MONDO
Il missionario italiano e l'apartheid
"Il nuovo Sudafrica sta crescendo"
Il commento del religioso Padre Piccolboni che nel'96 conobbe Mandela. Giunto in Sudafrica nel 1979, in pieno regime segregazionista, ci ha raccontato la sua esperienza
Roma
"Un uomo straordinario Nelson Mandela, che ha contribuito a cambiare la storia del ventesimo secolo. Un gigante di umanità che si è sacrificato per il suo popolo e che ha dato una lezione al mondo intero". Sono le parole di Padre Gianni Piccolboni, missionario dell'ordine degli stimmatini che ha conosciuto Madiba nel 1996 durante una missione umanitaria in Sudafrica. Rainews lo ha contattato telefonicamente e gli ha chiesto che ne sarà della nazione Arcobaleno senza il suo padre fondatore, senza quell'uomo che ha fatto della riconciliazione tra bianchi e neri la sua ragion di vita.
"E' un paese che sta crescendo"
D'ora in poi che ne sarà del Sudafrica di Madiba? "E' un Paese che sta crescendo con pazienza e determinazione. Sono passati diversi anni, ma non troppi dalle prime elezioni libere e democratiche. C’è ancora del cammino da fare. La forza risiede nelle nuove generazioni che non hanno sperimentato l’orrore dell'apartheid. E su quei prati dove andavano a giocare i bimbi bianchi, ora giocano anche quelli neri. Non avevo mai visto niente di simile prima".
"Per muoversi un nero doveva avere sempre con sè un pass"
Ci racconta l'apartheid visto con i suoi occhi? Ricorda degli episodi particolari? "Sono
arrivato in Sudafrica nel 1979, esattamente tre anni dopo la rivolta di Soweto. Al mio arrivo dominava la quiete, la paura. Tutto era ordinato, nessuna forma di vandalismo, di violenza sulle strade o nelle famiglie. Ma era una pace apparente. C'erano le scuole per bianchi e neri, sempre separati. Anche i programmi erano diversificati. Nei giardini c’erano le panchine riservate ai bianchi. Per muoversi un nero doveva avere sempre con sè un pass: questo ne giustificava la presenza in un territorio a lui proibito. Gli autobus per i neri erano tutti malandati. Gli ascensori erano solo per i bianchi. Il nero non poteva possedere, non aveva diritti".
I tanti episodi di razzismo
"Un giorno sono entrato in un negozio con un seminarista di colore. Siamo entrati dalla stessa porta, facendo finta di niente. Un commesso bianco gli si è avvicinato e lo ha strattonato verso la porta di ingresso, come fosse uno straccio. Io sono uscito e non ho comprato nulla, indignato".
"L'ingresso per i bianchi e per i neri"
"Un'altra volta accompagnai alla stazione una ragazza di colore che doveva prendere il treno. Entrai anche io dall'ingressso riservato ai neri e accompagnai la ragazza fino all’interno dello scompartimento. Mentre stavo scendendo dal treno mi videro due poliziotti: mi urlarono contro e mi assalirono dicendomi che ero nel posto sbagliato, perchè quella era la carrozza dei neri, così non andava bene. Io dissi loro: 'Sono entrato da una porta su cui c’è scritto che non sono ammesse le biciclette e i cani: non facendo parte di nessuna di queste due categorie sono entrato'. Erano arrabbiatissimi con me perché avevo disobbedito. Poi arrivò un loro superiore che mi prese per mano e mi accompagnò fuori invitandomi a ripassare bene le leggi del Paese. Grazie a Mandela ora questo orrore non c'è più".
di Cristina Raschio
"E' un paese che sta crescendo"
D'ora in poi che ne sarà del Sudafrica di Madiba? "E' un Paese che sta crescendo con pazienza e determinazione. Sono passati diversi anni, ma non troppi dalle prime elezioni libere e democratiche. C’è ancora del cammino da fare. La forza risiede nelle nuove generazioni che non hanno sperimentato l’orrore dell'apartheid. E su quei prati dove andavano a giocare i bimbi bianchi, ora giocano anche quelli neri. Non avevo mai visto niente di simile prima".
"Per muoversi un nero doveva avere sempre con sè un pass"
Ci racconta l'apartheid visto con i suoi occhi? Ricorda degli episodi particolari? "Sono
arrivato in Sudafrica nel 1979, esattamente tre anni dopo la rivolta di Soweto. Al mio arrivo dominava la quiete, la paura. Tutto era ordinato, nessuna forma di vandalismo, di violenza sulle strade o nelle famiglie. Ma era una pace apparente. C'erano le scuole per bianchi e neri, sempre separati. Anche i programmi erano diversificati. Nei giardini c’erano le panchine riservate ai bianchi. Per muoversi un nero doveva avere sempre con sè un pass: questo ne giustificava la presenza in un territorio a lui proibito. Gli autobus per i neri erano tutti malandati. Gli ascensori erano solo per i bianchi. Il nero non poteva possedere, non aveva diritti".
I tanti episodi di razzismo
"Un giorno sono entrato in un negozio con un seminarista di colore. Siamo entrati dalla stessa porta, facendo finta di niente. Un commesso bianco gli si è avvicinato e lo ha strattonato verso la porta di ingresso, come fosse uno straccio. Io sono uscito e non ho comprato nulla, indignato".
"L'ingresso per i bianchi e per i neri"
"Un'altra volta accompagnai alla stazione una ragazza di colore che doveva prendere il treno. Entrai anche io dall'ingressso riservato ai neri e accompagnai la ragazza fino all’interno dello scompartimento. Mentre stavo scendendo dal treno mi videro due poliziotti: mi urlarono contro e mi assalirono dicendomi che ero nel posto sbagliato, perchè quella era la carrozza dei neri, così non andava bene. Io dissi loro: 'Sono entrato da una porta su cui c’è scritto che non sono ammesse le biciclette e i cani: non facendo parte di nessuna di queste due categorie sono entrato'. Erano arrabbiatissimi con me perché avevo disobbedito. Poi arrivò un loro superiore che mi prese per mano e mi accompagnò fuori invitandomi a ripassare bene le leggi del Paese. Grazie a Mandela ora questo orrore non c'è più".