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SCIENZA

Big Data secondo Apple

ResearchKit, un cavallo di Troia nella nostra salute

Una rete sanitaria globale, un enorme DataBase costruito su dati sanitari sperimentali e clinici ricavati da soggetti sottoposti a sperimentazione, ricerca e terapia. È la nuova "trovata" social della Apple

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di Stefano Lamorgese "Pronto, dottore, come sto?"
In un prossimo futuro sarà diffuso questo tipo di approccio telefonico da parte di pazienti che si rivolgeranno al proprio medico per un consulto. E lo specialista potrà rispondere esaustivamente (se non l'avrà gia fatto via email), sciorinando diagnosi e terapie, elaborate in base ai dati che gli strumenti portatili indossati dal paziente avranno registrato e trasmesso. Non solo. La raccolta globale dei dati sanitari relativi a patologie, terapie e sperimentazioni cliniche costituirà un'immensa mole di dati disponibile alla comunità scientifica mondiale.

Un "regalo" di Apple alla scienza, che potrà giovarsi di un'inusitata capacità di raccolta di informazioni su di una scala finora impensabile. Non è una burla, né una fantasia. È lo scenario - meglio: uno degli scenari possibili - che è legittimo immaginare dopo la presentazione di "ResearchKit", il nuovo gioiello nato dalla fertile fucina di Cupertino, casa madre di Apple, che verrà lanciato sul mercato Usa nel prossimo mese di Aprile.

Che cos'è ResearchKit?
Si tratta di uno strumento - un "framework software open source" - progettato per raccogliere, su base volontaria, i dati dei partecipanti agli studi clinici, utilizzando app per iPhone. È una scelta che nasce da molti fattori diversi. Prima di tutto: l'intuizione di Apple circa la portata globale del tema "salute", certamente ai primi posti degli interessi del pubblico e dei colossi dell'industria chimica e farmaceutica. Certo, si dirà, Cupertino non arriva per prima in questo promettente settore di mercato. Eppure basta sfogliare le app installate fin dalla fabbrica in un iPhone per scoprire "health", applicazione pronta per raccogliere i dati sanitari dell'utente. Segno, questo, di un'intelligenza del problema che viene da lontano.

Chi partecipa al grande gioco della mela?
Sono molti gli istituti di ricerca che partecipano all'avventura di ResearchKit, e tutti molto importanti. L'elenco è già lungo:
- la Icahn School of Medicine del Mount Sinai, che ha varato un progetto sull'asma;
- la UCLA Fielding School of Public Health ha sviluppato una app per la ricerca sul cancro;
- la Stanford Medicine ha sviluppato My Heart Counts, un'applicazione dedicata a tenere sotto controllo il funzionamento del cuore;
- il Massachusetts General Hospital (la clinica universitaria della scuola di medicina di Harvard) ha sviluppato GlucoSuccess, un'app nata per comprendere da vicino il rapporto tra stile di vita e tasso di glucosio nelo sangue.

Colossi alla ricerca di dati
Si tratta solo di alcuni esempi, ma molto significativi. L'importanza, l'autorevolezza e l'efficienza di questi centri di ricerca - tutti ai primi posti nelle classifiche USA - è suffragata dalla loro capacità finanziaria.
La Icahn School of Medicine ha un budget annuale di 1,8 miliardi di dollari; la UCLA Fielding School of Public Health sfiora i 63 milioni; la Stanford Medicine beneficia di un investimento finanziario differenziato del valore di 25 miliardi di dollari.

Si tratta di giganti della sanità, dunque, che certamente vedono nella possibilità di incrociare gli interessi di un colosso della tecnologia (e della finanza) come Apple, che vanta numeri economici da primato, con un utile netto pari a quasi 40 miliardi di dollari nel 2014.

Preoccupazioni
La sortita di Apple non giunge dunque inaspettata; anzi: è il frutto di una lunga e attenta preparazione, che - in attesa dell'atteso, consueto trionfo pubblico - già può vantare numerosi e importanti "adepti", veri atout da spendersi sul tavolo verde del marketing planetario.

Quello che suscita qualche preoccupazione è il rapporto tra i dati estremamente sensibili che riguardano la sfera privata di ciascuno di noi e l'uso che di tali informazioni verrà fatto. È chiaro, infatti, che conoscere non solo le abitudini di vita, ma fin nel dettaglio lo stato di salute di milioni (miliardi?) di persone rappresenti - oltre che una chiara occasione per svolgere ricerche epidemiologiche di dimensioni e portata straordinarie - anche una responsabilità gigantesca, che non potrà trovare confini e limiti solo nel buon senso o nella virtù dei cittadini né in quella degli operatori sanitari che se le troveranno sul tavolo.

Si pensi, anche solo per un attimo, a che cosa potrebbero farne le compagnie assicurative, dalle quali - per esempio negli USA - dipendono i piani sanitari di centinaia di milioni cittadini statunitensi. Qualche dubbio, lo si capisce, è più che legittimo.
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