La sofferenza era troppo grande e nella confusione chiedevo a mio fratello per quale motivo avevamo lasciato il nostro paese. Lui mi rispose: “Siamo stati costretti a scegliere tra la strada della morte o della sopravvivenza”. I poliziotti frustavano fortemente i migranti e dicevano che ce lo meritavamo. A volte rimanevamo senza acqua, mangiavamo un pezzo di pane bruciato, durante la notte non potevamo sdraiarci, era un posto polveroso e sporco, dormivamo in piedi. Nel centro eravamo 1500. Ho visto il degrado umano, l’inferno in terra, la vita nostra era appesa a un pugno di soldi.

E in Turchia?
Attraversando la frontiera ho cominciato a strillare, le strade erano piene di mine antiuomo. Siamo stati un periodo in Turchia, mio fratello lavorava in nero, ma ad un certo punto decise di andare verso la Grecia. Mohammad insieme ad alcuni amici avevano comprato un gommone, per andare verso l’isola di Lesbo. Mio fratello mi disse che non potevo andare con loro, era molto pericoloso. Mi lasciò un cellulare per rimanere in contatto. La notte presero il gommone e andarono in mare aperto. Sono rimasto ore ad aspettare che suonasse il cellulare, ma la telefonata di mio fratello non arrivò mai. Era morto, come raccontava la tv. Tre immigrati sono affogati in mare, andavano con il loro gommone in cerca di pace e serenità. Dopo la notizia piansi giorno e notte, quello che mi fece male è che non vidi mai il suo corpo.

Ma sei rimasto da solo?
Sì, avevo solo 11 anni, e non avevo più i miei cari. Ero da solo, avevo sempre la speranza che un giorno la mia vita sarebbe cambiata. Poi ancora nelle mani di contrabbandieri, sono salpato su una barca poco sicura. Attraversavamo il mare a motore spento, per non farci scoprire. Ma a poche centinaia di metri dalla spiaggia di Lesbo, la barca si è bucata. Gli altri si sono buttati in mare e nuotavano verso la spiaggia, mentre io camminavo disperatamente, avanti e indietro sulla barca. Non sapevo nuotare. L’unica cosa che galleggiava era una tanica di benzina vuota, e mentre la barca affondava, mi ci sono aggrappato. Era notte fonda, faceva freddo, pioveva, ero stanco, terrorizzato, e malridotto.

Cosa è successo?
Mi sono venuti in mente i miei genitori e mio fratello, la loro morte tragica, pensavo che avrei avuto lo stesso destino. In quel momento mi veniva in mente anche l’insegnamento che mio padre mi diceva su Gesù. Ma per un momento me la sono presa con Lui. “Se ci sei, salvami!”. Con la stanchezza gli occhi si sono chiusi e ho sognato il Suo volto; mi abbracciava, e con il volto di sangue mi diceva: “Ti proteggo io”. Riaprendo gli occhi, mi sono accorto che ero già a terra. Ogni volta che Papa Francesco parla di migranti e rifugiati, mi fa sentire bene; è come un balsamo per le mie ferite, è come se conoscesse la mia storia. È un uomo molto umano, conosce bene la nostra situazione, lo apprezzo molto e prego sempre per Lui.

In una traversata, quando ci si trova in mezzo al mare, quali sono le paure?
Di essere rifiutato, maltrattato, sfruttato, discriminato, emarginato. Dopo questa esperienza, cerco di avere serenità, pace, di essere salvo, di arrivare a un posto dove qualcuno ti accoglie, ti abbraccia, ti protegge. Voglio avere una vita dignitosa. Papa Francesco una volta disse: “Nessun immigrato o rifugiato parte dal proprio paese per piacere. Non ci dobbiamo dimenticare mai del nostro passato”.

Secondo te, cosa non capisce l’Europa sugli immigrati e i rifugiati?
I paesi che decidono le sorti del nostro mondo non dovrebbero più vendere armi nei nostri paesi, sfruttare le nostre risorse e la nostra gente. Vorrei che al posto delle armi portassero cultura, educazione, istruzione, per avere una società più equa e umana, una democrazia vera piena di libertà. Il problema non si risolve alzando i muri, e tantomeno i muri nei nostri cuori. Dobbiamo rendere questo pianeta più umano.

Quali sono i valori che ti hanno lasciato i tuoi genitori e quanto ti sono serviti per affrontare tutto ciò?
I valori della famiglia sono stati estremamente importanti. Papà mi diceva che non avrebbe mai voluto vedermi con le armi in casa; non devi rubare, devi essere corretto, leale, sincero. Poi mi parlava del perdono, che apre il cuore delle persone. Gesù perdonava tutti, così possiamo amare l’altro. Con l’odio si costruisce il nulla.

Hai mai incontrato Papa Francesco? E se lo incontrassi cosa gli diresti.
No, ma se lo incontrassi gli direi di non mollare mai, di continuare ad essere quel Pietro in terra, misericordioso, amorevole, e di continuare con i suoi messaggi che sono fondamentali per tutti. Mi piacerebbe avere una carezza di “padre”. Penso che sia il desiderio di tutte le persone di buona volontà.

Condividi