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ECONOMIA

Il Sottosegretario all'Economia Baretta: "Correggere aliquota su fondi pensione"

Ddl stabilità, cosa potrebbe cambiare per previdenza e Tfr

Il prelievo fiscale sui fondi pensione - se la bozza del governo non subisce modifiche in Parlamento di qui a dicembre - passerebbe dall'11,5% al 20% con la possibile penalizzazione della previdenza complementare. Mazzata anche per le casse di previdenza delle professioni: la tassazione sulle rendite finanziarie potrebbe passare dal 20 al 26% a partire dal primo gennaio se non si interviene. Camporese (Associazione degli Enti Previdenziali Privati): "Atto miope, soprattutto per i giovani"

Un pensionato (Ansa)
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Roma Per ora è solo una bozza. Ma l'ipotesi di tassare al 20% i fondi pensione, idea contenuta nel testo della legge di stabilità, è un aspetto che deve essere approfondito e che spaventa non poco quegli italiani che dall'introduzione del sistema contributivo e dalla sua estensione a tutti i lavoratori con la riforma Dini hanno deciso volontariamente di destinare parte dei loro risparmi alla previdenza complementare. Il prelievo fiscale attuale sui fondi (e sulle assicurazioni private a carattere collettivo o individuale, ndr) passerebbe quindi dall'attuale 11,5% al 20. L'idea, che stronca le ambizioni e i progetti di chi fa uso del secondo pilastro pensionistico (che non sostituisce la gestione previdenziale pubblica che è obbligatoria, ndr) - non convince nemmeno il sottosegretario all'Economia Pier Paolo Baretta. "L'aumento - ha affermato in una intervista ad Avvenire - ha un senso se stiamo parlando di rendite finanziarie, ma secondo me questi fondi vanno messi nel campo della previdenza. L'incremento della tassa sul Tfr - aggiunge  - è diverso, perché è su base volontaria ed è una opportunità per chi ha urgenza, ma francamente io gli direi di lasciare i soldi nel Tfr". 
  
Casse previdenziali dei professionisti, Camporese: "Atto miope, soprattutto per i giovani"

In fatto di previdenza, però, le novità contenute nella bozza - ma che potrebbero tornare in discussione parlamentare da qui a dicembre - non finiscono. La legge di stabilità prevede infatti anche l'incremento della tassazione delle rendite finanziarie dal 20 al 26 per cento anche per le casse di previdenza delle professioni. Tradotto: sarà come equiparare questo genere di rendita a quella di un qualsiasi altro investitore privato (si tasserebbero cioè come i guadagni ottenuti con la maggior parte dei prodotti d'investimento venduti nel nostro Paese, vedi i bond emessi da società private, le azioni, ecc..). Per Andrea Camporese, presidente di Adepp (Associazione degli Enti Previdenziali Privati) se ciò che è scritto nella manovra venisse confermato "sarebbe un atto gravissimo, di una miopia assoluta". "In tutta Europa - dice - la tassazione delle casse previdenziali dei professionisti viene fatta nel momento dell'erogazione, il nostro Paese è l'unico in cui viene tassato anche il rendimento". Adesso la tassazione per le casse previdenziali dei professionisti è al 20%, ma se non dovesse cambiare nulla nel testo del governo, questa, automaticamente dal primo gennaio 2015, passerà al 26% come per tutte le altre rendite finanziarie". Camporese parla di "atto miope soprattutto nei confronti dei giovani" perchè l'effetto composto di tassazione su erogazione e plusvalenze provocherà pensioni basse.

Il rincaro, quindi, sarebbe uno schiaffo per tutti quei professionisti che versano alle singole casse previdenziali e per quei lavoratori che hanno deciso di utilizzare la previdenza complementare (o integrativa, ndr) prevedendo una futura pensione tutt'altro che florida. Uno strumento, quello della previdenza complementare che, invece, dovrebbe essere incentivato fiscalmente e non viceversa: un po' come fanno gli altri Paesi europei. 

Ma che cos'è una rendita previdenziale? Questa è determinata principalmente dall'importo versato dall'assicurato mediante un contributo personale annuale e dal versamento del Tfr, poi da un eventuale contributo del datore del lavoro e dai rendimenti del fondo pensione (che possono oscillare in base al rischio e al rendimento, ndr). L'adesione alla previdenza complementare è volontaria e aperta a chiunque la voglia: anche chi, ad esempio, è a carico di un familiare che già aderisce a una forma previdenziale integrativa. Ad esempio, un padre di famiglia che già aderisca a una forma previdenziale complementare e che voglia aiutare il proprio figlio disoccupato garantendogli un minimo di pensione futura.

Tfr in busta paga 
All'interno della previdenza integrativa - sempre che il lavoratore voglia - può confluire anche il trattamento di fine rapporto. Il tfr in busta paga - ovviamente questa è una decisione del lavoratore -  potrebbe incentivare i consumi (per chi ha urgenza e ne ha bisogno, ndr), ma allo stesso tempo perde quella che è sempre stata una tra le sue funzioni principali, ossia quella del risparmio e della previdenza. L'operazione per trasferire il Tfr in busta paga - così come riferisce la bozza del governo - partirà dal primo marzo 2015 e sarà attuata fino al 30 giugno 2018 in via sperimentale. I lavoratori dipendenti del settore privato potranno quindi ricevere il contributo del trattamento di fine rapporto insieme al proprio stipendio. I beneficiari saranno coloro che, prima di tutto lo richiederanno,ma che dovranno avere un rapporto di lavoro da almeno sei mesi presso lo stesso datore. Inoltre la parte integrativa della retribuzione sarà tassata e non imponibile a fini previdenziali. La richiesta volontaria è irrevocabile fino al 30 giugno 2018. Ma quanto conviene? Stando ai calcoli della Fondazione consulenti del lavoro, fino a un reddito reddito lordo annuo di 15 mila euro l'anticipo del Tfr in busta paga non costerà nulla, ma dai 15mila euro in su ci sarà un aumento della tassazione proporzionale. Fino a 28.650 euro sarà di circa 50 euro in più all’anno, ma oltre questa soglia per effetto dell’aliquota del 38% il peso fiscale diventa sostanzioso, all'incirca 300 euro. Per coloro che percepiscono un reddito di circa 20mila euro l’anno, il trattamento di fine rapporto netto sarebbe pari a 1.008 euro (84 euro al mese) a fronte di 1.058 di Tfr netto accantonato in azienda. Se un lavoratore percepisce 25mila euro lordi annui, ne riceverà 1.261 di Tfr (105 al mese) anziché 1.311. 
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