L'alba nel fango di Idomeni
L'intesa preliminare raggiunta pochi giorni fa tra l'Unione Europea e la Turchia suscita ancora discussioni e polemiche. Il ministro degli Affari Europei turco, Volkan Bozkir, mette le mani avanti e frena sul numero dei rientri - migliaia e non milioni - su chi verrà ripreso - quelli che sbarcheranno in Grecia a partire da una data futura da stabilire. Dall'altra parte la ministra dell'Interno austriaca, Johanna Mikl-Leitner, canta vittoria: “La mia posizione è chiara: la rotta balcanica resterà chiusa e a lungo”.
Nel frattempo a Idomeni, nel campo profughi improvvisato lungo il confine tra Grecia e Macedonia, è un nuovo giorno nella nebbia, nel fango e nella fame per i 15mila profughi che continuano a sperare di poter entrare in Europa. Sono una parte dei 36mila registrati nel territorio greco e intrappolati a causa della chiusura della rotta balcanica voluta non solo dall'Austria ma anche dalla Macedonia, dall'Ungheria e dalla Slovenia e che coinvolge non solo i cosiddetti immigrati irregolari per motivi economici, ma ora anche gli afghani e addirittura i siriani e gli iracheni che non provengano da zone di combattimenti.