L'intervista
#MuroBerlino25: Riccardo Ehrman, il giornalista italiano che fece cadere il muro
Corrispondente per l'Ansa da Berlino Est, Riccardo Ehrman racconta il 9 novembre del 1989: quella conferenza stampa e quella domanda passata alla storia
Un passato da cronista, Riccardo Ehrman ha oggi 85 anni e vive in Spagna. È a Madrid, circondato da libri e oggetti comprati negli anni in cui era corrispondente, che racconta la sua domanda passata alla storia. Quella posta il 9 novembre del 1989 al portavoce del governo della Ddr: quella domanda che portò al crollo del muro di Berlino.
Com'era lavorare a Berlino negli anni della guerra fredda?
Ci sono stato per 11 anni. Sono arrivato nel 1976, come corrispondente dell’Ansa. Sono andato ad abitare a est perché se no non ti davano l’accredito. Casa mia era casa e ufficio: era un appartamento dello Stato. Come ho scoperto dopo, sul momento non lo sapevo, era pieno di microfoni. Erano ovunque, persino nel bagno e nella camera da letto ce n’erano due.
C'era censura?
Mai avuto problemi di censura. Facevo attenzione a riferire esattamente quello che era la verità. O perlomeno dicevo: secondo quanto affermano il portavoce… e mai sgarrando. C’erano molte notizie che non sarebbero state gradite al regime, quelle non si potevano dare. Un esempio: Honecker, il grande capo della Ddr fu estromesso poche settimane prima dalla conferenza stampa. Ma io lo sapevo già da molte settimane prima, che stava per andarsene. Un ministro del regime, Klaus Gysi mi diceva: “Sai Honecker...Lo stiamo cacciando”. E io: “Benissimo, posso dirlo che me l’hai detto?” E lui: “No assolutamente no”. Così non ho potuto riferirla.
Come aveva coltivato questo rapporto di fiducia con le fonti?
Per esempio, Gysi l'ho conosciuto quando era ambasciatore a Roma. Poi ci rivedemmo a Berlino. Al ministro piaceva il cibo italiano. Così, visto che mia moglie era una brava cuoca, gli telefonavo e lo invitavo a mangiare un piatto di spaghetti. E lui diceva: “Volentieri, quando?” E poi veniva da me.
Che cosa è successo nei giorni prima del 9 novembre?
Sulla telefonata da Poetschke (quella dall'agenzia di stampa di Stato) ho un po’ esagerato per rendere interessante l’intervista con una giornalista tedesca. Comunque, di telefonate in quei giorni ne ho ricevute molte, perché tutti gli esponenti del regime sapevano che il regime stava tendennando. Loro propagavano l’allarme ma al tempo stesso mi chiedevano informazioni. Ma io non sapevo nulla. Tutto si stava tramando in oriente, a Mosca. Nessuno sapeva quello che stava succedendo. Lo stesso Schabowski (il portavoce del governo della Ddr, ndr) era convinto di parlare di libertà di viaggio ma non che questo significasse la caduta del muro.
Come è nata la famosa domanda?
La mia domanda è stato il frutto della mia esperienza nel Paese. Avevo imparato a capire le nuance, le ombre di quello che i comunisti volevano dire senza dirlo. Così a questo punto ho chiesto: "Signor Schabowski lei ha parlato di errori. Non crede che sia stato un grande errore quello di presentare poche settimane fa una legge di viaggio che non è tale?". Per la legge, i cittadini della Germania orientale potevano viaggiare solo con passaporto e visto. Era impossibile. Non era una vera legge di viaggio. Era una truffa propagandistica a spese di quei poveracci dei tedeschi orientali.
Schabowski parla di "facilitazioni di viaggio". Lei che cosa ha capito?
Non mi aspettavo assolutamente questa risposta. Molti miei colleghi mi dicono: "Tu sei quello della domanda". Nella vita e soprattutto nel giornalismo non contano le domande, contano le risposte. In questo caso la risposta ha cambiato il mondo. Mi stupisce ancora oggi che i colleghi non abbiano compreso l’importanza delle parole di Schabowski (aveva annunciato la possibilità di espatrio senza particolari condizioni, ndr).
E poi, che cosa ha chiesto?
Ho chiesto. Vale anche per Berlino ovest? Auch fuer West Berlin? E poi l’ultima: Ab wann? Cioè da quando? Per me è stato chiarissimo. Nel momento in cui lui ha detto che c’era la possibilità di andare a ovest senza passaporto e senza visto da subito, per me è stato chiarissimo. Il muro è caduto. Anni dopo ho rivisto Schabowski. Sono andato a casa sua, ci siamo abbraccati. E lui mi ha detto: "Tu mi hai dato la spinta per fare l’annuncio. Ero innervosito, tu mi hai fatto questa domanda provocatoria e mi hai davvero spinto a dare l’annuncio". Poi mi ha dato una copia di quella conferenza stampa, con il testo originale e le annotazioni.
Come ha dato la notizia?
Telefonai subito all’Ansa. Telefonai dicendo: “Un annuncio che equivale alla caduta del muro è stato dato stasera dal portavoce. E poi il seguito: il portavoce Gunter Schabowski ha detto che da questo momento i tedeschi orientali possono varcare tutte le frontiere, comprese quelle occidentali, senza necessità di passaporto o di visto e solo con un documento di identità valido.
Che cosa hanno detto a Roma?
Ho sentito la voce di qualche collega che stava dicendo: "Riccardo è impazzito!"
Ci sono stati molti riconoscimenti per quella domanda...
Il mio merito non è quanto aver fatto la domanda ma di aver capito la risposta. Come giornalista posso dire forse ho fatto un buon lavoro e spero di averlo fatto. Pochi giorni dopo, ho visto Willy Brandt. Lui si è alzato, mi ha abbracciato con entusiasmo e mi ha detto kurze Frage, enorme Wirkung, che vuol dire piccola domanda, effetto enorme.