MONDO
L'intervista a Osama al Saghir di Ennahda
10 giorni fa la strage del Bardo, il deputato italo-tunisino: solo uniti batteremo il terrorismo
Al Saghir spiega che i terroristi hanno scelto la Tunisia perchè qui convivono democrazia e principi dell'Islam. E uccidere i turisti vicino al Bardo colpisce i due pilastri del Paese: la voce principale dell'economia in un luogo attaccato al Parlamento, simbolo della democrazia. Analisi degli scenari politici e delle sfide in tema di lotta al terrorismo.
L’attentato del Bardo rallenta il percorso democratico della Tunisia? Ora che scenari politici si aprono?
La Tunisia oggi deve dimostrare al mondo che non si è piegata e non cede al terrorismo. Per questo noi, come Ennahda, riteniamo che l’unico modo per dare un segnale forte sia un governo di unità nazionale. Un messaggio di unità verso l’esterno, verso i terroristi che vogliono distruggere il nostro processo democratico, ma anche per i tunisini, terrorizzati dall’attacco.
Perché la Tunisia è stata colpita proprio adesso?
La Tunisia è l’unico Paese della zona in cui siamo riusciti a conciliare democrazia e principi dell’Islam, un connubio che ha ricevuto critiche dall’Occidente così come dai terroristi islamici. Dalla Rivoluzione ad oggi ci siamo concentrati sul consolidamento della stabilità politica, hanno provato ad attaccarci ma non ci sono riusciti (basti pensare agli assassini nel 2013 del segretario del Partito dei Patrioti Democratici Chokri Belaid e di Mohamed Brahmi, uno dei leader dell’allora opposizione laica, ndr). Ora ci attaccano nella seconda fase, quella della ricostruzione del tessuto economico. Ecco perché hanno ucciso i turisti, uno dei pilastri del’economia tunisina e non in un villaggio ma a pochi passi dal Parlamento, simbolo del nuovo corso della Tunisia. Se il terrore ha portato alla cancellazione di molte prenotazioni e al timore che ci sia un calo degli investimenti stranieri, per l’estate speriamo e contiamo di riuscire a risalire.
La Tunisia di oggi ha un doppio volto: culla della democrazia in un’area dove invece è una catastrofe ma anche terra da cui sono partiti migliaia di foreign fighters verso la Siria e l’Iraq. Che lettura ne dà?
A differenza degli Stati con cui confiniamo, come ad esempio la Libia, noi non abbiamo nessuna area in mano ai terroristi, non ci sono campi di addestramento e quindi le partenze di chi vuole seguire i terroristi hanno grandi numeri. Ma pesano anche alcuni fattori come l’altissima disoccupazione giovanile (nel Paese arriva al 15% per impennarsi tra gli under 30, ndr) e un disagio a 360 gradi: sociale, economico ma anche ideologico. E qui sta al mondo musulmano prendersi le proprie responsabilità.
Quali responsabilità si deve assumere il mondo musulmano?
C’è una demagogia dell’estremismo che va riconosciuta e combattuta. Prendiamo il sogno del Califfato, l’unione dei musulmani contro il vuoto e l’arroganza dell’Occidente. E’ con queste espressioni che i giovani vengono facilmente reclutati per diventare foreign fighters, facendo leva su un disagio tutto interno all’Islam che oggi sta vivendo una profonda fase di transizione.
Che sfide lancia l’attentato del Bardo alla comunità internazionale?
E’ giunto il momento di fare un bilancio della lotta al terrorismo dall’11 settembre ad oggi. L’estremismo ne è uscito, per me, rafforzato. Nel 2001 gli attacchi sono stati certo devastanti ma non così capillari e frequenti. Nel 2001 i campi di addestramento erano praticamente impossibili da localizzare, oggi sappiamo dove sono e addirittura sono i terroristi che ce li mostrano in video montati in modo spettacolare. E il reclutamento di nuovi combattenti non è mai stato facile come oggi. Sia l’Occidente sia l’intero mondo musulmano devono aprire un nuovo dibattito e rivedere le strategie messe in campo fino ad oggi per combattere con efficacia un nemico che ha dimostrato di poter colpire da Parigi, con la strage di Charlie Hebdo, fino a Tunisi, con i 22 morti del Bardo. L’importante è non aspettare che insanguini un’altra città.